Il panino va a Porto | Rolling Stone Italia
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Il panino va a Porto

Passeggiata gastro-magica tra le fette di pane della città portoghese, tra influenze africane e morsi mastodontici. Senza bacalhau, né pastéis

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Foto: Francesco Pattacini

Si voltano tutti quando entriamo a Casa Expresso. Ci squadrano per qualche secondo e poi ritornano a baccagliare fra loro. Il passaggio verso la saletta con i tavoli è talmente stretto, il bancone così gremito, che dobbiamo metterci rasenti al muro per non urtarli anche perché loro, comunque, non si spostano. È tutto così bianco da Expresso, i muri, i tavoli, i pavimenti, il bancone. Un colore direttamente in contrasto con i sughi e i succhi che schizzano dai panini che servono.

Al nostro tavolo arrivano un sande de Rojão e uno con Queijo Serra da Estrela, il formaggio di pecora simile alla caciotta proveniente dalle montagne centrali del Portogallo. Il primo, il Rojão, è invece quanto di più necessario e soddisfacente si possa trovare nelle tascas e nei bar di Porto: tre fette di arrosto di maiale stufato con lo spessore di almeno due dita, schiaffate dentro a un paninetto troppo piccolo per contenerlo e, per questo, intriso di sugo per cementificare ma, soprattutto, battesimare la sua struttura. In bocca è uno schianto di fibre ammorbidite dalla cottura, riempimento unto che chiama la birra e viceversa.

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Francesinha. Foto: Francesco Pattacini

Specialità di questa Casa a due passi dalla Igreja do Carmo, il Rojão è solo uno fra le diverse interpretazioni, fatture, composizioni e significati che costituiscono la scena dei sandes portoghesi, uno dei carburanti che muovono Porto e fondano la sua cultura da bancone: «Ritrovarsi per mangiare un sande è un modo molto comune per incontrarsi a Porto e, in una sera normale, ti capita di andare in posti diversi, mangiare un panino qua e là, il fegato da Casa Expresso, il prosciutto da Xico, a Marquês la Francesinha e, così, per ogni altro bar o tasca che serve panini. Sono il classico pasto da bancone, prendi la tua birra, ordini, finisci e te ne vai. Non c’è bisogno di formalità, la maggior parte dei bar non hanno nemmeno una sala per questo motivo».

Per orientarmi in questo pellegrinaggio ho parlato con Rafael Tonon, giornalista gastronomico che vive tra Porto e il Brasile, dedicandosi da tempo a una personale mappatura dei sandes come elemento gastronomico e culturale: «Il Portogallo è un paese che vive per il pane», continua Tonon, «ovunque tu vada, in un ristorante, in un bar, in un supermercato, lo troverai sempre in quantità. Questo succede perché viene vissuto come un alimento profondamento inserito nel quotidiano. È un contenitore che ha l’opportunità di convogliare tanti sapori diversi insieme, è rapido, è gustoso e questa passione è talmente diffusa che può capitare di vedere qualcuno farsi un panino con i Rissols, la nostra pasta ripiena simile a una empanada. Carboidrati farciti di carboidrati, questo sentimento si esprime anche così».

Tutto, del resto, può essere un sande: quattro fette di prosciutto fanno un Presunto bello salato, due di fegato fritto e cipolla stufata un energizzante Figado, a piacere – sempre – aggiunte di uovo fritto o formaggio. Le cose, poi, si fanno mistiche con il Cachorrinho, superano ogni genere di razionalità nella gargantuesca Francesinha, arrivano a toccare la rivendicazione territoriale nel caso della Bifana, il panino nazionale che in gran parte del paese (vedi: Lisbona) viene preparato in bianco mentre, a Porto, è sempre in rosso. La salsa non è utilizzata solo per circostanza ed è il segno di un più profondo legame con le sue origini tripeiros. Sostiene il Rojão, oppure risveglia la salivazione per deglutire i multistrati di pane – carne – prosciutto – formaggio – ancora pane – salsa – uovo a piacere della Franchesinnha. Tutto, a Porto, è ao molho (a mollo, con la salsa), preferibilmente con il tono algidamente acidulo e quella nota piccante che arriva dritta al cervello della Piri Piri.

Foto: Francesco Pattacini

«L’utilizzo della salsa piccante proviene dall’influenza di paesi africani come Angola e Mozambico ed è comune in tutto il Portogallo», racconta Tonon. «A Porto, dato che fa più freddo, viene utilizzata anche per la sensazione di calore che ti dà durante l’inverno. Le salse sono un ingrediente fondamentale, distinguono la nostra Bifana da quella di Lisbona, perché la carne di maiale viene cucinata in una salsa piccante insieme a grasso, pomodoro, spezie e, generalmente, un po’ di birra. Il fatto più straordinario è che, un po’ come per il mole messicano, questa salsa non viene mai rifatta a partire da zero. Rimane lì per anni, rimpinguata all’occorrenza con altro grasso e altra salsa di pomodoro fresca. Il fatto che sia così gli dà un valore quasi secolare e una stratificazione di sapori che il tempo ha aggiunto, rendendola unica».

Se c’è un posto, però, in cui la Piri Piri dà tutta se stessa è dentro i piccoli bocconi di Cachorrinho, da consumare – come sempre – a bancone. Quello di Cervejaria Gazela, sua terra natìa, si snoda attorno alla cucina a vista, con la fila fuori e gli occhi spalancati di chi dà il primo morso a questa démi-baguette farcita di formaggio, salsiccia portoghese speziata (linguiça) e una laccata di salsa della casa.

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Foto: Francesco Pattacini

Piastrato velocemente, il Cachorrinho viene poi diviso in piccoli pezzi rettangolari e servito con una salsa da intingolo, perché nulla è mai abbastanza umido. Dal 1981 è Senhor Américo il custode di questa risposta portoghese all’hot dog statunitense, che ne mantiene immutata la ricetta e il suo modo di consumarla: «L’idea era quella di creare qualcosa di semplice ma memorabile: uno spuntino che si distinguesse, con un tocco portoghese, più intenso, più “nostro”. Nel tempo è diventato uno dei simboli gastronomici della città, rimanendo sempre fedele alla sua ricetta originale e all’atmosfera degli anni ’60 in cui è nato», raccontano da Gazela. «Fin dall’inizio, il Cachorrinho ha conquistato chiunque lo provasse e la sua popolarità è cresciuta rapidamente grazie al passaparola. Dopo quasi settant’anni abbiamo ancora quella stessa clientela locale, molti dei quali vengono da generazioni, e anche turisti, che arrivano desiderosi di provare qualcosa di così semplice, eppure così straordinario».

Il verbo del Cachorrinho non ci ha messo molto a diffondersi in tutta la città, luogo prospero per questo genere di invenzioni, ed è facile trovarlo un po’ dappertutto: nella versione più all’inglese di The Dog, sul bancone a ferro di cavallo di Alma do Cachorro per una esperienza più di quartiere o in qualche baretto davanti alla stazione di Campanhã per comprendere come davvero sia un rituale immancabile in una giornata: «Ciò che ci motiva di più è vedere come questo spuntino, creato in una piccola birreria della città, sia diventato un simbolo dell’identità di Porto. Per noi, il Cachorrinho è più di un semplice cibo: è tradizione, è condivisione, è Porto nella sua forma più pura».

Cachorrinho-Gazela

Foto: Francesco Pattacini

La diversità di luoghi, di persone, di ingredienti è il segreto, forse, di tutte le scene dei panini del mondo, questa attrazione che si può spiegare poco ma scoprire molto, dalle sue forme più alte ed altre, quando raccolgono tutto il meglio di un territorio, e in quelle più basse quando, serenamente, ci finisce tutto il suo peggio. Nei panini si incrosta la quotidianità e quando, come a Porto, si sfiora l’ambito della religione, si ha accesso a uno dei lati più vibranti delle sue fondamenta: «Se dovessi fare una classifica dei miei sandes preferiti certamente sopra a tutti ci sarebbe la Francesinha», conclude Tonon. «Poi il Cachorrinho, la Bifana, lo stinco di maiale (Pernil) di Casa Guedes e il Presunto. È una cultura talmente viva e diffusa che è, a tutti gli effetti, il nostro fast food ma è, anche, un elemento che fonda la nostra tradizione. Anche l’alta cucina si è resa conto di quanto queste preparazioni siano importanti per la città e gli chef hanno iniziato a rendergli omaggio in versioni più gourmet, come la Bifana di Vasco Coelho Santos all’Euskalduna Studio che ha una stella Michelin, oppure la Francesinha di Ricardo Costa, al suo ristorante due stelle The Yeatman».

Cachorrinho-The-Dog

Foto: Francesco Pattacini

Cachorrinho-The-Dog

Foto: Francesco Pattacini

Nonostante le mani del grande turismo si siano già mosse e abbiano trasformato Casa Guedes in un format diffuso in tutta la città con quattro sedi e reso la Francesinha un fatto di spettacolarità, la scena dei sandes portoghesi rimane sempre se stessa, come spazio di incontro e punto di riferimento, fra il comfort e un componente della famiglia. Potrebbero essere allora i suoni, più che gli odori, a guidare le strade di Porto. Difficile distinguerli lungo le affollate sponde del Douro e fra le griglie bollenti di Matosinho, ma che risuonano vividi e cristallini davanti alle porte aperte di ogni tascas, sui banconi dei bar e delle cervejerias. Sono i rumori di coperchi che svelano i fumi del Rojão, il fischiare perenne delle affettatrici, il taglio di coltello veloce perché il Cachorrinho arrivi ancora filante al tavolo. Quel chiacchiericcio portoghese inframezzato dai bicchieri di vetro che si appoggiano che ti danno la certezza di essere nel posto giusto.

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