Recensione 'OKNOTOK' dei Radiohead | Rolling Stone Italia
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‘OK Computer’ è sempre una cosa seria

'OKNOTOK', la riedizione del classico del 1997, ci ricorda quanto è stato importante il capolavoro dei Radiohead

Photo by: Jim Steinfeldt/Michael Ochs Archives/GettyImages)

«Non c’è un significato dietro a OK Computer. L’unico messaggio è il caos». Thom Yorke aveva spiegato così nel ’97 l’album, primo passo del processo di dissoluzione della band inglese in un’entità immateriale ed enigmatica, in grado di scatenare reazioni fortissime. Perché OK Computer ha costretto una generazione a interrogarsi sul futuro.

Pre-millenium tension: è uno dei modi in cui si è provato a descrivere quel misto di paura e sogno, melodia e distorsione, campionamenti e chitarre, politica e poesia, malinconia e rabbia, con cui i Radiohead hanno scritto la colonna sonora del millennio che stava per finire, anticipando molto di quello che sarebbe successo dopo.

Un album realizzato seguendo una visione difficilissima, cambiando l’idea di canzone pop e dissolvendola in pura atmosfera, un impossibile sonoro costruito nell’isolamento di una casa di Bath in cui la band si è rinchiusa con Nigel Godrich, registrando tutto dal vivo e sintetizzando un impeto che Yorke ha descritto in modo criptico: «Mirare il bersaglio e poi sbagliare». Questa riedizione restituisce la visione della band in tutta la sua inconsapevole chiarezza e dimostra quanto fosse avanti questo album, e regala otto B-sides e tre inediti, I Promise, Lift e la strepitosa Man of War, recuperati dagli archivi e risuonati.

Con OK Computer gli album sono tornati per un momento a essere una cosa seria, come quelli dei Pink Floyd e dei Beatles. Un disco che ci ha costretto ad ascoltare e, forse per l’ultima volta, ci ha invitato non a consumare musica, ma a viverla, anche come espressione del proprio tempo.

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