Bob Dylan - Shadows in the Night | Rolling Stone Italia
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Bob Dylan – Shadows in the Night

Se si volesse trovare una formula per etichettare Shadows in the Night, sarebbe: “Il più importante autore americano omaggia il più grande interprete americano”, o una cosa del genere. È il 36esimo album da studio di Bob Dylan e arriva dopo una serie di lavori acclamati da pubblico e critica tra i quali l’ultimo Tempest […]

Se si volesse trovare una formula per etichettare Shadows in the Night, sarebbe: “Il più importante autore americano omaggia il più grande interprete americano”, o una cosa del genere. È il 36esimo album da studio di Bob Dylan e arriva dopo una serie di lavori acclamati da pubblico e critica tra i quali l’ultimo Tempest del 2012. Stavolta Dylan ha selezionato 10 standard pop della canzone americana, resi famosi dalla voce di Frank Sinatra, li ha ripuliti dal glitter e dal trucco sbavato di tutto quello che c’è stato nel mezzo, e li ha fatti suoi.Il risultato – come c’era da aspettarsi e come anticipato dal singolo Full Moon and Empty Arms – è scontato e al tempo stesso singolare: contemporaneo e classico, serio e disinvolto, rassicurante e già post-Dylan. A impressionare è soprattutto la voce: piena, profonda, appena increspata nei momenti più intensi. Qualcuno storcerà il naso, ma è un’operazione che ricorda quella che Mike Patton, con Mondo Cane, ha fatto con la canzone italiana: chi si ricordava di gemme come Urlo negro dei Blackmen?È forse paradossale paragonare Dylan, lo Zeus del pantheon musicale, a nomi come Leonard Cohen, Waits, Scott Walker, ma è sul quel terreno che queste canzoni vanno a mettersi, come in un cerchio nel grano lasciato libero per accogliere l’astronave madre.

Se si volesse trovare una formula per etichettare Shadows in the Night, sarebbe: “Il più importante autore americano omaggia il più grande interprete americano”, o una cosa del genere. È il 36esimo album da studio di Bob Dylan e arriva dopo una serie di lavori acclamati da pubblico e critica tra i quali l’ultimo Tempest del 2012. Stavolta Dylan ha selezionato 10 standard pop della canzone americana, resi famosi dalla voce di Frank Sinatra, li ha ripuliti dal glitter e dal trucco sbavato di tutto quello che c’è stato nel mezzo, e li ha fatti suoi.

Il risultato – come c’era da aspettarsi e come anticipato dal singolo Full Moon and Empty Arms – è scontato e al tempo stesso singolare: contemporaneo e classico, serio e disinvolto, rassicurante e già post-Dylan. A impressionare è soprattutto la voce: piena, profonda, appena increspata nei momenti più intensi. Qualcuno storcerà il naso, ma è un’operazione che ricorda quella che Mike Patton, con Mondo Cane, ha fatto con la canzone italiana: chi si ricordava di gemme come Urlo negro dei Blackmen?

È forse paradossale paragonare Dylan, lo Zeus del pantheon musicale, a nomi come Leonard Cohen, Waits, Scott Walker, ma è sul quel terreno che queste canzoni vanno a mettersi, come in un cerchio nel grano lasciato libero per accogliere l’astronave madre.

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