The Velvet Underground, 10 cose che non sapevi su 'White Light/White Heat' | Rolling Stone Italia
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The Velvet Underground, 10 cose che non sapevi su ‘White Light/White Heat’

Sfuriate anti-hippie, il licenziamento di Andy Warhol e tutto quello che ha contribuito al secondo album della band

The Velvet Underground, 10 cose che non sapevi su ‘White Light/White Heat’

Di tutti i dischi in studio (e dal vivo) pubblicati dai Velvet Underground, White Light/White Heat è senz’altro il più rumoroso, il più difficile. «Non lo ascoltò nessuno», ha detto Lou Reed nel 2013, pochi mesi prima della sua morte. «Ma lì c’è la quintessenza del punk. E nessuno si è mai avvicinato».

Registrato a settembre 1967 in una manciata di session in studio e poi pubblicato il 30 gennaio del 1968, White Light/White Heat è l’ultimo album con il co-fondatore John Cale, e non aveva nulla né del fascino losco di The Velvet Undergrund & Nico, né delle melodie che poi sarebbero finite nell’omonimo album del 1969. Con il suo assalto sfascia stereo di strumenti distorti, testi sull’abuso di metanfetamine, assurde procedure mediche (Lady Goliva’s Operation), violenza macabra (The Gift), disperazione dall’aldilà (I Heard Her Call My Name) e spacciatrici di eroina (Sister Ray), White Light / White Heat era nato per superare ogni tipo di confine, per sfidare il pubblico.

Ancora oggi, a 50 anni dalla sua uscita, è un ascolto complicato, difficile. «È un disco rabbioso», ha scritto Cale nei testi del box set Peel Slowly and See. «Il primo album aveva la sua gentilezza, il secondo era volutamente contro la bellezza». Al contrario di quanto detto da Lou Reed, però, non sono pochi quelli che l’hanno ascoltato. All’epoca fu praticamente ignorato dalla critica – e dal pubblico -, ma nel corso del tempo è diventato influenza decisiva per gli Stooges, David Bowie, i Suicide e anche di una piccola band chiamata Nirvana. Oggi, proprio in onore del suo 50esimo compleanno, vi presentiamo 10 cose che (probabilmente) non sapevate sulla sua storia.

1. Il sound aggressivo era una risposta al “flower power” della Summer of Love

Foto p.g.c. archivi UMe

Foto p.g.c. archivi UMe

Quando i Velvet Underground sono entrati nei Mayfair Sound Studios di New York, a settembre del 1967, la Summer of Love era ancora una cosa enorme a San Francisco – e i Velvet non erano certo parte della scena hippie. «Ispirati dall’hype dei media, e incoraggiati da canzoni ingannevoli in radio (Airplane, Mamas and Papas, Eric Burdon), i ragazzini scappavano dal centro America per andare sulla costa», diceva il chitarrista Sterling Morrison in Uptight: The Velvet Underground Story. «E così, nel picco della Summer of Love, noi siamo rimasti a New York e abbiamo registrato un orgasmo tutto nostro». «È stato molto divertente, almeno finché non ci sono state vittime», ha detto Lou Reed del movimento hippie in un’intervista a Rolling Stone del 1987. «Poi non ha riso più nessuno. Erano in pochi a rendersi conto di cosa stava succedendo: tutto il flower power è crollato dopo i morti di overdose. Quello di cui parlavamo noi sembrava esagerato, ma era solo un ritratto fedele di alcune persone».

2. I suoni di chitarra sono il risultato di un accordo con Vox

Vox è diventato un marchio popolare negli states grazie a Beatles, Rolling Stones, Kinks e a tutti quei gruppi della British Invasion che usavano i loro amplificatori, organi e chitarre. Nel 1966 l’azienda si è accordata con i Velvet Underground, la prima band americana a usare i loro strumenti. Gli amplificatori (e pedali) Vox permisero alla band di sperimentare con il suono, spingendo le distorsioni fino al limite. «In pezzi come Sister Ray e The Gift il fuzz è fondamentale», ha spiegato Jonathan Richman. «White Light / White Heat è un disco fatto trattando gli amplificatori Vox con empatia», ha aggiunto Morrison.

4. Gli studi di metafisica di Lou Reed (e le metanfetamine) hanno ispirato l’album

Tutti sanno che Lou Reed e John Cale prendevano un sacco di metanfetamine nei primi anni dei Velvet, e in molti sono convinti che la title track sia un’ode entusiasta all’uso di speed. Nel 1969, però, durante un’intervista telefonica, Lou Reed ha spiegato che c’è anche un collegamento con il suo studio della metafisica. «Mi interessa la ‘luce bianca’ da molto tempo, l’ho studiata a lungo», disse prima di elogiare A Treatise on White Magic, il volume di Alice Bailey che spiega come “chiamare un fiume di pura luce bianca”.

4. Lou Reed ha “suonato” un melone, diretto da Frank Zappa

Frank Zappa

Frank Zappa

In The Gift John Cale legge un breve racconto, scritto da Lou Reed, a proposito di Waldo Jeffers, un giovane innamorato che cerca di sorprendere la sua ragazza “spedendosi” rinchiuso in una scatola di cartone. Il ragazzo, però, incontrerà una fine orribile quando un amico della fidanzata decide di aprire il pacco con un coltellaccio. Per ottenere il suono della lama che sfascia il cervello di Jeffers, Reed ha “assassinato” un melone seguendo le istruzioni di Frank Zappa, che era nello stesso studio per registrare con i Mothers of Invention. «Mi diceva: “Suona meglio se lo fai come ti dico io”», ha detto Reed a Mojo anni dopo. «Poi ha aggiunto: “Sai, sono molto sorpreso. Il vostro album mi piace parecchio”».

5. ”Here She Comes Now”, all’inizio, era scritta per la voce di Nico

Here She Comes Now è il “seguito” spirituale di Femme Fatale, e originariamente è stata scritta per Nico. L’idea era di Andy Warhol, che voleva una continuità con I’ll Be Your Mirror e All Tomorrow’s Parties. A quanto pare Nico l’ha cantata anche qualche volta sul palco, ma non ci sono registrazioni di questa versione.

6. Il solo in “I Heard Her Call My Name” è un omaggio a Ornette Coleman

Nel corso della sua carriera Lou Reed ha spesso parlato del suo amore per il free jazz, soprattutto della musica del sassofonista Ornette Coleman. «Ci sono due lati della medaglia per me», disse a Rolling Stone nel 1989. «Da una parte l’r&b e il rockabilly, dall’altra Ornette Coleman e Don Cherry, Archie Shepp, roba del genere. Quando ero al college avevo il mio show jazz in radio, si chiamava Excursion on a Wobbly Rail come la canzone di Cecil Taylor. All’epoca mi aggiravo nel Village e seguivo Coleman ovunque andasse a suonare». L’influenza jazz si sente in molte tracce di White Light / White Heat, soprattutto nel solo di chitarra di I Heard Her Call My Name. «Volevo suonare come lui. Usavo la distorsione per collegare le note, così nessuno poteva sentire le mie esitazioni… non mi è mai sembrato violento. Pensavo fosse molto divertente».

7. Un tecnico del suono è scappato durante l’incisione di “Sister Ray”

Su disco dura 17 minuti e mezzo – dal vivo anche di più: l’epica Sister Ray era una delle canzoni preferite di Andy Warhol. «Mentre registravamo il secondo album», ha detto Lou Reed. «Mi ha detto: “assicurati di registrare la canzone dove dici “sucking on my ding-dong”. Era davvero un tipo divertente». Uno dei tecnici del suono al lavoro sul disco – non è chiaro se si trattasse di Gary Kellgren o Val Valentine -, però, non era altrettanto divertito, ed è scappato dallo studio mentre la band registrava il brano. «A un certo punto si è alzato e ha detto: “Ascoltate, io me ne vado. Non potete pagarmi abbastanza da farmi ascoltare questa merda. Vado giù a prendermi un caffè, quando avete finito premete quel pulsante e venite a cercarmi”», ha raccontato Lou Reed. «Ed è andata proprio così».

8. Il produttore Tom Wilson era più impegnato a rimorchiare che a seguire le registrazioni

Tom Wilson, il produttore dell’album, aveva già lavorato a The Velvet Underground and Nico, ma la band si è ritrovata spaesata di fronte al suo comportamento durante le session per White Light / White Heat. «Era incredibile, aveva trasformato lo studio in una parata di femmine», ha detto John Cale. «Ma era molto ispirato, e con le sue battute alleggeriva sempre il nostro umore». La più innervosita era Moe Tucker: Wilson era troppo distratto e, durante la registrazione di Sister Ray, si è dimenticato di aprire i microfoni della batteria. «Volevo uccidermi», ha detto anni dopo alla fanzine What Goes On. «Avevamo registrato due take e mi sembravano buone, poi mi sono accorta che mancava tutta una parte, non era mai stata registrata. E tutti erano convinti che avessi smesso di suonare, ero infuriata».

9. La copertina è il “regalo d’addio” di Andy Warhol

La separazione tra i Velvet Underground e Andy Warhol non è stata piacevole. «Ci siamo seduti e ne abbiamo parlato», ha raccontato Lou Reed. «Mi disse: “Devi decidere cosa vuoi fare. Vuoi continuare a suonare nei musei o vuoi aprirti ad altre possibilità? Lou, non credi che sia il caso di pensarci?”. Io ci ho pensato e poi l’ho licenziato. Era furioso, non l’avevo mai visto così. Era davvero arrabbiato. Mi ha chiamato “ratto”, probabilmente l’insulto peggiore della sua vita». Alla fine del 1967, però, Warhol aveva già smaltito, o almeno l’aveva fatto abbastanza da suggerire un’idea per la copertina di White Light / White Heat. L’idea originale era di Lou Reed, ma è Warhol che ha proposto l’artista Billy Name, l’uomo perfetto per l’immaginario opposto a Sgt. Pepper che la band desiderava.

10. La title track e “Here She Comes Now” sono state censurate in molte radio

Nonostante White Light / White Heat e Here She Comes Now non suonassero affatto come le hit radiofoniche dell’epoca, l’etichetta decise comunque di pubblicarle come singoli. Non fu un successo, ma la band ha dichiarato più volte di essere stata vittima di censura, molto probabilmente a causa dei riferimenti alla droga e al sesso. «Dicevano che Here She Comes Now fosse un pezzo sull’orgasmo di una ragazza», ha detto Reed a Time Out nel 1972. «Ho risposto: “No, non è così”, ma ascoltando il pezzo mi sono reso conto che poteva essere interpretato così. Ma che importa? Tanto ci hanno censurato lo stesso».

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