'Nerve' si sballa con la metafora dei social media | Rolling Stone Italia
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‘Nerve’ si sballa con la metafora dei social media

Gli autori del film pensano che il target di millennial a cui è rivolto non sia capace di pensare con la propria testa

Sei un giocatore o un osservatore? Nerve vuole una risposta, occhio a cosa scegli. C’è un’ottima idea dietro a questo thriller, ed è già più di quanto si possa dire di tanti film estivi. Peccato che Nerve non abbia il coraggio di seguirla fino in fondo.

In questi giorni di Pokemon Go e ragazzini trasformati in zombie digitali, la storia di un gioco online che spinge gli utenti a rischiare la vita per un Like non potrebbe essere più tristemente attuale. Nel film, gli osservatori pagano per guardare i giocatori: su Snapchat l’umiliazione è merce che vale oro. Emma Roberts è Vee, una liceale troppo impaurita per essere altro che un’osservatrice.

Ma la sua amica Sydney (Emily Meade), che non ha problemi a mostrare il culo a uno stadio gremito solo per accumulare punti nel gioco, la convince ad alzare la posta. Nella sua prima prova, Vee è sfidata a baciare in pubblico uno sconosciuto di nome Ian (Dave Franco) e inizia così a tirar fuori il proprio lato selvaggio. Presto ci scappa il morto, ma a quel punto pure sceneggiatura e ritmo del film non se la passano troppo bene.

Roberts e Franco, troppo vecchi per passare per adolescenti, fanno di tutto per dare fascino ai loro personaggi. Il problema è che Nerve non crede che il target di millennial a cui è rivolto sia capace di pensare con la propria testa. Il film si sballa con questa metafora dei social media come malattia venerea, ma gli cala tutto quando si trasforma in una predica sulla perdita della privacy e della nostra identità. E finisce così per farsi unfolloware dallo spettatore.