Martin Scorsese – Silence | Rolling Stone Italia
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Martin Scorsese – Silence

Leggi la recensione di Silence di Martin Scorsese dal 12 gennaio al cinema

Dio è morto? E se non lo è, perché sembra essere sordo, cieco e muto di fronte alla sofferenza umana? Quest’ultimo sarebbe uno spunto profondo per qualsiasi film, ma Silence di Martin Scorsese affronta senza paura il grande salto, in un crescendo vertiginoso che offre poche risposte ma pone tutte le domande giuste. Non è la prima volta che il regista – cresciuto in un ambiente cattolico praticante – affronta il tema della fede, avendolo fatto in precedenza sia in modo diretto (L'ultima tentazione di Cristo, Kundun) che implicito (Mean Streets - Domenica in chiesa, lunedì all'inferno, Taxi Driver, Toro scatenato, Cape Fear - Il promontorio della paura), opere in cui il credo esplode nel sangue. Questo racconto sui missionari gesuiti è stato definito un progetto nato da una passione personale di Scorsese – un termine improprio, dal momento in cui questo grande regista americano non ha mai girato un film su un tema che non lo appassionasse. Quello che conta qui è che questo artista di 74 anni ha cercato di portare Silence sullo schermo dalla fine degli anni Ottanta, da quando ha letto per la prima volta l’omonimo romanzo del 1966 di Shusaku Endo, un giapponese convertito al cattolicesimo che ha visto qualcosa di profondo nella storia dei missionari portoghesi che hanno rischiato la vita per portare la parola di Dio in Giappone nel corso del XVII secolo.Questa è la trama su cui Scorsese sviluppa la ricerca spirituale del suo necessario, indimenticabile film. Andrew Garfield, con gli occhi vivi di fervore, interpreta padre Sebastião Rodrigues; Adam Driver, con un corpo affamato che ricorda quello di un santo asceta, è coprotagonista nei panni di padre Francisco Garupe. Attraverso tali interpretazioni feroci e impegnate, viaggiamo verso est con i giovani sacerdoti alla ricerca di Padre Cristovao Ferreira, il loro mentore scomparso, interpretato da Liam Neeson. È nascosto e vive in clandestinità, è stato giustiziato oppure è sposato e vive nel peccato da buddista? L'ultima possibilità li riempie di terrore. Inesperti in tema di persecuzione religiosa, il Giappone sovverte il mondo e i sistemi a cui Rodrigues e Garupe sono abituati. I brutali signori feudali e i samurai al potere sono impegnati a stanare i cristiani e a convertire chi può salvarsi a patto che accettino di calpestare un yefumi, un'immagine rozzamente scolpita di Cristo. La resistenza può causare la morte per annegamento, combustione, crocifissione o accoltellamento, oppure l’essere semplicemente appeso a testa in giù e lasciato lentamente morire dissanguato sopra una fossa. Scorsese, che ha scritto la sceneggiatura con Jay Cocks (L'età dell'innocenza), non è solito sguazzare in questo immaginario violento, che utilizza solo per riflettere l'orrore dei sacerdoti a cui viene offerto di calpestare un yefumi per salvare le vite di altri.L'introduzione del dubbio, soprattutto in Rodrigues, è un tema che funge da forza propulsiva per il film – due ore e quaranta minuti d’impegnativa spiritualità – che non sarà facile da vendere a un pubblico popolare diffidente dal fare un passo fuori dall’universo della Marvel. Scorsese ci incoraggia a esaminare i nostri sentimenti sulla fede e sulla redenzione. Neeson, che mostra in pieno il suo carattere nella parte finale del film, è notevole nel mostrare come Padre Ferreira concilia convinzione e dubbi su un Dio che sceglie di soffrire con gli uomini, piuttosto che porre fine alle loro sofferenze. Girato a Taiwan con l'occhio poetico del talentuoso Rodrigo Prieto (The Wolf of Wall Street), il film è una meraviglia tecnica ed espressiva. Se volete la prova che il montaggio può essere una forma d'arte, guardate ciò che Thelma Schoonmaker, collaboratrice di lunga data di Scorsese, è in grado di fare editando immagini capaci di dar vita a un dibattito riflessivo.Tutte le interpretazioni sono di prim'ordine, con particolare lode agli attori giapponesi. Yōsuke Kubozuka è eccezionale nei panni di Kichijiro, una figura alla Giuda che vuole aiutare i sacerdoti ma li tradisce continuamente per salvare la propria pelle. C’è un meritato rumorio da Oscar per l’interpretazione d’Issey Ogata nelle vesti d’Inoue, l'Inquisitore malvagio il cui spirito sornione parla al lato politico delle sue scelte spirituali. È Inoue che ordina la crocifissione di tre cristiani del villaggio su una spiaggia, ognuno dei quali viene soffocato dall'acqua con l’aumentare della marea. Come molte altre scene di Silence, anche questa è ricca di bellezza e terrore, rivolgendosi a un Dio silenzioso in contrasto con una squisita natura che, sullo sfondo, afferma l'esistenza di un potere superiore.A tratti, il prete accerchiato interpretato da Garfield ascolta Cristo e parla per mezzo di lui: "Calpestato. È per essere calpestato dagli uomini che sono nato in questo mondo". È una visione, una forma di compassione o di autoindulgenza? Scorsese ha affermato che Silence indaga "la necessità che la fede combatta la voce dell'esperienza". Non vi è alcun dubbio in merito alla pertinenza del film in un mondo contemporaneo in cui il fondamentalismo e l'estremismo religioso sono in costante aumento. Scorsese, con una correzione rigorosa sulla complessità del suo soggetto, rifiuta di temperare la durezza del film con prediche o facili sentimentalismi. Il cielo e l'inferno, la natura bruta e la grazia, secondo Scorsese hanno lo stesso peso nel forgiare la fede così come il regista la vede.Certo, Scorsese si sta spingendo troppo oltre. La maggior parte dei visionari lo fanno. Il destino di questo film dipenderà da ciò che aprirà o non aprirà in voi. Le questioni che solleva non sono destinate a essere assimilate facilmente, ma nessuno con una vera convinzione nelle possibilità e nei misteri del cinema, penserebbe di non andare a vedere Silence. Si tratta di filmografia essenziale dal credo di Scorsese, un maestro moderno che vive e respira attraverso le immagini che mette sullo schermo.

Leggi la recensione di Silence di Martin Scorsese dal 12 gennaio al cinema

Dio è morto? E se non lo è, perché sembra essere sordo, cieco e muto di fronte alla sofferenza umana? Quest’ultimo sarebbe uno spunto profondo per qualsiasi film, ma Silence di Martin Scorsese affronta senza paura il grande salto, in un crescendo vertiginoso che offre poche risposte ma pone tutte le domande giuste. Non è la prima volta che il regista – cresciuto in un ambiente cattolico praticante – affronta il tema della fede, avendolo fatto in precedenza sia in modo diretto (L’ultima tentazione di Cristo, Kundun) che implicito (Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno, Taxi Driver, Toro scatenato, Cape Fear – Il promontorio della paura), opere in cui il credo esplode nel sangue. Questo racconto sui missionari gesuiti è stato definito un progetto nato da una passione personale di Scorsese – un termine improprio, dal momento in cui questo grande regista americano non ha mai girato un film su un tema che non lo appassionasse. Quello che conta qui è che questo artista di 74 anni ha cercato di portare Silence sullo schermo dalla fine degli anni Ottanta, da quando ha letto per la prima volta l’omonimo romanzo del 1966 di Shusaku Endo, un giapponese convertito al cattolicesimo che ha visto qualcosa di profondo nella storia dei missionari portoghesi che hanno rischiato la vita per portare la parola di Dio in Giappone nel corso del XVII secolo.

Questa è la trama su cui Scorsese sviluppa la ricerca spirituale del suo necessario, indimenticabile film. Andrew Garfield, con gli occhi vivi di fervore, interpreta padre Sebastião Rodrigues; Adam Driver, con un corpo affamato che ricorda quello di un santo asceta, è coprotagonista nei panni di padre Francisco Garupe. Attraverso tali interpretazioni feroci e impegnate, viaggiamo verso est con i giovani sacerdoti alla ricerca di Padre Cristovao Ferreira, il loro mentore scomparso, interpretato da Liam Neeson. È nascosto e vive in clandestinità, è stato giustiziato oppure è sposato e vive nel peccato da buddista? L’ultima possibilità li riempie di terrore. Inesperti in tema di persecuzione religiosa, il Giappone sovverte il mondo e i sistemi a cui Rodrigues e Garupe sono abituati. I brutali signori feudali e i samurai al potere sono impegnati a stanare i cristiani e a convertire chi può salvarsi a patto che accettino di calpestare un yefumi, un’immagine rozzamente scolpita di Cristo. La resistenza può causare la morte per annegamento, combustione, crocifissione o accoltellamento, oppure l’essere semplicemente appeso a testa in giù e lasciato lentamente morire dissanguato sopra una fossa. Scorsese, che ha scritto la sceneggiatura con Jay Cocks (L’età dell’innocenza), non è solito sguazzare in questo immaginario violento, che utilizza solo per riflettere l’orrore dei sacerdoti a cui viene offerto di calpestare un yefumi per salvare le vite di altri.

L’introduzione del dubbio, soprattutto in Rodrigues, è un tema che funge da forza propulsiva per il film – due ore e quaranta minuti d’impegnativa spiritualità – che non sarà facile da vendere a un pubblico popolare diffidente dal fare un passo fuori dall’universo della Marvel. Scorsese ci incoraggia a esaminare i nostri sentimenti sulla fede e sulla redenzione. Neeson, che mostra in pieno il suo carattere nella parte finale del film, è notevole nel mostrare come Padre Ferreira concilia convinzione e dubbi su un Dio che sceglie di soffrire con gli uomini, piuttosto che porre fine alle loro sofferenze. Girato a Taiwan con l’occhio poetico del talentuoso Rodrigo Prieto (The Wolf of Wall Street), il film è una meraviglia tecnica ed espressiva. Se volete la prova che il montaggio può essere una forma d’arte, guardate ciò che Thelma Schoonmaker, collaboratrice di lunga data di Scorsese, è in grado di fare editando immagini capaci di dar vita a un dibattito riflessivo.

Tutte le interpretazioni sono di prim’ordine, con particolare lode agli attori giapponesi. Yōsuke Kubozuka è eccezionale nei panni di Kichijiro, una figura alla Giuda che vuole aiutare i sacerdoti ma li tradisce continuamente per salvare la propria pelle. C’è un meritato rumorio da Oscar per l’interpretazione d’Issey Ogata nelle vesti d’Inoue, l’Inquisitore malvagio il cui spirito sornione parla al lato politico delle sue scelte spirituali. È Inoue che ordina la crocifissione di tre cristiani del villaggio su una spiaggia, ognuno dei quali viene soffocato dall’acqua con l’aumentare della marea. Come molte altre scene di Silence, anche questa è ricca di bellezza e terrore, rivolgendosi a un Dio silenzioso in contrasto con una squisita natura che, sullo sfondo, afferma l’esistenza di un potere superiore.

A tratti, il prete accerchiato interpretato da Garfield ascolta Cristo e parla per mezzo di lui: “Calpestato. È per essere calpestato dagli uomini che sono nato in questo mondo”. È una visione, una forma di compassione o di autoindulgenza? Scorsese ha affermato che Silence indaga “la necessità che la fede combatta la voce dell’esperienza”. Non vi è alcun dubbio in merito alla pertinenza del film in un mondo contemporaneo in cui il fondamentalismo e l’estremismo religioso sono in costante aumento. Scorsese, con una correzione rigorosa sulla complessità del suo soggetto, rifiuta di temperare la durezza del film con prediche o facili sentimentalismi. Il cielo e l’inferno, la natura bruta e la grazia, secondo Scorsese hanno lo stesso peso nel forgiare la fede così come il regista la vede.

Certo, Scorsese si sta spingendo troppo oltre. La maggior parte dei visionari lo fanno. Il destino di questo film dipenderà da ciò che aprirà o non aprirà in voi. Le questioni che solleva non sono destinate a essere assimilate facilmente, ma nessuno con una vera convinzione nelle possibilità e nei misteri del cinema, penserebbe di non andare a vedere Silence. Si tratta di filmografia essenziale dal credo di Scorsese, un maestro moderno che vive e respira attraverso le immagini che mette sullo schermo.

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