'I Primitivi', la recensione | Rolling Stone Italia
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‘I Primitivi’, tra la retorica del gioco più bello del mondo e la Brexit

La trama gira intorno a una partita di calcio in stile 'Fuga per la vittoria': vincere per restare liberi, perdere per diventare schiavi. Ma noi italiani stiamo attraversiamo la valle di lacrime di chi si trova a guardare il Mondiale in arrivo soltanto da spettatori.

C’è una complicazione tutta italica che accompagna l’arrivo al cinema de I primitivi, il nuovo lungometraggio di animazione stop-motion diretto dal premio Oscar britannico Nick Park. E non mi riferisco al doppiaggio, per quanto il confronto tra Eddie Redmayne-Tom Hiddleston-Maisie Williams vs. Riccardo Scamarcio-Salvatore Esposito-Paola Cortellesi uno comunque tenda a farlo.

La trama di questo film gira intorno a una partita di calcio (calcio paleolitico, comunque più moderato del calcio fiorentino), in stile Fuga per la vittoria: vincere per restare liberi, perdere per diventare schiavi. Ma noi, italiani nel senso di tifosi della Nazionale, quest’anno attraversiamo la valle di lacrime (esagerando) di chi si trova a guardare il Mondiale in arrivo soltanto da spettatori non-coinvolti, per colpa delle macumbe venturian-tavecchiane.

Quindi tutta la retorica del gioco più bello del mondo come portatore di civiltà, affrancatore di popoli ecc. ecc., di cui I primitivi è pervaso – nel film la magica sfera chiamata pallone è letteralmente un dono da un altro mondo, in forma di meteorite – a noi per forza risulta un po’ amara. Anche perché l’animo sportivo nazionale che viene risollevato da questo film è soprattutto quello inglese – ok, hanno inventato il calcio moderno e hanno il tifo più bello. Ma in quanto a palmarès mondiale…

Comunque. I primitivi racconta la storia di Dag e della sua tribù, che vive tranquilla in una valle verde (però sono scalzi) cacciando, quando riescono, furbissimi coniglietti – citazione da Wallace & Gromit – La maledizione del coniglio mannaro, ovviamente. Sono primitivi perché fermi all’Età della Pietra: ma un giorno la loro armonia è interrotta da una civiltà esterna che è già entrata nell’Età del Bronzo, e fa irruzione a bordo di mammut in assetto da guerra che ricordano quelli dell’esercito di Mordor.

Un popolo superiore dal punto di vista tecnologico (e della bigiotteria) ma inevitabilmente già corrotto. I primitivi quindi vengono cacciati dalla valle, ricca di risorse, ed esiliati in una landa sterile, piena di pericoli, lava e anatre giganti con le zanne. Ma Dag, che evidentemente ha una marcia in più dei suoi compatrioti, non ci sta e convince Lord Nooth, il capriccioso leader dei Bronzei, a giocarsi tutto con una partita di calcio. Quello, incredibilmente, acconsente. Da qui in poi è facile immaginare come andrà.

È interessante notare come nella versione originale i Bronzei abbiano un accento vagamente francese, che nel doppiaggio italiano diventa tedesco: perché nell’immaginario nostrano i cattivoni, soprattutto in fase pre-elettorale, sono gli eurocentrici sostenitori dell’austerity e delle quote latte. Ma in questo scontro/incontro tra continentali sofisticati e variegati (l’Unione Europea?) e degli isolani più autentici ma anche più arretrati c’è forse qualche sfumato accenno alla Brexit, e alla tendenza della Gran Bretagna a cercare di riappropriarsi del proprio felice passato non-globalizzato? Forse, ma non è del tutto chiaro dove sia la ragione. In fondo i Bronzei hanno inventato il pane in cassetta.

I primitivi è deliziosamente retrò, visivamente sfavillante, divertente e tenero, un po’ naif nelle gag, e come previsto dà il meglio nella varietà dei personaggi e nella ricchezza dei dettagli. E il doppiaggio è eccellente (originale, ma pure italiano, dai). Certo, è lo stesso spirito che trent’anni fa da ingrediente base alle storie targate Aardman, la casa di produzione che ha creato capolavori come Galline in fuga e Shaun, vita da pecora.

Forse con il passare degli anni l’umorismo di Nick Park si è fatto meno sovversivo, più rassicurante. Ma stiamo parlando di un signore gentile va per i 60 e porta avanti un’arte analogica, ormai estranea a questo tempo di CGI e supereroi strafottenti. Andate su YouTube e guardatevi un’intervista: vorreste soltanto sedervi lì con lui, bere un the e mangiare crackers e formaggio, proprio come fanno i suoi (e nostri) adorati Wallace e Gromit. Ma in mancanza di quello, c’è questo film.