È il momento di LeBron! Ma non ditelo a Toronto | Rolling Stone Italia
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È il momento di LeBron! Ma non ditelo a Toronto

Al momento i Cavs hanno parecchie possibilità di vincere il titolo. A causa di quattro fattori "scolastici"

Foto: Gregory Shamus/NBAE via Getty Images

Foto: Gregory Shamus/NBAE via Getty Images

A metà del secondo quarto di Gara 1 delle Eastern Conference Finals, LeBron James ha schiacciato con così tanta forza che per un attimo è riuscito a far cambiare forma al pallone. Poi ha rivolto lo sguardo verso l’alto e ha ululato, e così ha fatto il resto di Cleveland. Può anche essere sembrata solo l’ennesima schiacciata – una particolarmente cattiva, sicuramente – ma è stato un chiaro segnale che i Cavaliers sono diventati quello che per cui erano stati costruiti: un’armata fredda e inarrestabile. E, per dirla come LeBron, it’s about damn time.

Dall’estate del 2014, quando James ha rifiutato l’offerta di Miami per tornare sul trono della contea di Cuyahoga, i Cavaliers sono stati per la maggior parte del tempo una team decisamente robusto, se non eccellente. Ma finora, il loro successo è stato in larga parte un effetto secondario della colossale depressione della Eastern Conference più che una conseguenza del loro incredibile talento. E anche se i Cavaliers hanno dominato la loro Conference (hanno dovuto combattere contro gli Hawks o i Celtics come il Vesuvio ha dovuto “combattere” contro Pompei, o come il peperoncino di ieri sera ha “combattuto” contro il vostro stomaco), sono stati comunque perseguitati da continue voci di trambusti e disordini interni: sono passati attraverso due coach: David Blatt, accantonato in favore di Tyronn Lue a gennaio. Poi attraverso il “genio” di LeBron, che ha pubblicato una valanga di post su Twitter e Instagram tra lo stupido e il “passivo-aggressivo”, confermando il suo titolo di peggior social media-qualcosa della NBA. Per gli ultimi 18 mesi, i Cavs hanno vinto, ma hanno vinto giocando male e spesso nonostante loro stessi.

Fino ad ora.

I migliori team della NBA hanno l’abilità di cambiare la geometria dello sport, di alterare le dimensioni e gli universi reali in cui si gioca la pallacanestro. Steph Curry e i Warriors hanno costruito il loro stile vincente attraverso una quantità quasi noiosa di giocate non contestate, culminata con la stagione più dominante della storia della pallacanestro. Gli Oklahoma City Thunder, un insieme di gambe lunghe e aperture alari da albatross, dominano l’asse verticale – Russell Westbrook ti scarta quando vuole, Kevin Durant tira sopra di te, Steven Adams e Enes Kanter sono semplicemente più alti e più stronzi di te – e riducono drasticamente le aree d’attacco, trasformando il parquet in una palude claustrofobica grazie alla loro difesa. I Cavs, però, sanno stare esattamente in mezzo a questi due stili; sono capaci di sguinzagliare Kyrie Irving, Kevin Love e J.R. Smith per far piovere una valanga di triple e possono mettere in campo i Very Large Humans, Timofey Mozgov e Tristan Thompson, per presidiare l’area e catturare ogni possibile rimbalzo.

Per i Cavs, però, non si parla di geometria. Piuttosto si parla di fisica, con l’apporto di un tizio come LeBron James, che, anche a 31 anni e con oltre 40mila minuti di volo, resta sempre LeBron James. Non solo gestisce gli schemi del gioco con la classe di un moderno Euclide, ma è la forza fisica più devastante del basket, oltre 110 chili di velocità sconsiderata, in possesso di un senso di controllo straordinario che guida il resto del suo team. Al loro meglio, che si sta vedendo probabilmente in questo 10-2 dei playoff, i Cavs hanno giocato benissimo, con dei momenti di accelerazioni inarrestabili che usano per ammazzare la partita e esercitare la loro incredibile potenza contro i loro avversari, fino a quando non arriva l’opportunità di schiacciare una pallone o sganciare una tripla.

C’è anche un elemento di pura geografia, per continuare con le materie. Visto che si parla di Cleveland, una città che non vede un titolo da 50 anni, i Cavs non sono soltanto una squadra di pallacanestro, sono un faro nella notte gonfio di speranza, dopo mezzo secolo di inettitudine sportiva cittadina. Con i Thunder e i Warriors invischiati in una serie estenuante, a scambiarsi colpi proibiti – o, meglio, colpi bassi – i Cavs in questo momento hanno le migliori chance di vincere un titolo di tutta la loro storia. Armati dal figliol prodigo locale e con un cast dall’enorme potenziale, i Cavs potrebbero finalmente arrivare al traguardo finale (ancora una volta, però, si parla di Cleveland, una squadra capace di perdere nel modo più intricato possibile).

E visto che si tratta di LeBron, c’è in ballo ovviamente anche la storia, quella del gioco. Dopo 13 stagioni, è praticamente impossibile che ogni palleggio, ogni passaggio, ogni movimento di James non si trasformi in un referendum sulla sua carriera e sul suo posto nella storia della pallacanestro. Durante la sua ascesa tra le stelle dell’era post-MJ, ha rapidamente riscritto la moderna NBA, con il suo sorriso a mille denti, il suo talento da trasformista e – come dimostrano i quasi 45mila fan della pagina LeBron James Haters UNITED – la sua indole da piagnone simulatore. E per uno che è nettamente tra i migliori cinque della NBA, il lascito (se mai ci fosse un concetto più vago di questo) è incredibilmente controverso. E il dibattito che l’accompagna, a cui si è aggiunto ovviamente anche un coro di odio, è assordante.

Ma ora non è tempo di discutere di queste cose; è inutile studiare il passato e il futuro di LeBron quando il suo presente è ancora così indefinito. Adesso è il momento di apprezzare i Cavaliers – la loro bellissima geometria, la loro fisica devastante, la loro geografia indefinita, la loro storia tutta da scrivere. Adesso è il momento di guardarli all’opera con la loro prova finale.

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