Ryan Adams è tornato con "Prisoner" | Rolling Stone Italia
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Ryan Adams è tornato con “Prisoner”

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Ryan Adams ha trovato la chiave per sciogliere nella melodia e nei fraseggi ipnotici di chitarra qualsiasi cosa gli succeda intorno, costruendo universi paralleli in cui tutto forse è finalmente a fuoco proprio mentre si dissolve. Gli è successo nel 2015 con quello che è il suo piccolo gioiello (da lui peraltro non riconosciuto come tale), la reinterpretazione, canzone per canzone, di 1989 di Taylor Swift, in cui è riuscito a rendere profondo e solenne anche un prodotto di grande impatto, ma artisticamente inconsistente. In quella raccolta di hit commerciali senza contenuti lui ci aveva visto la gioia, quella che stava cercando in un momento di difficoltà personale, l’ha scavata fuori e l’ha resa sublime costruendoci intorno un suono che ha definito: “A metà strada tra Darkness on the Edge of Town di Bruce Springsteen e Meat Is Murder degli Smiths».

È logico, quindi, che quando ha applicato lo stesso impeccabile trattamento sonoro alle sue canzoni, il risultato sia un disco grandiosamente intenso e coinvolgente, un flusso di folk-rock che si attorciglia su se stesso all’infinito, ondeggiando dal registro acustico a quello elettrico, e da metafore poetiche al realismo straziante. Già, perché nel frattempo le difficoltà personali sono sfociate nel divorzio (inevitabilmente) consumato sotto il riflettore dei media con l’attrice e cantante Mandy Moore: «La maggior parte del lavoro che ho fatto è stato provare a tenere la testa alta e ricordarmi quello che amavo fare», ha detto Ryan. Il suo cerchio intimista si apre allora con la power ballad rabbiosa Do You Still Love Me?, continua con l’accettazione della fine di Haunted House e Shiver and Shake e si chiude con la rassegnazione di We Disappear, seguendo una sensazione di consapevolezza dell’inevitabilità della malinconia che ricorda molto l’epica dei perdenti di Springsteen.

Dodici canzoni per raccontare un sentimento e la sua fragilità e quella incompiutezza della vita che tutti abbiamo intorno, ma che solo i veri artisti trasformano in canzoni.

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