Federico Buffa racconta (a Rolling Stone) le Olimpiadi di Rio | Rolling Stone Italia
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Federico Buffa racconta (a Rolling Stone) le Olimpiadi di Rio

In occasione dell'uscita in DVD di "Race - Il Colore della Vittoria", ci siamo fatti spiegare dall'avvocato perché i prossimi Giochi passeranno alla storia

Federico Buffa è nato nel 1959. È un giornalista e telecronista italiano. Foto: Roby Bettolini

Federico Buffa è nato nel 1959. È un giornalista e telecronista italiano. Foto: Roby Bettolini

Chiamare Federico Buffa per parlare di Olimpiadi è sempre un godimento. I suoi racconti, pieni zeppi di parole straniere pronunciate benissimo, enfasi e coinvolgimento hanno anticipato (almeno in Italia) i longform sullo sport e hanno contribuito a trasformare le discipline atletiche in un argomento culturale, allontanandole dai caffè sportivi e avvicinandole a quelli letterari.

Non a caso la sua voce è stata presa in prestito per doppiare lo speaker di Race – Il Colore della Vittoria, il film sulla vicenda sportiva e umana di Jesse Owens. L’occasione per la chiacchierata è l’uscita in DVD del film. E da qui partiamo per capire qualcosa di più sul valore dei Giochi, sui loro lunghi tentacoli nel mondo politico, sociale e culturale.

Federico Buffa racconta Jesse Owens "Berlino 1936"

Tirando le somme, com’è andata questa esperienza da doppiatore?
Sono rimasto sorpreso perché ho notato che è rimasto in sala molto più del previsto. Sicuramente ha avuto circostanze favorevoli, visti gli altri film in sala. Sicuramente però c’è un pubblico che ha cominciato a interessarsi ad una storia che è molto piu vicina di quello che si pensi, che è andata persa ed è di grande attualità. Ed è anche narrata con uno stile accessibile.

Pensi che magari la gente abbia capito che attraverso lo sport ci si può muovere verso altri ambiti culturali o politici?
La mia risposta è: sarebbe bellissimo se fosse così.

Forse serviranno queste Olimpiadi a Rio. Sono state accolte con insicurezze e timore come mai negli ultimi anni…
Non userei il participio passato in questo caso. Tanti atleti hanno rinunciato o stanno rinunciando a partecipare ai Giochi e pochi di loro dicono la verità, secondo me. Che sia per la sicurezza, per la paura dei virus o per cos’altro, di certo è la prima volta nell’era contemporanea, e intendo ultimi quindici/vent’anni, che succede una cosa del genere. Sicuramente sono Olimpiadi che passeranno alla storia, se ne parlerà per tantissimi anni in futuro perché i brasiliani stanno cercando di fare qualcosa che nessuno ha mai provato.

Cioè?
Le immagini che si vedono dovunque sono quelle del porto che in due anni hanno completamente ribaltato, ma dovrebbero far vedere dove verrà messo l’Engenhão, lo Stadio Olimpico, che è all’interno di una zona di favelas, circondato. Per fare un paragone, veniamo da un Mondiale in Sudafrica che è stato gestito esattamente all’inverso. I sudafricani avevano messo fuori dalle città gli stadi, a parte quelli che erano già costruiti, come quello di Cape Town che era già li sul mare. Apro una parentesi: credo che Cape Town sia uno dei luoghi più belli della Terra in cui l’uomo si sia potuto insediare. Credo non abbia eguali, neanche San Francisco o Rio riescono a stare dove sta Cape Town. C’è questa Table Mountain lì sopra che è un posto irripetibile, unico. Ecco, i sudafricani, per motivi di sicurezza, hanno messo gli stadi isolati, con niente attorno. Quello di Soweto è a 10 chilometri da tutto quanto. I brasiliani hanno fatto esattamente l’opposto: lo stadio non solo è in città ma è nelle favelas, l’Engenhão è in mezzo a tre favelas, come dire noi vogliamo portare lo sport all’interno di dove sarà il futuro e il futuro, per noi, non è in luoghi asettici, ma è in posti dove tutto dovrà per forza mescolarsi.

È una scelta a dir poco rischiosa…
Molto rischiosa. Mi ricordo a Rio al Mondiale, pur giocandosi una manciata di partite la città era completamente paralizzata. Per andare da Barra da Tijuca a Copacabana ci volevano circa sei ore. Pensa ora, con praticamente venti giorni di eventi come fanno? Non è assolutamente pensata per un evento del genere. Io penso che ci sarà una paralisi collettiva. Pensa che mi diceva Sara Errani che hanno deciso di affittare una casa vicino al campo per evitare di fare i trasferimento dal villaggio olimpico. È snervante per un atleta oggi metterci quattro ore per andare da una parte all’altra. Si devono organizzare tutti in un modo diverso.

Logisticamente è un’operazione folle messa giù così. Davvero non l’hanno previsto?
Non possono non averlo previsto perché vivono lì tutti i giorni. Ma questa ebbrezza portata dall’avere i due maggiori eventi sportivi uno dietro l’altro nella stessa città ha dato al Brasile una spinta enorme. Ecco, poi però dobbiamo vedere anche come questa impressionante crescita brasiliana che ha regalato al Paese questi due eventi colossali abbia lasciato dietro dei meteoriti non indifferenti: la crisi politica e sociale è li da vedere.

Io penso che ci sarà una paralisi collettiva

Aggiungerei economica anche. L’economia brasiliana è in stallo…
Con quello che costano due eventi così! È incredibile: lo stadio dove si è giocata Italia – Inghilterra non è raggiungibile via terra dalla capitale. Credo sia la prima volta nella storia del gioco che si possa pensare che non una singola strada possa andare verso uno stadio dove si gioca una partita di quel livello. E quello stadio, a Manaus, io non so cosa sia diventato. La squadra che lo usa gioca in serie D, aveva 3500 spettatori, mentre lo stadio è da oltre 40mila. C’era un progetto per ridurlo della metà ma sono comunque troppi posti. Ecco, però ho imparato, girando il mondo, che ci sono delle mistiche strane. Come quello che è successo all’isola di Jindo, che è l’isola più ambita dai coreani, considerata una delle nuove meraviglie naturali del mondo. Ecco, lì lo stadio è stato tenuto dalla popolazione locale come se ci si dovesse giocare tutti i giorni e, finalmente, dopo anni di inattività, lo stadio è tornato in funzione. Ci sono alcuni luoghi in cui quel singolo evento è il più importante della loro storia. Ecco in quel caso lo stadio viene trattato come un luogo dove la memoria si trattiene.

Diventa una sorta di bene culturale intoccabile.
Esatto! Chiaramente Rio è stata una delle città più ricche del mondo. Basta pensare come la dipinge il film di Herzog, Fitzcarraldo, che racconta come da lì siano passati tutti i grandi artisti del Novecento. Ci sono città che magari vivono 50 anni di nulla e hanno bisogno di ricordarsi chi sono. Ecco, in alcuni posti, uno stadio di calcio a volte lo ricorda più di tanti altri eventi.

Passando a noi, invece, come ci arriviamo?
Come sempre! Speriamo come sempre nelle donne, che sono sorprendentemente la spina dorsale dello sport italiano. È incredibile, quando conti quante medaglie vincono le donne ti accorgi cos’è il movimento femminile nello sport, le donne sono più costanti, più continue. La Vezzali ora passa una sorta di testimone alla Pellegrini, sono loro che danno continuità allo sport italiano. E lo fanno in discipline diversissime. Grazie a loro si parla spesso dei loro sport. Al di là della già citata Pellegrini, che nuota e fa uno sport molto glamour, ci sono quelle che vengono dagli altri sport, discipline di cui non si parla per quattro anni.

E che devono rappresentare un intero movimento.
Infatti. Non concorrono per se stesse ma per tutte le altre che hanno fatto sacrifici per quattro anni e di cui nessuno sentirà mai più parlare.

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