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La lobby delle armi si gioca la scusa finale

270 milioni di fucili e pistole, 100 morti al giorno: negli U.S.A. circolano troppe armi, e la strage di Las Vegas l'ha dimostrato

La lobby delle armi si gioca la scusa finale

Quella di Las Vegas è stata la 338ª sparatoria di massa nei primi 273 giorni del 2017: negli Stati Uniti non c’è giorno in cui qualcuno non uccida quattro o più persone. Con 59 morti e 527 feriti, Las Vegas sale al primo posto tra le peggiori stragi da arma da fuoco nella Storia moderna americana. L’elenco non comprende il massacro di St. Louis nel 1917 e di Colfax nel 1873, ma quelli non valgono perché allora le vittime furono tutte nere. Dopo eventi come questo, Donald Trump sembra un sintomo relativamente poco indicativo della manifesta, e sempre più drammatica, malattia che affligge il Paese.

Il nuovo episodio, che ancora una volta mette in luce la passione per il sangue degli americani, rischia però di segnare la fine di un’era. Las Vegas potrebbe infatti spingere la lobby delle armi a giocarsi la scusa finale, e giustificare così anche la commercializzazione di armi militari tra i civili. Per ora siamo nella fase “La NRA deve dare ancora risposte convincenti”, un rassicurante cliché nei copioni di questi massacri, senza senso e sempre uguali a loro stessi. Il silenzio iniziale della National Rifle Association dopo le stragi, di solito, coincide con le notizie provenienti da Wall Street, che ogni volta raccontano di un forte aumento nel prezzo delle azioni delle armi. I rifornimenti di fucili in questi casi subiscono sempre un’impennata, spinta dalla paura di una nuova legge draconiana sulla diffusione delle armi. Legge che, ovviamente, non sarà mai approvata.

Simili paure hanno un’altra conseguenza: sono sempre accompagnate da periodi di intensa raccolta fondi da parte dei politici pro-armi e di organizzazioni come la NRA. Dopo l’uccisione di 20 bambini nella scuola Sandy Hook nel 2012, per esempio, le donazioni all’organizzazione sono cresciute del 350% rispetto all’anno precedente. Con ogni probabilità ora accadrà lo stesso. In questo modo la logica della concentrazione dei benefici e della riduzione dei costi entra prepotentemente in gioco. La ricca e aggressiva politica di un’industria che rivendica un impatto da 49 miliardi di dollari sull’economia nazionale prevale sempre sull’orrore individuale e sul disgusto dei singoli, disorganizzati, elettori.

L’NRA, con le sue orgogliose magliette con la scritta “Perché non puoi prendere a pugni la dittatura”, ora argomenta che massacri come quello di Las Vegas sono il prezzo che si deve pagare per assicurare che gli individui non siano mai lasciati soli contro la repressione governativa. Quando l’industria non abbassa la guardia e racconta agli idioti che la vendita degli AR-15 serve a combattere l’imminente apocalisse zombie, argomento che funziona parecchio nel mondo della vendita delle armi, è questa la narrazione che gli operatori del settore confezionano per convincere gli ardenti collezionisti di questi giocattoli.

Come le compagnie del tabacco dicevano ai fumatori che erano dei fighissimi “Marlboro Men”, l’industria regala ai proprietari di armi un’immagine emozionante di se stessi, descrivendoli come baluardi opposti alla tirannia. Una volta l’NRA ha persino utilizzato un’immagine di piazza Tienanmen per rafforzare la sua propaganda. Gli attivisti pro-armi sono stati anche citati in giudizio per aver usato delle immagini prese da blockbuster guerreschi come The Patriot e Braveheart.

E perché no? Senza alle spalle uno scenario apocalittico da fine imminente della democrazia, i collezionisti di armi da assalto sarebbero solo un gruppo di zotici che spreca le proprie risorse economiche in prodotti che, come le lattine di stufato che prendono polvere nei loro bunker, non useranno mai. Se non stai comprando tutte quelle pistole per una ragione precisa, ammetterai che la cosa è per lo meno insolita. Come chi lotta contro la proliferazione sottolinea ogni volta, la tesi secondo cui il Secondo Emendamento conferisce ai cittadini il diritto di proteggersi e utilizzare armi al di fuori dai contesti militari è una panzana.

Da anni i giuristi sostengono che il concetto di “milizia regolamentata” non può, in ogni caso, essere applicato a singole persone, ma a gruppi. L’ex capo della Corte Suprema di Giustizia Warren Burger, un conservatore nominato da Nixon, era uno di quei giuristi. Ha sempre spiegato come l’argomento del Secondo Emendamento fosse una frode, e che il diritto a possedere e utilizzare armi appartiene agli Stati, e non agli individui. Ma l’incessante propaganda contraria ha portato a una serie di decisioni giuridiche che stabiliscono una realtà differente, e che schierano la legge dalla parte dell’industria delle armi. Nel 2007, durante il caso District of Columbia v. Heller, Antonin Scalia, un giudice senza sentimenti i cui principali piaceri nella vita erano uccidere uccelli nel suo ranch e utilizzare argomenti palesemente razzisti contro le discriminazioni, ha scritto che il Secondo Emendamento “protegge il diritto individuale a possedere un’arma da fuoco, senza alcun riferimento al proprio ruolo in un esercito”.

Scalia è stato esplicito durante quel processo, in cui per altro si schierava a favore di alcune restrizioni. “Pensiamo che le limitazioni abbiano il supporto della tradizione storica di proibire il possesso di armi pericolose e inusuali”, ha scritto. Descriveva così il possesso di armi come un diritto degli americani non a opporsi alla tirannia, ma a sostegno di un “tradizionale proposito di legge, come l’autodifesa”. Ma la maggior parte dei proprietari di pistole continua a vedere il proprio diritto come una lotta per la difesa costituzionale delle libertà. I sondaggi dicono che la maggioranza di loro crede che lo scopo del Secondo Emendamento sia il contrasto della dittatura.

Il piccolo e sporco segreto che sta dietro è che, mentre i parlamentari di entrambi gli schieramenti possono conquistare voti attraverso il supporto (a parole) verso il controllo delle armi, gli elettori contrari alla diffusione non li puniscono se non sono coerenti fino alla fine. George W. Bush è un classico esempio di politico che ha tenuto il piede in due scarpe. Ha espresso dichiarazioni estremamente caute sull’impegno a firmare un’estensione al bando che Bill Clinton aveva posto sulle armi da assalto, in caso fosse passato al Congresso. Ma poi, sorpresone, quel documento non è mai arrivato sulla sua scrivania, e la legge è defunta nel 2004.

Ai politici spesso va di lusso, perché anche quando sono chiamati a tenere fieri discorsi sul tema in pubblico, al Congresso ci sono quasi sempre abbastanza colleghi convertiti alla causa pro-armi da fare in modo che i voti dei contrari non portino a nessun risultato. Harry Reid, per esempio, è un nome che gli abitanti del Nevada dovrebbero tenere a mente, visto che è l’uomo che ha ripetutamente aiutato la NRA ad affondare ogni limite alla diffusione delle armi d’assalto.

Nei palazzi del potere tutti sanno che è solo una questione di soldi. La National Rifle Association, come altre grandi industrie finanziarie, oppure Big Pharma, è una fonte facile di finanziamento, e i politici devono impegnarsi per fare passare una faccenda che è solo e unicamente commerciale come una sincera difesa dei diritti.
Tutto è relativamente facile quando si parla di fucili da caccia, ma diventa più scivoloso quando si tratta di tenere armi in casa, e diventa un puro esercizio di prostituzione politica e pseudo-intellettuale una volta che bisogna giustificare la vendita di armi militari ai compratori in Rete.

Las Vegas pone una sfida retorica ancora nuova. Dopotutto il grande argomento universale della lobby delle armi si riduce al fatto che le morti si sarebbero potute evitare, o almeno ridurre, se ancora più persone fossero state armate. “L’unica cosa che ferma un cattivo ragazzo con una pistola è un bravo ragazzo con una pistola”, come recita l’infame dichiarazione del capo nella NRA Wayne LaPierre dopo i fatti di Newtown.

Ma lo sparatore di Las Vegas, il 64enne Stephen Paddock, era al 32° piano di un casinò, a 400 metri dalla massa delle sue vittime. Fino a che la strategia della NRA non diventerà quella di estendere le licenze agli F-16 o ai sistemi missilistici terra-terra, è dura pensare che l’argomento del “bravo ragazzo armato” possa funzionare in casi simili.
Questo lascia all’industria delle armi un solo argomento, pura ginnastica acrobatica intellettuale di chi enfatizza la propria lealtà ai testi sacri: la Costituzione. Secondo questa dottrina, dobbiamo convivere con episodi tipo quello di Las Vegas perché sono gli entusiasti delle armi che verranno a salvarci se qualcuno dovesse provare a dare vita a una specie di Rivoluzione d’Ottobre in America.

Ma dov’erano tutti questi eroici possessori di armi paladini della democrazia, quando, dopo l’11 settembre, venivano estesi i controlli di polizia e intensificata la sorveglianza indiscriminata? Risposta: da nessuna parte. Non abbiamo sentito nessuno strepitare sul fatto che l’inviolabilità dei diritti personali siano diventati una barzelletta durante gli anni di Bush, o ancora sulle torture e sugli omicidi extragiudiziari divenuti la norma. Non abbiamo sentito proteste sulla gigantesca schedatura fatta dai governi, o lamentele sugli abusi nella legge sui testimoni oculari, la violazione della privacy del Patriot Act, e mille altre questioni. Nemmeno hanno mai protestato contro l’applicazione di nuove aggressive politiche nazionali, come quelle sulle perquisizioni per strada e sui controlli preventivi, per l’ovvia ragione che questi programmi sono per lo più indirizzati alle minoranze povere delle periferie.

L’NRA ha quantomeno mostrato una saltuaria coerenza su questi temi, aderendo alla battaglia della American Civil Liberties Union contro l’emendamento del 2008 del Foreign Intelligence Surveillance Act. Era uno dei regali finali di Bush al mondo, una legge che permetteva al governo di collezionare una quantità virtualmente illimitata di email, sms e dati.

Ma, ironicamente, i politici conservatori – che hanno succhiato i soldi della NRA e hanno aiutato i costruttori di armi a schivare ogni tipo di restrizione – si sono preoccupati delle conseguenze di queste leggi solo quando strumenti come il Foreign Intelligence Surveillance Act o la cosiddetta Section 702 del programma di sorveglianza messo in piedi dalla NSA sembravano essere usati contro Donald Trump, noto amante delle armi e tenace difensore della loro diffusione.

L’argomento della lotta alla dittatura, questa scusa finale della lobby delle armi, è ovviamente una stronzata. Le persone comprano armi militari per prepararsi all’annessione del Paese da parte di un non meglio precisato Nuovo Ordine Mondiale. Gli americani sono solo annoiati, pazzi e insicuri, e amano rilassarsi sparando alle bottiglie o a sagome di Kim Jong-un oppure, con grande regolarità, sulle folle di persone innocenti. Tutto questo è follia, e non ci sono nel mondo abbastanza pseudo-intellettuali strapagati dalla lobby delle armi per giustificare ancora questa assurdità. Possiamo almeno smetterla di prenderci in giro sul fatto che c’entri qualcos’altro che non siano i soldi?

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