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‘The Great Gig in the Sky’ non era necessaria: la recensione originale di ‘The Dark Side of the Moon’

Cinquant’anni fa usciva negli Stati Uniti il best seller dei Pink Floyd. Fu compreso subito? Ecco come ne scriveva il Rolling Stone americano nel 1973

Foto: Jill Furmanovsky

I Pink Floyd sono una delle rock band inglesi d’avanguardia più longeve e di maggior successo. Sono usciti relativamente indenni dal pantano della musica psichedelica britannica di metà anni ’60 con la fama di pionieri della sperimentazione col pallino per lo spazio. È stata una fase breve, che ha lasciato ai Pink Floyd la fama di rocker “tecnologici”, quattro musicisti che padroneggiano gli strumenti elettronici e maneggiano un arsenale di effetti sonori in modo autorevole e raffinato. Non hanno mai venduto valanghe di dischi, ma grazie alle tournée negli Stati Uniti hanno iniziato a farsi un bel seguito. Più di recente hanno elaborato uno stile musicale in grado di valorizzare finalmente certe magie sonore affascinanti e potenzialmente irresistibili.

The Dark Side of the Moon è il loro nono album e, più che una raccolta di canzoni, è una lunga pièce. Il tema principale parrebbe la caducità e la miseria della vita umana, un argomento decisamente poco gettonato in ambito rock. Time (“Il tempo è scaduto, la canzone è finita”), Money (“Dividetela equamente, ma non prendete una fetta della mia torta”) e Us and Them (“‘Avanti!’, gridò dalle retrovie”) potrebbero essere le chiavi per interpretare il significato (se davvero ce n’è uno) di The Dark Side of the Moon.

È un concept album, ma certi pezzi funzionano anche presi singolarmente. Time è un bel rock a tinte country con un assolo di chitarra potente di David Gilmour, mentre Money ha un che di satirico, col sax di Dick Parry (presente anche in Us and Them con un assolo meravigliosamente arioso). Lo strumentale On the Run è uno dei pezzi migliori, col rumore di passi che corrono da una parte all’altra e fuggono da una serie di rumori sinistri ed esplosioni, per finire annientati dal ticchettio d’orologio che introduce Time. L’album è costruito in modo solido, abbellito da sintetizzatori, effetti sonori e parti parlate. Il suono è ricco e stratificato, pur rimanendo pulito e ben strutturato.

Qualche passaggio debole c’è. La voce di David Gilmour a tratti è fiacca e poco incisiva, e The Great Gig in the Sky (che chiude il primo lato) avrebbe potuto essere più corta o addirittura eliminata. Si tratta, però, di dettagli. The Dark Side of the Moon è un disco raffinato, talmente pieno di sostanza e di idee da catturare e coinvolgere chi lo ascolta. La sua grandeur va oltre l’aspetto strettamente musicale, una cosa raramente si riscontra nel rock. The Dark Side of the Moon brilla della luce tipica delle opere fuori dal comune.

Da Rolling Stone US.

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