‘Dio c'è solo scritto sui muri’: i giovani delle periferie rap di Milano si raccontano | Rolling Stone Italia
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‘Dio è scritto sui muri’: i giovani delle periferie di Milano si raccontano

Siamo andati alla Barona, a Baggio e a Trecca, le periferie milanesi dove arriverà il Papa. Luoghi pieni di sogni e vita reale, da cui arriva anche un nuovo coro di voci duro come il rap

Papa, Papa Francesco, Trecca, Barona, Baggio, ritratti, giovani, Dio c'è, MIlano,

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“È brutto vedere un giovane fermo, che vive, ma vive come un vegetale. A me danno tanta tristezza al cuore i giovani che vanno in pensione a vent’anni”. Leggo queste parole – pronunciate dal Papa a Torino il 21 giugno 2015 – a Sam, un ragazzo di 19 anni di Milano. Indicandomi un grande albero nel parcheggio della Cooperativa sociale Azione Solidale di Baggio, alla periferia Ovest della città, Sam commenta: «Un vegetale non vive mica male, guarda quell’albero. Sai quante persone ha visto? Quante storie ha ascoltato? Anche tu, che sei da tutto il giorno fermo qui ad ascoltare le nostre storie, anche tu potresti essere un vegetale».

Sono rimasto fermo, immobile, per un weekend lungo tra Baggio, Barona e la Trecca, tre periferie di Milano legate a tre rapper: Ghali, Marracash e Tedua. La Trecca, in posizione sud-est, è un complesso di case minime, nate a metà degli anni ’30, demolite a fine anni ’70 e ricostruite con palazzi d’edilizia popolare, edilizia di sopravvivenza. Una montagna di cemento scrostato, tapparelle e tende dietro le quali ci sono le vite di 500 famiglie. Sabato 25 marzo la visita del Papa a Milano partirà proprio da questo quartiere. A metà gennaio il Vaticano ha diffuso la “Lettera del Papa ai giovani”. L’ho portata con me.

“Carissimi giovani, mi vengono in mente le parole che Dio rivolse ad Abramo: ‘Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò’ (Gen 12.1). Queste parole sono oggi indirizzate anche a voi sono parole di un Padre che vi invita a ‘uscire’ per lanciarvi verso un futuro non conosciuto ma portatore di sicure realizzazioni”.

Come un flusso di coscienza metto insieme le voci e le risposte di tutti i ragazzi incontrati: «Dovevo fare il calciatore, faccio il magazziniere in Gucci. Dovevo fare il calciatore, faccio il magazziniere in Moncler. Mio fratello voleva fare il soldato, ora di militare ha solo la giacca mimetica. Vorrei aprire un centro di estetica. Vorrei aprire un ristorante, gli darei il nome di mia sorella rimasta in Egitto. Non vedo futuro qua. Lo vedo a Santo Domingo, mio zio ha un bar. Mia zia 30 anni fa è andata in America, ora ha un negozio di abiti da sposa. Un futuro lo vedo in Australia, ho amici che lì raccolgono i pomodori. Ho amici in Australia, lavorano nei fish&chips. Perché devo andare via? Io qua sto bene. Io sono nato qua e morirò qua. Vado a letto alle 6 del mattino, mi sveglio alle 4 del pomeriggio, non c’è lavoro. Mi sveglio alle 5 del mattino per andare a lavorare al mercato».

Durante un freestyle fra i palazzi di Baggio, periferia ovest, un ragazzo va fuori tempo e dice, «Non prendiamo neanche il tempo, lo perdiamo». Passa parola a una ragazza che studia logopedia e che dopo mi dice: «Il bello della lettera del Papa è che dice di staccarti dal quotidiano, da ciò che conosci, per metterti alla prova». Nel video di un live pubblicato sulla sua pagina Facebook, Tedua, originario di Cogoleto, in provincia di Genova, ma adottato dalla zona 4 della Trecca, dice al pubblico: “Ragazzi ve lo giuro. Chi domani non s’impegna per il proprio futuro è uno stronzo. Signori, non abbiate paura del futuro”.

Islam ha 13 anni, e ha paura che i debiti del padre possano ricadere su di lui. Nella sala prove, messa a disposizione da Azione Solidale di Baggio, registra un suo pezzo. Mi segno queste frasi: «Un giorno andrò lontano». «Sono stanco di vedere mia madre invecchiare lavorando in nero». «Un domani vedrete un paio di ali così potrò volare». Mi racconta di suo fratello, Ahmed, che il 2 novembre del 2016 ha scritto sul suo profilo Facebook, «Oggi sono ufficialmente studente della NABA (nuova accademia di belle arti). Oggi sono il primo ragazzo in assoluto a ricevere una borsa di studio triennale», e poi conclude «Oggi io ci sono». Oggi è in Italia, ma tre anni fa, un ragazzo di diciannove anni arrivato qui dall’Egitto, ha avuto paura soprattutto all’inizio del viaggio. «Vomitavo sempre», per il mal di mare e di ciò che non conosceva.

«La vita che ho fatto io non la auguro neanche a un cane», dice Rachid seduto sul marciapiede di fronte alla chiesa di San Galdino, alla Trecca. Ha trentotto anni e arriva del Marocco. A due anni ha perso la madre, a tredici ha iniziato a vivere in strada. «Arrivato in Italia, per dieci anni ho dormito sotto i ponti. Alle 7:01 ero in cantiere. La sera andavo in palestra e con la scusa di allenarmi facevo la doccia». Pensa che gli italiani non avrebbero lo stesso coraggio, perché, a fine giornata, comunque hanno sempre un piatto di pasta, a casa o in chiesa. Alle 11.01 le campane della parrocchia annunciano che sta per iniziare la messa della domenica. Il coro canta: «Io non son degno di ciò che fai per me, tu che ami tanto uno come me».

Nella prima strofa della sua canzone In Zon4 (feat. Tedua), Tobe attacca così: “Tutti i giorni sulle stesse scale della chiesa ma nessuno che prega, nessuno che non grema”. Poi nel ritornello canta: “Frà sto in zona a fare nulla, giro con la cumpa”. Tobe ha 23 anni ed è al secondo anno del corso di laurea di Informatica Musicale dell’Università statale di Milano. Riallacciandosi alle parole del Papa, che afferma: “Non vogliamo giovani smidollati”, mi spiega il senso del ritornello. «Quella è una frase che racchiude mille visioni, ed è anche ironica, perché racconta il modo in cui gli altri ci vedono: ovvero quelli che non fanno nulla tutto il giorno. Magari poi vai in centro e trovi i mantenuti. Invece qui, se vedi bene, sotto sotto lui lavora al mercato, lui fa il magazziniere, lui è in zona a fare nulla, tra virgolette». Indica gli altri che ci girano intorno, e ai quali noi giriamo intorno, girando a nostra volta, tutti insieme, in una delle rotonde delle Case Bianche.

Vicino a noi c’è un topo morto. Qualcuno se ne accorge, e il cerchio si scioglie. «Per quando verrà il Papa, il topo non ci sarà», dicono. Di sicuro le facciate dei palazzi non saranno imbiancate. «Il Papa ha detto che non vuole ci siano abbellimenti, vuole vedere il degrado», mi spiegano, «anche perché puoi fare tutto bianco, ma i solchi nel cemento rimangono». Rimangono le scritte sui citofoni che non funzionano, “Citofono morto”, non rimarranno i cartelli “Divieto di sosta”, nei punti che stanno velocemente riasfaltando. Nell’edicola votiva la nuova Madonnina dà le spalle alla Zona Militare Limite Invalicabile e guarda avanti, verso lo stradone che porta ai palazzi. “Gesù rivolge il suo sguardo e vi invita ad andare presso di lui”, scrive il Papa nella sua lettera, “Carissimi giovani, avete incontrato questo sguardo? Avete udito questa voce? Avete sentito quest’impulso a mettervi in cammino?”.

Rocco, 20 anni, originario di Ischitella, provincia di Foggia, ha udito questa voce; infatti è molto contento della visita del Papa. «Tanta roba», dice. Ha già preso il pass per assistere all’incontro e mi racconta di un suo amico che dal carcere ha scritto una lettera al Papa e ha ricevuto risposta. Mimmo, che Tobe presenta dicendo: «Lui ha tanto da raccontare», ha da raccontare la sua esperienza fuori e dentro il carcere. «Mi sono messo sulla strada sbagliata quando ero minorenne. Furti di macchine, moto. Volevo tutto, volevo comprarmi giubbotti da 800 euro e mi vergognavo di chiedere soldi ai miei». Oggi lavora come magazziniere per Dhl. «Il 28 mi scade il contratto, e con questi contratti non puoi costruirti niente, non puoi permetterti una casa, non puoi mantenere una famiglia».

Agli studenti romani il Papa ha detto “Sporcatevi le mani”, li ha esortati a farsi sentire, a “fare chiasso” e ad avere grandi sogni. «Noi ci sporchiamo le mani, noi facciamo chiasso», dice Andrea, «poi dipende da che chiasso intende lui. Magari intende la Como-Chiasso». Andrea ha 21 anni e lavora come magazziniere in una ditta che produce luci e luminarie per i festoni di Natale. Sogna di continuare ad avere il lavoro fisso, ha riscattato dai parenti la casa della nonna in Calabria e nel domani vede una famiglia. “A Cracovia, in apertura dell’ultima Giornata mondiale della gioventù, vi ho chiesto più volte: ‘Le cose si possono cambiare?’. E voi avete gridato insieme un fragoroso sì”. Leggo questo passaggio e uno dei ragazzi commenta, «Ok, sei il Papa, ma anche se sei il Papa non puoi cambiare la vita. Puoi fare una preghiera per me, ok, ma non cambia la realtà».

Nel finale della lettera, il Papa si apre al dialogo: “Pure la Chiesa desidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità, della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche”. Sam, il ragazzo di Baggio, che mi ha parlato della vitalità degli alberi, ha un consiglio: «Direi al Papa di guardare oltre». Gli domando in che senso, e a sua volta mi chiede: «È un lavoro, il suo è un lavoro, lo fanno lavorare, no? Nemmeno lui può fare quello che vuole. Gli direi quindi di guardare oltre a quello che esiste». L’anno scorso Sam è rimasto a guardare la strada nascosto sotto una macchina per un’ora e mezza. I carabinieri, chiamati dalla madre, avevano trovato in casa cinque grammi di fumo, così ha fatto un salto dal balcone ed è scappato. Fortunatamente si trovava al primo piano. Gli chiedo cosa ne pensa del suicidio del ragazzo di Lavagna: «Mi dispiace», risponde. Poi, dopo un attimo di silenzio, aggiunge: «Non ci avevo mica pensato, che è capitato anche a me».

Qualcuno non ha domande per il Papa, ma per chi sta sopra di lui, per i capitalisti. “Un mondo migliore si costruisce anche grazie a voi, alla vostra voglia di cambiamento e alla vostra generosità. Non abbiate paura di ascoltare lo Spirito che vi suggerisce scelte audaci”, scrive ancora il Papa nella lettera. Tobe mi parla di una rivalsa personale che però coinvolge anche tutti gli altri ragazzi con i quali è cresciuto: «Non tutti hanno avuto le opportunità che si meritavano, magari perché immersi in situazioni familiari particolari, e così le prospettive, lo sguardo, si sono limitati». In Barona, periferia sud-ovest, incontro altri ragazzi il cui sogno è sfondare nella musica, o il cui sogno è avere un amico che sfondi nella musica.

Se una vita svolta, svoltano anche quelle limitrofe. Mentre scorre l’acqua nella fontana di piazza Enzo Papi, in Barona, una ragazza di 16 anni mi fa mettere in ricerca su Google alcune parole chiave, tra cui “violenza sessuale”. Viene fuori la sua storia. Accanto a lei, un ragazzo italo-argentino mi racconta della nostalgia del padre per la sua terra, del tatuaggio della Madonna che il padre ha sulla gamba, e di Madonna e gambe che sono tornate in Argentina perché il padre aveva malinconia della sua terra. «Dio c’è solo scritto sopra i muri», dice Lorena, citando un pezzo di Noyz Narcos. Lei ha seguito un corso da fonico al Barrio’s Cafè, centro di aggregazione e di jam e di molto altro del quartiere Barona, e i pomeriggi li passa facendo un tirocinio nella sala prove di Baggio. Tutto è collegato. Nella bacheca della parrocchia della Trecca, accanto alla locandina della visita del Papa, c’è un avviso: “I poveri della parrocchia necessitano di sacchi a pelo, piumini, 1 carrozzina, 2 passeggini”.

Nove piani, sono quelli che alcuni fanno a piedi, altri in ascensore, per raggiungere il decimo piano di uno dei palazzi della Trecca: il piano che non c’è, quello dove non si potrebbe accedere. Il tetto. Sulle lamiere che s’incurvano al passaggio si fanno prove di vuoto. Orizzonte di antenne tv, equilibrismo, magazzinieri ai piani alti. Da qui si vede tutto, eppure non sembra esserci altro posto all’infuori di questo. All’infuori di noi. Nell’androne del pianerottolo, il foro di un proiettile sparato negli anni ’90 disegna una ragnatela crepata nel vetro. La Storia ci circonda. All’estremo opposto, andando in picchiata giù, c’è affissa una targa in onore di chi non è più tra noi: “Erano cittadini del quartiere. Furono partigiani-soldati-vittime civili. Donarono la vita perché l’Italia fosse libera e giusta”. La lettera del Papa si conclude così: “Con paterno affetto, Francesco”. “Sky is the limit and you know that you can have / What you want, be what you want”, cantava nel ’97 Notorious B.I.G.