Editors - In Dream | Rolling Stone Italia
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Editors – In Dream

C’è stato un momento in cui sembrava che gli Editors dovessero diventare i nuovi Coldplay. Stiamo parlando del periodo immediatamente successivo all’uscita di An End Has a Start, quando la band ottenne il suo primo numero uno nella classifica britannica e sembrava dovesse rivaleggiare con gli Arcade Fire per il titolo di gruppo nato indie, […]

C’è stato un momento in cui sembrava che gli Editors dovessero diventare i nuovi Coldplay. Stiamo parlando del periodo immediatamente successivo all’uscita di An End Has a Start, quando la band ottenne il suo primo numero uno nella classifica britannica e sembrava dovesse rivaleggiare con gli Arcade Fire per il titolo di gruppo nato indie, ma destinato a riempire le arene. Vennero anche scelti dai R.E.M. come special guest per il loro tour di addio (anche se ancora non lo sapevamo) e sembrava davvero stessero facendo le prove da rockstar. Non era così però, e lo dimostrarono chiaramente al mondo dando alle stampe un disco – il loro terzo album, quello del 2009 – dove le velleità da stadio e le chitarre lasciarono spazio a sintetizzatori di chiara impronta new wave. Il disco sbagliato al momento sbagliato. O almeno questo è quello che pensarono in tanti.La volete sapere però qual è la cosa divertente? Col senno di poi, proprio In This Light and on This Evening è finito per essere considerato il migliore del loro catalogo, quello più radicale e libero da compromessi, al punto che, quando due anni fa sono tornati in pompa magna – almeno qui da noi – sulla strada maestra inseguita dai tanti, troppi, nuovi U2, più di qualcosa sembrava non funzionare. Sensazione confermata in toto da questo nuovo In Dream, dove Tom Smith e compari sembrano voler dire: «OK, abbiamo fatto quello che volevate che facessimo e non ha funzionato. Per cui adesso torniamo a giocare con le nostre regole e vediamo questa volta chi ha ragione».Quindi riecco la cold wave, i synth, la produzione di Alan Moulder, brani che avrebbero fatto gridare di gioia il vostro compagno di banco darkettone ai tempi del liceo (è inutile che fate finta di no, ne abbiamo tutti avuto uno) e pure qualche inaspettata reminiscenza Bronski Beat. Per dirla proprio con le parole del cantante: gli Editors vogliono dimostrare al mondo che si può fare musica pop, ma con coraggio e assecondando la propria attitudine "sperimentale". Non sempre ci riescono, ma in alcuni momenti – The Law e la conclusiva Marching Orders – sono davvero da applausi a scena aperta.

C’è stato un momento in cui sembrava che gli Editors dovessero diventare i nuovi Coldplay. Stiamo parlando del periodo immediatamente successivo all’uscita di An End Has a Start, quando la band ottenne il suo primo numero uno nella classifica britannica e sembrava dovesse rivaleggiare con gli Arcade Fire per il titolo di gruppo nato indie, ma destinato a riempire le arene. Vennero anche scelti dai R.E.M. come special guest per il loro tour di addio (anche se ancora non lo sapevamo) e sembrava davvero stessero facendo le prove da rockstar. Non era così però, e lo dimostrarono chiaramente al mondo dando alle stampe un disco – il loro terzo album, quello del 2009 – dove le velleità da stadio e le chitarre lasciarono spazio a sintetizzatori di chiara impronta new wave. Il disco sbagliato al momento sbagliato. O almeno questo è quello che pensarono in tanti.

La volete sapere però qual è la cosa divertente? Col senno di poi, proprio In This Light and on This Evening è finito per essere considerato il migliore del loro catalogo, quello più radicale e libero da compromessi, al punto che, quando due anni fa sono tornati in pompa magna – almeno qui da noi – sulla strada maestra inseguita dai tanti, troppi, nuovi U2, più di qualcosa sembrava non funzionare. Sensazione confermata in toto da questo nuovo In Dream, dove Tom Smith e compari sembrano voler dire: «OK, abbiamo fatto quello che volevate che facessimo e non ha funzionato. Per cui adesso torniamo a giocare con le nostre regole e vediamo questa volta chi ha ragione».

Quindi riecco la cold wave, i synth, la produzione di Alan Moulder, brani che avrebbero fatto gridare di gioia il vostro compagno di banco darkettone ai tempi del liceo (è inutile che fate finta di no, ne abbiamo tutti avuto uno) e pure qualche inaspettata reminiscenza Bronski Beat. Per dirla proprio con le parole del cantante: gli Editors vogliono dimostrare al mondo che si può fare musica pop, ma con coraggio e assecondando la propria attitudine “sperimentale”. Non sempre ci riescono, ma in alcuni momenti – The Law e la conclusiva Marching Orders – sono davvero da applausi a scena aperta.

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