John Cale – M:FANS | Rolling Stone Italia
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John Cale – M:FANS

Leggi la recensione del nuovo disco degli Skunk Anansie su RollingStone.it

Nel 1982 John Cale fece un disco doloroso e minimale. Si chiuse in uno studio di New York con un piano elettrico e pochi rumori di percussioni, un paio di collaboratori occasionali (tra i quali Sam Shepard, sua madre al telefono, il chitarrista dei Blue Oyster Cult), tenendo l’occhio all’orologio perché la piccola etichetta Ze, che l’avrebbe stampato, soldi proprio non ne aveva. Recitò in una dozzina di canzoni incantate, quasi in trance, i fallimenti, le fughe, il dolore, di personaggi semplici e fragili – amici, madri, figlie – che stavano avviandosi ad abitare una nuova società, “più forte” di quella che l’aveva preceduta, ma soltanto per “morirci dentro”. Non che gli allegri anni ’80 fossero del tutto sordi alla cosa, ma questa distopia così spoglia e personale fu un tale fallimento commerciale che Music for New Society, nonostante la retromania di questi ultimi anni resta ancora un oggetto praticamente segreto. Ma il carattere del personaggio è questo. Collaboratore di John Cage e La Monte Young, violista dei Velvet Underground, Cage è stato uno dei primi a utilizzare i droni del minimalismo americano nel rock, ed è uno dei protagonisti segreti della musica popolare della seconda metà del XX secolo. Il suo lavoro di produttore per gli Stooges, per Nick Drake, per Horses di Patti Smith sta lì a dimostrarlo. Tutto questo per dire che lui sa benissimo quanto conti il “suono” nella musica. Proprio per la sua natura di oggetto, di residuo comunicativo, di scoria linguistica. Riascoltare 33 anni dopo in questo M:Fans le stesse canzoni di Music for New Society ma con un nuovo arrangiamento elettronico, infinitamente più pieno ed esplicito nella sua messa in scena del dolore di quanto non fosse l’originale, potrà allora essere una piccola delusione per qualcuno. I pochi che il disco lo ricordavano, almeno. Non i molti (si spera) che attraverso l’ascolto di questo torneranno al disco del 1982. I due dischi vivono l’uno accanto all’altro. E poi, di fronte a tanti esempi di “modernizzazione” del proprio repertorio da parte di vecchi eroi del rock’n’roll M:fans resta un esempio di sofisticatissimo saggio critico (in azione) del proprio lavoro.

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Nel 1982 John Cale fece un disco doloroso e minimale. Si chiuse in uno studio di New York con un piano elettrico e pochi rumori di percussioni, un paio di collaboratori occasionali (tra i quali Sam Shepard, sua madre al telefono, il chitarrista dei Blue Oyster Cult), tenendo l’occhio all’orologio perché la piccola etichetta Ze, che l’avrebbe stampato, soldi proprio non ne aveva. Recitò in una dozzina di canzoni incantate, quasi in trance, i fallimenti, le fughe, il dolore, di personaggi semplici e fragili – amici, madri, figlie – che stavano avviandosi ad abitare una nuova società, “più forte” di quella che l’aveva preceduta, ma soltanto per “morirci dentro”. Non che gli allegri anni ’80 fossero del tutto sordi alla cosa, ma questa distopia così spoglia e personale fu un tale fallimento commerciale che Music for New Society, nonostante la retromania di questi ultimi anni resta ancora un oggetto praticamente segreto. Ma il carattere del personaggio è questo. Collaboratore di John Cage e La Monte Young, violista dei Velvet Underground, Cage è stato uno dei primi a utilizzare i droni del minimalismo americano nel rock, ed è uno dei protagonisti segreti della musica popolare della seconda metà del XX secolo. Il suo lavoro di produttore per gli Stooges, per Nick Drake, per Horses di Patti Smith sta lì a dimostrarlo. Tutto questo per dire che lui sa benissimo quanto conti il “suono” nella musica. Proprio per la sua natura di oggetto, di residuo comunicativo, di scoria linguistica. Riascoltare 33 anni dopo in questo M:Fans le stesse canzoni di Music for New Society ma con un nuovo arrangiamento elettronico, infinitamente più pieno ed esplicito nella sua messa in scena del dolore di quanto non fosse l’originale, potrà allora essere una piccola delusione per qualcuno. I pochi che il disco lo ricordavano, almeno. Non i molti (si spera) che attraverso l’ascolto di questo torneranno al disco del 1982. I due dischi vivono l’uno accanto all’altro. E poi, di fronte a tanti esempi di “modernizzazione” del proprio repertorio da parte di vecchi eroi del rock’n’roll M:fans resta un esempio di sofisticatissimo saggio critico (in azione) del proprio lavoro.

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