Un Gallo solo non basta: Intervista a Danilo Gallinari | Rolling Stone Italia
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Un Gallo solo non basta: Intervista a Danilo Gallinari

Gioca nell’NBA da 9 stagioni, ma nel cuore (e nelle mani) ha l’Italia, per la quale si è battuto per un pass olimpico. Danilo Gallinari è un fuoriclasse, ma sa che «per vincere serve il gruppo»

Danilo Gallinari, 27 anni - Foto di Garrett W. Ellewood/Nbae via Getty

Danilo Gallinari, 27 anni - Foto di Garrett W. Ellewood/Nbae via Getty

Ho incontrato Danilo Gallinari in un albergo di Milano, qualche giorno prima dell’inizio del torneo Preolimpico di Torino di pallacanestro, l’ultima porta d’accesso ai Giochi di Rio di agosto. Un appuntamento che, però, la Nazionale ha dolorosamente mancato, uscendo sconfitta in finale dopo il primo tempo supplementare contro la Croazia. Il suo ruolo nel torneo è stato importantissimo, nonostante la condizione fisica non eccezionale («Non so perché sto facendo fatica», ha detto in conferenza stampa, durante il torneo). Anche soltanto per un motivo molto semplice: assieme a Marco Belinelli rappresenta il reparto NBA della Nazionale. Con i Denver Nuggets, Gallinari, 28 anni l’8 agosto, ha chiuso una stagione clamorosa a quasi 20 punti di media, arrivando a un soffio dalla convocazione all’All-Star Game. Anche se la sua squadra non è riuscita a qualificarsi ai playoff, il Gallo ha maturato una sicurezza nei suoi mezzi che sfoggia di frequente. «I tempi di raccogliere i frutti del lavoro erano maturi», ha detto. Ma per mille motivi diversi, neanche questa Nazionale, una delle più talentuose degli ultimi anni, è stata capace di raggiungere l’obiettivo. Lasciando il biglietto olimpico alla Croazia.

A Rio non andranno però neanche Steph Curry e LeBron James, con buone probabilità i giocatori più forti del mondo, che hanno deciso di non partecipare ai Giochi e sfruttare l’estate per curare infortuni e riposarsi. «Rappresentare il tuo Paese è un’emozione che nessun campionato ti può dare. Di vita ne vivi una e di carriera anche. Non puoi perdere delle occasioni così», commenta Gallinari. In America, Danilo è arrivato che aveva 20 anni, a due anni di distanza da Andrea Bargnani e a uno da Marco Belinelli. Al magico trio si è poi aggiunto Gigi parallela, tra gruppi Facebook, #ignoranza e “giornate tipo”. « È una cosa bellissima», commenta, «non mi aspettavo un coinvolgimento simile». Però alla fine la chiamata non è arrivata. E ti sei incazzato, vero? «Un po’ sì», ammette. Ma subito alza le spalle. Ci sono due aspetti opposti nel suo carattere: da una parte quella sicurezza pazzesca nei suoi mezzi di cui sopra. Dall’altra l’umiltà totale e la completa disponibilità verso “il gruppo”. «Credo che il percorso che ho fatto io mi abbia formato, sono partito dalla B2 italiana e sono cresciuto. Ho imparato che per vincere c’è bisogno del gruppo, alla fine si gioca sempre in cinque e devi trovare il modo di lavorare insieme». E oltre a questo, ci tiene a precisare an- che che nessuno gli ha mai regalato niente. «Ho sempre pagato lo scotto di essere la matricola, l’ultimo arrivato e il più giovane di tutti. Però poi ero sempre troppo più forte degli altri», scherza. «Ho avuto dei compagni veterani super, mi hanno fatto crescere anche a suon di nonnismo, ma quello sano, da spogliatoio. Mi hanno fatto fare delle cose che… Vabbè, meglio non raccontare». Ecco, bravo. Non raccontiamo. Datome e per una stagione intera gli italiani sul parquet Oltreoceano sono stati quattro. Oggi, sono rimasti soltanto lui e Beli. «Beh, vuol dire che gli anni passano!», ride Gallinari. «Mi spiace per il Mago, che è andato via dopo quasi 10 anni. E mi spiace per Gigi: ha fatto una stagione incredibile in Eurolega, dimostrando che uno come lui poteva trovare spazio anche qui».

Danilo Gallinari è stato protagonista anche di una mozione popolare, o meglio, di una mozione social, quella che lo voleva spingere a tutta forza verso l’All-Star Game. È un lato quasi inedito per il basket italiano, che vive una vita parallela, tra gruppi Facebook, #ignoranza e “giornate tipo”. « È una cosa bellissima», commenta, «non mi aspettavo un coinvolgimento simile». Però alla fine la chiamata non è arrivata. E ti sei incazzato, vero? «Un po’ sì», ammette. Ma subito alza le spalle. Ci sono due aspetti opposti nel suo carattere: da una parte quella sicurezza pazzesca nei suoi mezzi di cui sopra. Dall’altra l’umiltà totale e la completa disponibilità verso “il gruppo”. «Credo che il percorso che ho fatto io mi abbia formato, sono partito dalla B2 italiana e sono cresciuto. Ho imparato che per vincere c’è bisogno del gruppo, alla fine si gioca sempre in cinque e devi trovare il modo di lavorare insieme». E oltre a questo, ci tiene a precisare anche che nessuno gli ha mai regalato niente. «Ho sempre pagato lo scotto di essere la matricola, l’ultimo arrivato e il più giovane di tutti. Però poi ero sempre troppo più forte degli altri», scherza. «Ho avuto dei compagni veterani super, mi hanno fatto crescere anche a suon di nonnismo, ma quello sano, da spogliatoio. Mi hanno fatto fare delle cose che… Vabbè, meglio non raccontare». Ecco, bravo. Non raccontiamo.

L’intervista è stata pubblicata in versione integrale su Rolling Stone di luglio/agosto.
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