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“Houston, il mondo ha un problema”

L'uragano Harvey ha segnato un punto di non ritorno. Ci aspetta il caos climatico?

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Il disastro ambientale a Houston potrebbe essere solo l'inizio. Foto: Henrietta Wildsmith/The Shreveport Times via USA TODAY NETWORK

Togliamo subito ogni dubbio: il terribile danno dell’uragano Harvey è una catastrofe quasi interamente costruita dall’uomo, con le impronte della negligenza, della corruzione e della rifiuto a comprendere dell’uomo. Se avessimo avuto bisogno di un remind della potenza distruttiva dell’acqua, l’uragano Harvey ce l’ha fornita. A Houston, una metropoli in forte crescita, con oltre due milioni di abitanti, non è stato il vento a fare danni, o l’uragano stesso, con al sua forza. È stata l’acqua. Dovunque, che è caduta per giorni in torrenti biblici, trasformando le autostrade in fiumi, entrando nelle case, ammazzandone a dozzine, portando decine di migliaia di persone a fuggire verso le zone più elevate. È stata una dimostrazione terribile di cosa succede quando la natura incontra l’opera dell’uomo in un pianeta radicalmente alterato dal cambiamento climatico.

Harvey è il peggior evento piovoso della storia degli Stati Uniti continentali. Oltre un metro e 20 di piogge hanno inondato alcune zone di Houston. La quantità di acqua caduta dal cielo è difficile da concettualizzare. Secondo alcune stime, 19 trilioni di galloni (circa 75 trilioni di litri) sono caduti in cinque giorni. È circa un milione di galloni (3,7 milioni di litri) per ogni abitante del sud-est del Texas. Il peso economico di Harvey sorpasserà probabilmente quello di Katrina, come il disastro naturale più ingente della storia americana.

Gli uragani non sono una novità in Texas. Nel 1900, un uragano colpì Galveston, uccidendo circa 8 mila persone. Ma, visto quello che gli scienziati conoscono riguardo l’impatto del CO2 sul clima, è sbagliato considerare Harvey un semplice evento naturale.

Innanzitutto, grazie all’aumento dell’inquinamento da carbone, le acque nel Golfo del Messico, dove si è formato Harvey, sono circa cinque gradi più calde della media. «Con il riscaldamento mondiale, l’evaporazione è più veloce», spiega la scienziata del clima Katherine Hayhoe. Quindi, in media, c’è più vapore acqueo nell’aria che poi si riverserà sulla terra. In più, visto che gli uragani si formano a causa delle diverse temperature dell’atmosfera e degli oceani, le acque più calde tendono a intensificare le tempeste portate dall’uragano.



Inoltre, un clima più caldo alza il livello delle acque, che è il risultato dell’espansione degli oceani e dello scioglimento dei ghiacciai. Mari più alti significano più tempeste improvvise, che possono essere devastanti (vi ricordate l’uragano Sandy?). Ma quando i mari sono più alti, vuol dire anche che la pioggia fa più fatica a tornare verso l’oceano. Ed è proprio quello che è successo a Houston: l’acqua non aveva nessun posto dove andare.

Questo è stato un disastro annunciato. Negli anni ’90, lo scienziato Wallace Broecker diceva che il clima della Terra era una “bestia arrabbiata” e che continuare a buttare ingenti quantità di CO2 nell’atmosfera equivaleva a “stuzzicarla con dei bastoni” – e nessuno avrebbe potuto prevedere la sua reazione. Ecco dove siamo oggi. Harve è la terza tempesta a colpire l’area di Houston negli ultimi tre anni. Dieci anni fa, la maggior parte degli scienziati prevedeva un innalzamento di 90 centimetri del livello delle acque, entro il 2100. Oggi, le stime della National Oceanic and Atmospheric Administration, dice che potremmo arrivare a due metri e mezzo entro il 2100, mentre l’ex scienziato della NASA James Hansen prevede anche che potremmo arrivare a oltre tre metri. Qualsiasi sia la dimensione, ci stiamo muovendo verso un’epoca in cui non possiamo conoscere i possibili impatti suelle nostre vite, è impossibile dire quanto in fretta il mondo cambierà. E quanto cambierà. «Stiamo assistendo a qualcosa che nessun umano ha mai sperimentato», mi ha detto recentemente Richard Alley, studioso di Penn State, parlando dei ghiacciai. «Non c’è un precedente».

Allo stesso tempo, stiamo permettendo a città come Houston di diventare degli imperi del negazionismo. Se volessi disegnare una metropoli per niente adatta ad affrontare il futuro, non potrei fare molto peggio di Houston. Considerate la velocità con cui si è espansa sopra le zone paludose, le spugne naturali per l’assorbimento dell’acqua. Il 30% di queste zone è stata occupata da costruzioni tra il 1992 e il 2010, creando un collettore d’acqua che porta solo alla distruzione. A Houston, la palude è una zona per guidare la tua Lexus – è una città che si vanta di avere 30 posti auto per ogni residente.

Houston si definisce orgogliosamente “la città senza limiti”, usando una tradizione un po’ da Wild West, la terra dalla infinite opportunità. Ma è anche la più grande città americana a non avere leggi urbanistiche, vale a dire che si può costruire dove si vuole, quando si vuole. Sicuramente i costruttori sono felici, ma non è così che costruisci una città pronta al cambiamento climatico. Secondo un’indagine del Washington Post, più di 7 mila palazzi residenziali sono stati costruiti dal 2010 ad oggi senza seguire indicazioni precise sulle pianure alluvionali della città. E non è un problema solo di Houston, ma anche di Miami, del Sud Carolina e di ogni altra regione soggetta a inondazioni. Dieci anni fa, la città di Houston vietò ufficialmente la costruzione di palazzi in zone ad alto rischio di inondazoni. Ma i costruttori fecero causa al comune, finché la legge venne ritoccata. Il governo cittadino provò a mettere dei cartelli di rischi inondazione, segnalando il possibile livello delle acque, nel peggiore dei casi, ma le pressioni del mondo immobiliare furono troppo forti e i cartelli vennero rimossi.

Houston è la più grande città americana a non avere leggi urbanistiche, vale a dire che si può costruire dove si vuole, quando si vuole


Anche i federali hanno qualche responsabilità per l’architettura disaster-friendly di Houston. Virtualmente tutte le assicurazioni per inondazione in America sono gestite attraverso il National Flood Insurance Program, che dovrebbe prevenire le costruzioni a rischio richiedendo standard più elevati e rilocando i palazzi che subiscono spesso inondazioni. Ma da quando è stato fondato, nel 1968, il programma è stato messo sotto scacco dai costruttori, dagli operatori immobiliari e dalle lobby politiche, che cercavano di favorire i propri amici. In luoghi come Houston, il programma addirittura aiuta lo sviluppo immobiliare nelle aree a rischio, visto che offre rateizzazioni assicurative che non riflettono il vero rischio di vivere in zone sensibili. Anche prima di Harvey, il programma aveva 25 miliardi di dollari di debito.

Come sempre, sono le persone più povere ad accollarsi il rischio. «Non solo devono fare i conti con le alluvioni, ma anche con l’inquinamento dell’acqua, contaminata dai residui di raffinerie e industrie», ha detto il sociologo Robert Bullard all’Huffington Post. «Parliamo di una tempesta perfetta di inquinamento, razzismo ambientale e rischi per la salute che probabilmente non saranno mai misurati prima di decine di anni. Il fatto è che il lassaiz-faire, il mancato controllo e la mancanza di un piano di sviluppo hanno permesso alle persone ricche di proteggersi, lasciando senza nulla le altre».

In momenti come questo, è sempre allettante dire che un disastro come Harvey cambierà qualcosa, vedere la devastazione e la sofferenza che questa tempesta ha portato aiuterà tutti noi a vivere diversamente il mondo in cui viviamo. Nel passato, grandi catastrofi hanno portato a grandi cambiamenti. L’incendio del Cuyahoga River negli anni ’60 portò al Clean Water Act; il disastro petrolifero della Exxon Valdez portò all’Oil Pollution Act. In un mondo razionale, Harvey potrebbe portare a (tra le altre cose) una legge per ridurre le emissioni di carbone, oltre che a una ristrutturazione del National Flood Insurance Program, per evitare di continuare a costruire in zone a rischio.

Non solo si deve fare i conti con le alluvioni, ma anche con l’inquinamento dell’acqua, contaminata dai residui di raffinerie e industrie

Invece, saremo sommersi da chiacchiere sul fatto di costruire Houston ancora più grande di prima, ci saranno dei piccoli miglioramenti sulle regole di costruzione e tante battaglie al Congresso sui costi della ricostruzione. Il presidente Trump elogerà gli uomini del soccorso e gli ascolti TV portati dalla tempesta, nel suo palazzo della negazione. Non solo è uscito dagli accordi di Parigi, ma poche settimane prima dell’arrivo di Harvey, ha fatto cancellare alcune norme di buon senso per la protezione dalle inondazioni per i progetti federali.

Oltre alle banalità del dopo tempesta, non è difficile prevedere cosa accadrà. Ci sarà un altro uragano – magari a Charleston, o a Miami, o a Norfolk – e distruggerà le strade e i palazzi e causerà miliardi di dollari di danni. A questo punto, i contribuenti del Kansas si stuferanno di salvare le persone che vivono sulla costa e i fondi per i disastri si prosciugheranno. Con l’innalzamento del livello delle acque, le compagnie di mutui smetteranno di sottoscrivere prestiti trentennali per delle case al mare. I titoli immobiliari delle città crolleranno. Le strade costiere saranno sommerse, così come gli aeroporti. E la gente fuggirà all’improvviso verso l’interno.

La verità è che non è stata solo Houston a non pensare al futuro. Tutti noi abbiamo asbagliato. Abbiamo passato 40 anni negando i rischi del cambiamento climatico, pensando che l’acquisto di una Prius o fare la differenziata nel modo giusto avrebbero risolto le cose. Il messaggio di Harvey è che le cose non si risolveranno. Viviano in un nuovo mondo e dobbiamo essere pronti. Madre Natura è contro di noi.

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