Angel Olsen - My Woman | Rolling Stone Italia
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Angel Olsen – My Woman

Leggi la nostra recensione di Angel Olsen su Rollingstone.it

Ci prova di brutto Angel Olsen, con la sua presenza distorta alla PJ Harvey, il suo muoversi in equilibrio sopra al disordine alla Pavement e l’aria imbronciata da eroina solitaria indie-folk. Ma, come era già successo con Burn Your Fire for No Witness del 2014, sembra rimanere sempre intrappolata dentro se stessa e al suo lamento elettrificato, come se non riuscisse a tirare fuori l’emozione in forma di melodia che, come dimostra la storia della musica disagiata dai Velvet Underground in poi, è l’unica cosa che può fare la differenza. Courtney Barnett, per dirne una, è un’altra cosa. Però lo stile scarno e malinconico di questa 29enne di St.Louis che ha esordito come corista del supremo Bonnie Prince Billy è molto interessante, così come le canzoni minimali di un disco che magari non rappresenta il salto di qualità definitivo (nonostante l’ottima chitarra di accompagnamento di Seth Kauffman), ma ha dentro tante cose piacevoli da ascoltare e ancora più cose disturbanti da sentire.

Questa recensione è stata pubblicata sul Rolling Stone di settembre. Clicca sulle icone qui sotto per leggere l'edizione digitale.
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Ci prova di brutto Angel Olsen, con la sua presenza distorta alla PJ Harvey, il suo muoversi in equilibrio sopra al disordine alla Pavement e l’aria imbronciata da eroina solitaria indie-folk. Ma, come era già successo con Burn Your Fire for No Witness del 2014, sembra rimanere sempre intrappolata dentro se stessa e al suo lamento elettrificato, come se non riuscisse a tirare fuori l’emozione in forma di melodia che, come dimostra la storia della musica disagiata dai Velvet Underground in poi,
è l’unica cosa che può fare la differenza. Courtney Barnett, per dirne una, è un’altra cosa. Però lo stile scarno e malinconico di questa 29enne di St.Louis che ha esordito come corista del supremo Bonnie Prince Billy è molto interessante, così come le canzoni minimali di un disco che magari non rappresenta il salto di qualità definitivo (nonostante l’ottima chitarra di accompagnamento di Seth Kauffman), ma ha dentro tante cose piacevoli da ascoltare e ancora più cose disturbanti da sentire.

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