Simple Minds, la recensione di 'Walk Between Worlds' | Rolling Stone Italia
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Simple Minds, il nuovo album è un bell’esercizio di stile

'Walk Between Words' vive di nostalgia di un'epoca che non c'è più, ma non è un male.

Non ho paura di confessare che ho fatto ascoltare in esclusiva il nuovo disco dei Simple Minds anche a mia madre, ero tutto contento perché mi ricordavo che fosse una loro grande fan e credevo di averle fatto un bel regalo, invece mi confondevo con i Simply Red.

Ci sono rimasto malissimo, anche perché Walk between worlds è un disco perfetto per i fan di vecchia data, già dal titolo si evince che si tratta di un album che ripercorre i vari mondi che la storica band di Glasgow ha attraversato in quarant’anni di carriera. Il chorus alla chitarra, gli echi, le seconde voci e i tom sono quelli di sempre, ed escono fuori prepotentemente in pezzi come Sense of discovery o Summer, anche se l’esercizio di stile più classico è il singolo che apre il disco Magic, che parte e ripropone un synth simil-Yazoo che va sempre bene.

C’è il post-punk glitterato di The signal and the noise e Utopia nelle quali emerge anche un discorso rintracciabile in tutte le otto tracce: il tempo che passa, la maturità che porta con sé una certa nostalgia ma anche la possibilità di vedere le cose da una nuova prospettiva, quella raccontata appunto nell’omonima Walk between worlds.

Gli anni ottanta sono finiti da un pezzo e la new wave si è ritirata, non c’è niente di nuovo da aggiungere a tutto questo. Ma non è necessariamente un male e sicuramente ci sono là fuori delle mamme che saranno felici di ascoltarlo.

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