Le avventure spaziali di Sufjan Stevens e i suoi amici | Rolling Stone Italia
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Le avventure spaziali di Sufjan Stevens e i suoi amici

E poi ci sono dischi come "Planetarium" che attivano un piacere indiretto, ma paradossalmente molto profondo

Sufjan Stevens. Foto di Suzi Pratt/WireImage

Sufjan Stevens. Foto di Suzi Pratt/WireImage

Quando avevo chiesto a Mac DeMarco quali fossero le sue recenti influenze musicali, ha citato anche l’album Plantasia di Mort Garson. Si tratta di musica da suonare alle vostre piante per farle crescere bene. Non so che ne pensino le piante, ma è un disco molto bello, però se non l’avesse tirato fuori lui non mi sarebbe mai venuta voglia di ascoltarlo. Allo stesso modo, l’afflato cosmico, un po’ new age, di Planetarium, il nuovo lavoro di Sufjan Stevens – ispirato al sistema solare – in collaborazione con Bryce Dessner (chitarrista di The National), Nico Muhly e James McAlister, mi avrebbe creato una certa diffidenza, se non fosse stato composto da un supergruppo del genere: l’impianto sinfonico di Nico, l’armonia di Bryce, la ritmica di James, i testi (un’esplorazione spaziale che si risolve in un’indagine interiore alla Space Oddity) e la voce (sfruttata in ogni possibile direzione) di Sufjan, più un quartetto d’archi e sette tromboni a completare l’ensemble. Ci sono dischi che ami perché ti sembra di non aver sentito mai niente di simile prima, altri perché riescono a intercettare una tua emotività particolarmente esposta, poi ci sono dischi come Planetarium che attivano un altro livello di piacere, in qualche modo più indiretto, ma paradossalmente più profondo. Per come la vedo, è la capacità di creare qualcosa conoscendo bene i codici del contemporaneo e senza dissimulare la propria consapevolezza. Planetarium è così. Non ti verrebbe mai da dire che è un disco immediato, né tantomeno fresh, per usare un aggettivo inflazionatissimo, anzi è proprio il contrario: ti chiede un atto di fiducia nello stile e nell’ambizione del talento a evolversi. Ti seduce attraverso un virtuosismo controllato (che può pure nascere da un’irrequietezza fuori controllo) in grado di tenere insieme classica contemporanea, rock ed elettronica in una sorta di messa laica dove anche la spiritualità arriva alla trascendenza passando per la scienza.

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