Federica Brignone, «Questa avventura solo mia» | Rolling Stone Italia
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Federica Brignone, «Questa avventura è solo mia»

Giura da piccola la tenevano lontana dagli sci perché si gasava troppo. Nonostante sia figlia d’arte, la sciatrice deve tutto a se stessa. E alla sua tenacia

Federica Brignone al traguardo dopo la gara di Soldeu. Foto: Pier Marco Tacca/Pentaphoto

Federica Brignone al traguardo dopo la gara di Soldeu. Foto: Pier Marco Tacca/Pentaphoto

Prima di riagganciare il telefono, voglio chiedere a Federica Brignone qual è il suo nuovo sogno nel cassetto, visto che ha raggiunto da pochi giorni il risultato importantissimo di vincere una gara in Coppa del mondo. Mi aspetto che parli di un sogno, qualcosa di emozionante, raggiungere nuovi traguardi, una medaglia alle Olimpiadi, che ne so… Invece no, la risposta che mi dà è molto più semplice. «Eh, vincere ancora!», con un tono così secco e deciso che mi lascia senza parole. Ma quella che mi sembrava solo una parte da buttar via dell’intervista, racchiude tutta la sua voglia di fare. È il suo mantra, la sua spinta, semplice. Federica Brignone è il nome che salta fuori più spesso quando si guarda allo sci femminile italiano negli ultimi tempi. Ha iniziato la stagione sportiva con il primo posto nello slalom gigante di Sölden, in Austria. E da poco ha fatto il bis in supergigante a Soldeu. È quella su cui tutti puntano, dopo aver passato qualche stagione un po’ sotto tono, complice un’operazione al malleolo a fine 2011 che le ha dato non pochi problemi («Il mio recupero è stato a dir poco lungo, anzi, forse ne soffro ancora adesso», dice senza farsi sentire).



Ma Federica è una che sul suo sito ha in bella vista una frase pseudo-filosofica, tutta basata sul rischiare tanto e sognare l’impossibile. «Sì, quello è il mio motto, non solo sugli sci. Anche nella vita, penso che si viva una volta sola e cerco di farlo a mille, senza avere mai un rimpianto. Ma sarà così anche quando smetterò di sciare, eh. Non si può passare il tempo a dire “avrei voluto” o “avrei potuto”…». Piuttosto si rischia il tutto per tutto, anche a costo di sbagliare. Com’è quel detto che chi non osa non sbaglia? Ecco. «Sciisticamente parlando, quando ho sbagliato l’ho sempre fatto perché stavo provando a dare il massimo. Il nostro è uno sport rischioso, fa tutto parte del gioco. Un rimpianto ce l’ho però, quello di non aver ascoltato il mio corpo quando mi sono fatta male. Quella stagione non volevo fermarmi, non volevo perdermela: ho continuato sei mesi a darci dentro, a spingere al massimo e questo mi ha fatto stare peggio alla fine. Ho sbagliato a continuare ad allenarmi e a sciare nonostante mi facesse male la caviglia». E giura che non lo rifarà.

Federica Brignone sul podio di Soldau. Foto: Pier Marco Tacca/Pentaphoto

Federica Brignone sul podio di Soldau. Foto: Pier Marco Tacca/Pentaphoto


Anche perché a casa ha due consiglieri mica da ridere. Il padre è allenatore di sci, la madre è ancora peggio, forse: Ninna Quario, protagonista della Valanga rosa di inizio anni Settanta. Pesa avere un nome così alle spalle, che magari ti spinge a mettere gli sci appena nata? «No, assolutamente no. Anche perché non sono mai stata spinta a mettere gli sci, mai. Anzi, i miei amici durante le vacanze di Natale potevano sciare tutti i giorni, io no perché mi gasavo troppo, rischiavo di agitarmi e farmi male. Sono cresciuta come una bambina “normale”. Andavo in montagna in inverno e mi divertivo». E quando è arrivata l’eco dei successi di mamma? «Solo quando ho iniziato a girare nel circuito della Coppa del Mondo. Ho scoperto tutto in quel momento, ma non ci penso, non me ne frega niente! Ovviamente mi fa piacere che lei abbia fatto una bella carriera, che abbia avuto tanto successo e raggiunto dei traguardi incredibili, se ci pensi. Ma questa è la mia avventura, sugli sci ci sono io, non lei». Proprio dall’epoca delle Valanghe in poi, lo sci è diventato sempre più popolare, fino ad arrivare agli anni Novanta, quando, complici un paio di personaggi mediaticamente pazzeschi, tutta Italia sembrava dovesse mettersi per forza gli sci ai piedi. «Bah, sì, ma non me ne sono resa conto, ero troppo piccola. Per me sciare è sempre stata una parte della mia vita. Mi dicono che allora era tutto diverso, certo. Ma per me era un gioco, non una moda». Dice, con un tono deciso che non è mai cambiato per tutta la telefonata.

E poi mi sbatte in faccia quel «Vincere ancora». Quasi sorridendo.

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