Viaggio nel sex party dove le donne possono essere gay per una notte | Rolling Stone Italia
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Viaggio nel sex party dove le donne possono essere gay per una notte

Nato per dare alle donne un posto dove esplorare liberamente la propria sessualità, lo Skirt Club consiglia alle bi-curiose di lasciare i fidanzati a casa

Viaggio nel sex party dove le donne possono essere gay per una notte

L’invito per lo Skirt Club, un sex party solo per donne, bisessuali o bi-curiose, dice una e una sola cosa: questa potrebbe essere un’orgia di sole ragazze, ma non è una serata lesbo come tutte le altre. Qui siamo nel regno di Katy Perry, “I kissed a girl and i liked it”. Questa è una mostra di provocazioni. Questo è il tipo di lesbianismo gentile e imbarazzante che tutte le donne hanno provato – o desiderato provare – durante il college. Si tratta di un lesbianismo che una lesbica riconosce ma farebbe fatica a supportare senza una certa dose d’ironia. Si tratta del nostro piccolo segreto, del segreto delle donne per cui la bi-curiosità è diventata tale da essere insopportabile.

Ho ricevuto l’invito all’inaugurazione dello Skirt Club di San Francisco in un freddo sabato di gennaio. Non ne avevo mai sentito parlare, né del club né di feste per donne bi-curiose, nonostante fossi stata già in un certo numero di “play parties”, serate dove si era liberi di fare di tutto, dalle coccole all’amplesso vero e proprio. La fondatrice dello Skirt Club, Genevieve LeJeune, ha partecipato a feste del genere e da queste ha trovato l’ispirazione per creare un sex party dove le donne, in particolare, possano esplorare la propria sessualità “Lontano dagli occhi adoranti degli uomini.”

Il risultato? Guardando il video pubblicato sul loro sito web possiamo notare una cosa a metà strada tra Eyes Wide Shut e una pubblicità di Victoria’s Secret. Alcune donne sensuali con tacco 12 e capelli acconciati come modelle ballano indossando maschere e abiti piumati, guardandosi appassionatamente e donandosi baci emozionanti. Bocche glitterate e silenziose, gambe sottili in reggicalze che faticano a entrare nell’inquadratura, addomi scolpiti, corpi sospesi dentro biancheria che ricorda quella BDSM. Sullo sfondo, dietro un tavolo con sopra poggiata una bottiglia di champagne, un sipario accuratamente chiuso. “Quando il tuo uomo non è abbastanza, cerca l’avventura là fuori – dove gli uomini non sono invitati,” dichiara il video.

Ho chiesto alla mia fidanzata Courtney, la cui testa pelata la rende sicuramente più queer di me, se le interessasse provare la serata. «Mi farebbero entrare?», mi ha chiesto. Lo Skirt Club è aperto a tutte le donne, ma “pochissime” sono lesbiche, secondo quanto dice la fondatrice Genevieve LeJenue, che si identifica come “soprattutto eterosessuale” anche se interessata ad altre donne – diciamo un due sulla “scala Kinsley”, passatemi il termine. Secondo quanto hanno raccontato le donne iscritte allo Skirt Club alla LeJeune, la maggior parte dei partecipanti hanno le sue stesse inclinazioni sessuali, principalmente etero.

LeJeune parla quattro lingue, è un’istruttrice qualificata di yoga e pilates, e ha creato lo Skirt Club a Londra nel 2013, dopo aver abbandonato bruscamente la sua carriera nel mondo corporate. Lavorava come giornalista per Bloomberg TV, a Londra, e come branding consultant per alcune aziende internazionali. La donna chiede che la sua privacy sia rispettata – LeJeune non è il suo vero nome, nonostante le sue fotografie allo Skirt Club, e quelle con il suo ragazzo, siano disponibili online e su Instagram. «Ci è voluto parecchio coraggio per diventare il volto di una azienda che dice, “essere bi è OK”», ha detto.

Lo Skirt Club non impedisce alle lesbiche di entrare, ma fa comunque selezione all’ingresso. Prima di entrare alla festa le donne devono iscriversi in un network, inviare una foto, indicare la loro professione e dimostrare di avere tra i 21 e i 49 anni. LeJeune sostiene che il locale accetti la “grande maggioranza” delle richieste, cercando comunque di costruire una membership di donne in carriera. La proprietaria, però, non ha voluto fornire altri dettagli sulle donne che sono state rifiutate.

I biglietti per l’inaugurazione e per le altre feste preparano la scena per baci e palpeggiamenti vari, ma non incoraggiano il sesso vero e proprio. Il prezzo è di 60 dollari. I sex parties veri e propri, che si tengono in case private, costano fino a 180 dollari – un prezzo che esclude chi ha uno stipendio più basso. Il prezzo è significativamente più alto di ogni altro sex party nella Bay Area, tipicamente prezzati tra i 10 e i 65 dollari – ma più basso delle migliaia di dollari richieste per feste analoghe per il pubblico maschile.

Quello che offre la LeJeune, però, è più che un’orgia avvolta nel velluto – è una possibilità per le donne per superare alcuni limiti della loro sessualità. «Lascia il tuo uomo a casa, pensa a qualche cosa da dirgli quando torni», si legge sul sito web, un invito ad abbandonarsi alle proprie fantasie, anche se non si è ancora sicuri quali queste possano essere. LeJeune si sente al centro di quell’area grigia tra l’essere etero e gay. «Ho aperto questo club per le persone come me», ha detto a Rolling Stone. «Non sto cercando una relazione con una donna, sto cercando qualcosa di meno tangibile».

LeJeune aggiunge che quando era alla ricerca di modi per sperimentare la sua sessualità, non ha trovato nessun posto dove sentirsi a proprio agio. Non voleva andare a feste lesbo perchè non interessata a nessuna relazione. Accetta di potersi essere sbagliata, ma era troppo intimidita per scoprirlo davvero. Quindi si è aperta un club tutto suo. «Non sono una donna gay» dice. «Sono venuta nell’unico posto che conosco, un posto mio. Il mio target sono le donne bi-curiose, con un fidanzato ma vogliose di provare quest’esperienza per la prima volta».

Hayley Quinn, una dating coach di Londra che ha parlato a numerosi eventi dello Skirt Club, sostiene che questo non sia un sex party classico – lesbo o meno. «C’è sempre un elemento educativo e qualche sorta di performance, cocktail o degustazioni», ha detto. «L’evento non è solo una questione di sesso. La sua teatralità aiuta le donne a liberarsi delle proprie inibizioni». In alcuni casi, secondo la Quinn, le donne vedono nello Skirt Club più un’occasione per fare networking che un sex party. Nell’ultimo evento londinese a cui ha partecipato, infatti, molte donne cercavano di fare network.

«Un sacco di ventenni mi chiedevano come fare a mettere in piedi un blog», ha detto. «Quello che mi ha colpito dello Skirt Club, all’inizio, era proprio la possibilità di incontrare donne liberali e dalla mentalità affine alla mia. Non si tratta solo di sesso e nudità».

Un giovedì sera alle 7,30, quindi, io e Courtney siamo andate a uno di questi party nel quartiere di South Market. È una serata fredda e pungente, il classico tempo che ti invita più a stare a casa a guardare Netflix che a provare qualche avventura erotica. Un buttafuori ci lascia passare nell’area bar, riscaldata, arredata con tappeti afgani, molti posti a sedere su sedie di velluto rosso e strane macchine da scrivere d’epoca. Alcune donne si aggiravano per la stanza.

Una delle volontarie dello Skirt Club – una ventenne alta vestita con un top nero, pantaloni aderenti e tacchi – ci accoglie con due biccheri di champagne. Sorride con gentilezza e ci mostra dove poggiare i nostri soprabiti, poi si presenta ricordandoci che sta usando uno pseudonimo. «Continuo a dimenticarmi che stanotte mi chiamo Layla», ha detto. «Scegliamo i nostri nomi da sole. Il mio viene da quel pezzo di Eric Clapton». LeJeune chiama le volontarie “Hostess”, ragazze che lavorano alla festa in cambio di un ingresso gratuito. Aiutano a rompere il ghiaccio, si fanno selfie con la LeJeune e incoraggiano gli invitati a partecipare agli eventi della serata. «Non sono impiegate e non voglio che si comportino come impiegate», specifica la LeJeune.

Ispirata dal drink di Layla mi sono avvicinata al bar, dove ho iniziato a conversare con una DJ polacca di nome Ivana. Ha un volto femminile, occhi grandi e labbra rosse, ma la sua semplice maglietta – una scelta chiaramente diversa rispetto ai suggested outfits consigliati dal locale – mi segnala una persona almeno un po’ più queer di me. È bisessuale, così mi dice, ma negli ultimi due anni ha frequentato solo donne, quasi tutte latinoamericane. Una sua amica, che lavora come barista al club, le ha detto di portare senza problemi le donne che frequentava. «Molte delle mie amiche queer non vorrebbero mai venire qui», mi dice ridendo, «a meno che non siano interessate a donne etero».

Infatti, insieme alle donne che si identificavano come bisessuali, sembrava che nel locale la maggioranza non avesse mai avuto nessun tipo di esperienze lesbo. Questo non ha impedito a nessuno di entrare in azione – il che non è una sorpresa, è molto comune che le donne siano attatte da entrambi i sessi. Poco dopo una ballerina burlesque in stile pinup, con lunghi capelli rosa e seni abbondanti, ha iniziato a muoversi e spogliarsi a tempo di musica. Gli spettacoli burlesque sono ormai una rarità nella Bay Area, ma si vedono spesso agli eventi dello Skirt Club. Rispetto alle feste locali, dove si trovano donne di tutti i tipi, la clientela delo Skirt Club è perlopiù composta da donne magre e bisessuali. È facile capire perchè lo Skirt Club, con la sua atmosfera soffusa e femminile, sia più facile da vendere alle donne che non vogliono andare troppo oltre ai limiti dell’eterosessualità a cui sono abituate.

La LeJeune insiste, pensa che creare un ambiente confortevole e lussuoso aiuti a incoraggiare le donne bi-curiose – e ad alzare il prezzo del biglietto. La sua visione dello Skirt Club deriva essenzialmente da quello che non aveva mai trovato in altre feste del genere. «Ero delusa dalla mancanza di lusso delle altre feste», ha detto. «Mi sembrava che quelle serate fossero state pensate da uomini, bastava uno sguardo per capirlo. Io invece volevo che l’ambiente mi aiutasse a entrare nell’atmosfera giusta». Ha ragione, ovviamente. Lo Skirt Club è innegabilmente bello – forse troppo bello, e costoso e abbastanza etero da attrarre e accettare chiunque possa essere interessate.

La ballerina burlesque prende grandi respiri tra un passo e l’altro, gli occhi gonfi a causa dei grandi movimenti. Risatine e applausi emergono dal pubblico. Non è chiaro se questo show sia pensato per le donne o per poterlo raccontare ai fidanzati rimasti a casa. Dopo lo spettacolo, l’esperta queer del posto, Allison Moon, propone una lezione su come tirare capelli, sculacciare e sul “pussy hug”, una tecnica di petting per avvolgere la vagina di una donna con la mano. Successivamente alcune ragazze hanno provato a tirarsi i capelli, le loro acconciature si agitavano durante l’esperimento.

Ho chiesto alla Moon cosa pensasse della festa. Gli eventi dello Skirt Club, secondo lei, offrono alle donne bi-curiose uno spazio per sperimentare. «Si tratta di un posto sicuro per esplorarsi senza che questo significhi nulla sulla tua identità. Non penso che le feste siano gay in sé. Esattamente come penso che divertirsi un po’ con qualcuno non significhi essere necessariamente gay. Le parole che abbiamo per descrivere la sessualità sono troppo fragili per esprimere il dinamismo dell’esperienza umana». Quinn è d’accordo: «Credo fortemente che un’azione non ti trasformi in qualcosa in particolare. A volte le donne non fanno qualcosa perchè non vogliono essere etichettate, a loro dico di sperimentare senza nessuna paura».

Dopo la spiegazione della Moon le hostess dello Skirt Club iniziano a distribuire volantini. Dicono: «Facciamo un gioco!». Ogni volantino, sigillato dentro alcune buste nere, contiene un ordine: «Compra un drink per la donna più attraente della stanza», dice il mio. «Bacia il collo della donna più attraente della stanza», dice quello della mia ragazza. I drink costano minimo 10 dollari, e baciare qualcuno sul collo senza preambolo sembra un po’ presuntuoso, quindi ho deciso di guardare cosa facevano le altre.

Mi sono avvicinata ad una bella ragazza al bar, Mona. Mi racconta di essere cresciuta in una casa molto religiosa. Ha sempre frequentato uomini e non si è mai identificata come bisessuale nonostante, così ammette, probabilmente lo sia. «Nessuno me lo ha mai chiesto», mi dice. Poi guarda il suo volantino e mi chiede se può sculacciarmi. «Certo», le dico mentre mi poggio sul bancone del bar.

Poco dopo le hostess dello Skirt Club ci hanno riunito in cerchi per giocare al gioco della bottiglia. Fanno sedere tutte e girano una bottiglia di vino. In alcuni casi i baci sono appassionati. In altri sono imbarazzanti, adolescenziali e punteggiati da scuse e disagi vari di donne che si poggiano su tavoli scomodi per baciare sconosciute. Alcune afferrano la testa del partner, accarezzano i capelli o si appoggiano sulle spalle, per paura barcollano sui tacchi.

Una delle hostess, una donna alta dai lunghi capelli marroni e con gli occhi grandi, gira una bottiglia che si ferma proprio di fronte a me. Mi muovo. Cerco di dimostrare che non si tratta della mia prima volta ostentando una certa sicurezza. Ma quello che mi ritrovo è uno sbattere di denti dovuto alla mia perdita di equilibrio sul tavolo. A quanto pare questo gioco è uguale a quando ero al liceo: più teatrale che erotico. Un bacio era abbastanza per me, quindi mi sono allontanata dal tavolo. Guardando la stanza e le donne che si baciavano mi sono improvvisamente resa conto di quanto la gente fosse gentile a questa festa. È borghese, si, ma non c’è quell’atmosfera liceale, nonostante i giochi liceali. La festa è meravigliosamente femminile, senza nessuna esitazione.

Ma questa è San Francisco, tradizionalmente anticonformista. E alcune delle donne di questa festa non somigliano affatto a quelle del video del sito web. Non si tratta solo di una questione estetica. Con le loro magliette semplici, scarpe piatte e button-ups, nel locale ci sono donne che dichiarano che a loro non importa. Questa cosa non fa per loro. «Mi sento come se avessi di nuovo tredici anni», mi dice Brenna, una festaiola che si è presa una giornata da lavoro per comprare la lingerie per l’evento. È altissima sui suoi tacchi, ha capelli biondi e indossa un bustino in pizzo e pantaloni da ragazzo che le finiscono appena sotto le natiche.

«Non capisco cosa stia succedendo. Ma mi piace», mi ha detto. Più avanti, però, Brenna mi ha confessato di non sapere cosa farci con quello che le era successo. «Mi sento un po’ come quando le ragazze si baciano per attrarre l’attenzione dei maschi, con l’eccezione che non ci sono maschi da attrarre», mi ha detto. “Quindi a che serve stare qui? Queste donne vogliono davvero trovare qualcuna con cui andare a casa o vogliono solo vivere l’eccitazione dell’esperienza?”

La sua fidanzata, Jess, vestita in maniera più androgina, jeans e maglietta button-up, mi dice di sentirsi fuori posto – ma non così tanto come si sarebbe aspettata. Qui tutti sono attraenti e gentili. Courtney è d’accordo. Si aspettava di sentirsi fuori posto, ma non lo è. In un certo senso, mi dice, lo Skirt Club è più confortevole di molti queer parties a cui ha partecipato. Nessuno dice la parola “lesbica” durante la serata, a parte una ragazza che mi ha chiesto, «Ma la possiamo dire la ‘parola con la L’ qui?».

La festa è finita intorno alle 10,30. Prima di andarmene, una donna di nome Sonja mi ha raccontato della sua prima esperienza sessuale con un’altra donna. Pensavano entrambe di essere etero, quindi la prima volta che si sono baciate hanno pensato “questo non è gay”. Poi hanno fatto sesso. «E abbiamo detto, ‘Non siamo gay!’. Poi abbiamo continuato finchè un giorno non ci siamo rese conto – ‘siamo proprio gay’», mi racconta.

Verso la fine della serata due ragazze in vestiti stracciati e reggiseni aperti si baciano su una sedia vicina. Moon, la sex-educator, mi racconta di averci messo parecchio a capire se le piacesse davvero lo Skirt Club, ora è sicura di apprezzarlo. «Il problema degli spazi sicuri è che per costruirli dobbiamo necessariamente escludere qualcuno» dice Moon. «Penso che avere questi spazi femminili sia fantastico, ma lo spettro delle comunità di donne queer è molto più ampio. Ci sono tante persone che apprezzerebbero questa festa ma non le sue regole». Moon aggiunge che le donne allo Skirt Club sono altrettanto entusiaste di quelle delle altre feste queer a cui è andata. Una volta, quando ha parlato del piacere femminile durante uno dei sex parties dello Skirt Club, a New York, ha dovuto ricordare alle partecipanti di muoversi con cautela.

«Ho partecipato a moltissimi sex parties al femminile, e molti di questi richiedono parecchio tempo prima che le ragazze si sentano a loro agio sul serio», mi ha detto. «Non allo Skirt Club. Queste donne si buttano senza troppi pensieri. E si, era tutto molto sensuale». La LeJeune, che è rimasta alla festa fino alla fine, sembra avere grandi aspettative per la sua attività.

«Voglio che le donne siano indipendenti, avventurose, intelligenti, vincenti – voglio che le donne abbiano una vita migliore», mi ha detto, aggiungendo che ha visto donne trasformate dalla sicurezza ottenuta alle feste dello Skirt Club. «Ho sentito donne parlare fino allo sfinimento della sicurezza con cui sono andate ai loro meeting di lavoro. Finalmente riuscivano a fregarsene, a essere padroni delle loro scelte». E, aggiunge la LeJeune, vuole anche normalizzare la fluidità sessuale: «Ho iniziato lo Skirt Club perchè mi sentivo sola e volevo incontrare altre persone come me», ha detto.

La prima volta che ha baciato una donna una sua amica le ha chiesto se fosse lesbica. «No, no!» ha risposto. «Questo è solo quello che sono». La donna, poi, aggiunge che non tutti i presenti sono qui per indulgere in qualche fantasia – alcune donne hanno cambiato la loro vita amorosa a causa delle feste dello Skirt Club. «Ho conosciuto alcune donne che hanno sperimentato la bi-sessualità per la prima volta qui allo Skirt Club, poi hanno iniziato relazioni vere e proprie. È raro ma è successo». Ancora una volta rifiuta ogni tipo di etichetta. «Se fai sesso con una donna non significa che tu sia gay».

Forse si, forse LeJeune e il resto dei membri dello Skirt Club – che fanno grandi sforzi per pagare i biglieti, depilarsi le gambe, abbandonare le loro inibizioni e paure di essere etichettate come “gay” solo per voler assaggiare qualcosa che sembra davvero gay – non si definiscono come “gay” perchè la parola suona come un monolite, come un qualcosa di definitivo e immutabile. Forse è perchè sono tutti – siamo tutti – almeno un pochino gay. «Penso che siamo in un momento affascinante per la comunità sessuale, tutto è queer quindi niente è davvero queer» dice Moon. «Le feste come quelle dello Skirt Club ricostruiscono i confini che si sono sfumati in tante altre comunità sessuali, e posso immaginare che questo dia fastidio a molta gente. Ma penso che sia una cosa sana e giusta, creare spazi sicuri per esplorare identità diverse».

Quando siamo uscite dal locale aveva smesso di piovere. Siamo uscite da quello spazio-al-femminile e ci siamo riunite con la città. Fuori dal calore del locale, lontano dal paesaggio di corpi femminili e profumi, il cemento e i rumori della notte, i camion delle consegne e i barboni ci ricordano che il mondo reale è un posto molto meno rassicurante – un posto dove si può avere paura di baciare uno sconosciuto e di esplorare la propria sessualità di fronte agli altri. Io e Courtney abbiamo camminato tenendoci per mano, sapendo che questo ci avrebbe rese visibili, sapendo che è una cosa che non potremmo fare così liberamente in altre parti del Paese e del mondo senza subire ripercussioni, a volte addirittura la prigione. Torniamo a casa insieme, nello spazio incasinato che condividiamo, perchè siamo innamorate. Mentre giro la chiave nella serratura della porta della nostra stanza penso, «Ok, questo è gay».

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