Jessica Jones 2, la recensione | Rolling Stone Italia
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Alle origini di Jessica Jones

La sua rabbia sbattuta in faccia è quasi catartica e la rende un'icona praticamente perfetta per questi tempi di Time's Up e Me Too.

Ogni supereroe che si rispetti ha la sua origin-story: anche chi tutto vorrebbe essere, tranne che speciale. Se la prima stagione di Jessica Jones si concentrava sulle conseguenze dei suoi poteri, più che sulle cause (segnando un bel cambio di passo per la Marvel), la seconda si focalizza su quello che ha trasformato Jessica nell’eroina dannata, cinica e brutalmente ironica che adoriamo.

La sua rabbia sbattuta in faccia è quasi catartica e la rende un’icona praticamente perfetta per questi tempi di Time’s Up e Me Too. D’altra parte la creatrice dello show Melissa Rosenberg è una che di femminismo e inclusione non si riempie soltanto la bocca: tutti i 13 episodi della season two sono diretti da registe. Tutti.

E non aspettatevi nulla di convenzionale, nemmeno dalla nascita dell’incazzatissima vigilante interpretata da Krysten Ritter che, dopo aver spezzato il collo al supercattivo Uomo Porpora e affrontati gli eventi shock di The Defenders, fatica a ritrovare se stessa. Ci prova, come sempre, a forza di whiskey da due soldi e scazzottate nei bar di Hell’s Kitchen.

Soprattutto quando scopre che, dopo l’incidente che ha ucciso la sua famiglia e quasi ammazzato lei, nei registri ospedalieri emergono 20 giorni di vuoto tra il suo ricovero e il risveglio. La seconda stagione aggiunge profondità ai rapporti con i personaggi chiave: dall’amica Trish Walker (Rachael Taylor), all’avvocato Jeri Hogarth (Carrie-Anne Moss), a Malcolm Ducasse (Eka Darville).

Tornano la scrittura mai scontata e una New York decadente che sembra uscita da un film noir. Anche se nei primi episodi non ce n’è traccia, pare che in qualche modo rivedremo anche Kilgrave, la nemesi di Jessica (non vi diremo nè come, nè quando, nè perchè). Come si può immaginare una nuova stagione senza David Tennant?