Robbie Williams – Heavy Entertainment Show | Rolling Stone Italia
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Robbie Williams – Heavy Entertainment Show

Leggi la recensione del nuovo album di Robbie Williams su RollingStone.it

Lo chiamiamo Robbie con quella confidenza che riserviamo con naturalezza alle figure entrate nell’intimità e dunque anche a quelli che possiamo liberamente definire come veri miti della pubertà. Sceso ormai da tempo immemore dai poster dell’ultima meritevole e talentuosa boyband del ’900, Mr. Williams è oggi a tutti gli effetti un artista adulto, e lo è da un pezzo. In termini discografici, Robbie è quello che si definisce un “hitmaker”, la popstar che, subito dietro a Elvis Presley, governa da sempre le classifiche.La similitudine più calzante e utile a spiegare che cosa sia oggi Robbie Williams, però, chiama in causa le sue capacità d’autore e, su tutti, un nome principe: Paul McCartney. Con un po’ di coraggio, un respiro a pieni polmoni e facendo propria tutta la sfrontatezza necessaria a parlare onestamente di canzoni pop, diremmo che Robbie ha un talento nella scrittura dei propri pezzi che si può serenamente paragonare a quello di Sir. Paul. Non si tratta, naturalmente, di perdere tempo in sciocchi paragoni qualitativi che non sussistono, ma di limitarsi a constatare come nel Dna dell’ex ragazzotto Take That stia, nemmeno troppo nascosta, la capacità innata di disegnare melodie pop perfettamente accattivanti e seduttive, irresistibili, feroci e, più semplicemente, davvero riuscite. Come McCartney, poi, Robbie crede profondamente nell’entertainment, ritenendolo non solo una parte fondamentale, ma uno spazio generativo all’interno dell’intero gioco della musica: il titolo di quest’ultimo lavoro, uscito per Sony dopo un’abbondante decina di album da hit parade, lo dimostra ancora una volta.Heavy Entertainment Show nasce dall’intento di raggiungere in modo deciso (e magari qualitativamente decisivo) milioni di persone, e di farlo nel modo più leggero: attraverso, ovviamente, la magia delle canzoni e dello spettacolo che le racconta. Avvalendosi di collaborazioni di rilievo con maestri della canzone-entertainment contemporanea come John Grant in I Don’t Want to Hurt You o Rufus Wainwright in Hotel Crazy, Robbie si riposiziona con facilità straordinaria in uno spazio autoriale importante, cercando di segnare il proprio confine e ritagliarsi un ruolo preciso: quello, verrebbe da dire, di un moderno McCartney, sì, ma tamarro.Se dunque la title track, con fiati a là Sgt. Pepper’s sul finale ci lancia immediatamente nel mood da hit parade, il secondo brano dell’album, il singolo Party Like a Russian, è già un ritornello inscalfibile, con la sua resa in violenta salsa Putin piccante di un vecchio Prokofiev e tutte le provocazioni del caso – già ampiamente raccolte dall’establishment del Cremlino.Tra ballad con inserti rappati, giri in Do maggiore recisi alla nascita che lasciano comunque un mood commosso, saltano fuori dal cilindro David’s Song, altra ballata strappalacrime arrangiata in odore di classicità, Sensitive, che si candida in pochi secondi a diventare la più grande hit della prossima estate con una produzione sospesa tra Timberlake e il vintage, e il tarantellesco duetto con John Grant sul finire. Da Heavy Entertainment Show, un disco ricco, barocco e corposo, si possono estrarre agilmente parti di marcette, fiati all’inglese, musica classica e persino l’eco di un sound sospeso tra l’epico e il fantasy.Presentato con una versione deluxe con tanto di dvd, questo lavoro, a cui collaborano – oltre agli artisti già citati – anche Guy Chambers, Brandon Flowers dei Killers, Ed Sheeran e Stuart Price, non è però soltanto un ricco scrigno di hit, ma, specialmente, un nuovo tassello utile per riconoscere criticamente il ruolo di un songwriter di primo livello, che ancora scivola parzialmente sulla propria cifra stilistica, ma è più che mai ascrivibile alla categoria di chi maneggia il pop con lo stesso senso di intimità che il pubblico nutre per lui, spesso per ragioni più performative che autoriali; uno che si prende sul serio ma mai troppo e, così facendo, rischia troppo spesso di essere confuso con il giullare della festa e non come un artista.

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Lo chiamiamo Robbie con quella confidenza che riserviamo con naturalezza alle figure entrate nell’intimità e dunque anche a quelli che possiamo liberamente definire come veri miti della pubertà. Sceso ormai da tempo immemore dai poster dell’ultima meritevole e talentuosa boyband del ’900, Mr. Williams è oggi a tutti gli effetti un artista adulto, e lo è da un pezzo. In termini discografici, Robbie è quello che si definisce un “hitmaker”, la popstar che, subito dietro a Elvis Presley, governa da sempre le classifiche.

La similitudine più calzante e utile a spiegare che cosa sia oggi Robbie Williams, però, chiama in causa le sue capacità d’autore e, su tutti, un nome principe: Paul McCartney. Con un po’ di coraggio, un respiro a pieni polmoni e facendo propria tutta la sfrontatezza necessaria a parlare onestamente di canzoni pop, diremmo che Robbie ha un talento nella scrittura dei propri pezzi che si può serenamente paragonare a quello di Sir. Paul. Non si tratta, naturalmente, di perdere tempo in sciocchi paragoni qualitativi che non sussistono, ma di limitarsi a constatare come nel Dna dell’ex ragazzotto Take That stia, nemmeno troppo nascosta, la capacità innata di disegnare melodie pop perfettamente accattivanti e seduttive, irresistibili, feroci e, più semplicemente, davvero riuscite. Come McCartney, poi, Robbie crede profondamente nell’entertainment, ritenendolo non solo una parte fondamentale, ma uno spazio generativo all’interno dell’intero gioco della musica: il titolo di quest’ultimo lavoro, uscito per Sony dopo un’abbondante decina di album da hit parade, lo dimostra ancora una volta.

Heavy Entertainment Show nasce dall’intento di raggiungere in modo deciso (e magari qualitativamente decisivo) milioni di persone, e di farlo nel modo più leggero: attraverso, ovviamente, la magia delle canzoni e dello spettacolo che le racconta. Avvalendosi di collaborazioni di rilievo con maestri della canzone-entertainment contemporanea come John Grant in I Don’t Want to Hurt You o Rufus Wainwright in Hotel Crazy, Robbie si riposiziona con facilità straordinaria in uno spazio autoriale importante, cercando di segnare il proprio confine e ritagliarsi un ruolo preciso: quello, verrebbe da dire, di un moderno McCartney, sì, ma tamarro.

Se dunque la title track, con fiati a là Sgt. Pepper’s sul finale ci lancia immediatamente nel mood da hit parade, il secondo brano dell’album, il singolo Party Like a Russian, è già un ritornello inscalfibile, con la sua resa in violenta salsa Putin piccante di un vecchio Prokofiev e tutte le provocazioni del caso – già ampiamente raccolte dall’establishment del Cremlino.

Tra ballad con inserti rappati, giri in Do maggiore recisi alla nascita che lasciano comunque un mood commosso, saltano fuori dal cilindro David’s Song, altra ballata strappalacrime arrangiata in odore di classicità, Sensitive, che si candida in pochi secondi a diventare la più grande hit della prossima estate con una produzione sospesa tra Timberlake e il vintage, e il tarantellesco duetto con John Grant sul finire. Da Heavy Entertainment Show, un disco ricco, barocco e corposo, si possono estrarre agilmente parti di marcette, fiati all’inglese, musica classica e persino l’eco di un sound sospeso tra l’epico e il fantasy.

Presentato con una versione deluxe con tanto di dvd, questo lavoro, a cui collaborano – oltre agli artisti già citati – anche Guy Chambers, Brandon Flowers dei Killers, Ed Sheeran e Stuart Price, non è però soltanto un ricco scrigno di hit, ma, specialmente, un nuovo tassello utile per riconoscere criticamente il ruolo di un songwriter di primo livello, che ancora scivola parzialmente sulla propria cifra stilistica, ma è più che mai ascrivibile alla categoria di chi maneggia il pop con lo stesso senso di intimità che il pubblico nutre per lui, spesso per ragioni più performative che autoriali; uno che si prende sul serio ma mai troppo e, così facendo, rischia troppo spesso di essere confuso con il giullare della festa e non come un artista.

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