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The Greatest Showman: la nuova impresa di Hugh Jackman

Tutto è nato da un'idea fra amici, che poi dopo tre anni finalmente si è concretizzata

«Vi racconto un breve aneddoto per spiegarvi cosa mi ha attratto della personalità di P.T. Barnum». A parlare è Hugh Jackman, ieri presente in collegamento via satellite, all’anteprima stampa di The Greatest Showman, assieme al cast e al regista. Il musical, che sbarcherà nelle sale il prossimo Natale, è ispirato alla storia vera dell’imprenditore americano P.T. Barnum, un personaggio che ben duecento anni fa rivoluzionò il concetto intrattenimento. «A sedici anni Barnum lavorava in un negozio di alimentari e un giorno si presentò a lavoro trasportando ben 500 bottiglie di vetro usate, che aveva comprato a un dollaro. La sua idea, una volta pulite a dovere le bottiglie, era organizzare questa sorta di lotteria che aveva le bottiglie come premio finale e per cui, una volta venduti i biglietti, avrebbe incassato 10 dollari, ossia dieci volte di più di quanto aveva speso. Il padrone della bottega non fu felice della cosa e lo licenziò seduta stante: l’idea era assurda, nessuno avrebbe speso un centesimo per vincere bottiglie vuote! Barnum gli rispose così: “A chi compra un biglietto della lotteria non interessa tanto il premio in sé. Ciò che importa è l’idea di vincere”».

È con la stessa idea di vincere che l’ex-Wolverine, dimessi i panni del mutante artigliato una volta per tutte, torna al musical dopo Les Misérables per raccontare la storia di questo genio della comunicazione che «sapeva individuare gli ingranaggi del modo di pensare della gente, un po’ come Steve Jobs». L’imprenditore americano divenne famoso a metà del XIX secolo per il suo circo, ricco di attrazioni straordinarie, comprese donne barbute, nani, giganti e via discorrendo, persone fino a quel momento discriminate e perseguitate per il loro aspetto poco conforme al canone estetico predominante. Scelta per cui Barnum venne aspramente criticato sia dalla società più conservatrice che dall’elite intellettuale dell’epoca, attacchi davanti ai quali lui non indietreggiò mai.

Il film nasce da una promessa che 8 anni fa Hugh Jackman, già famosissima star di Hollywood, fece al giovane regista di spot Michael Gracey: girare un film insieme. «Ma lo dicono tutti gli attori, soprattutto ai party di fine riprese delle pubblicità a cui partecipano e con il terzo drink in mano! », scherza Gracey, «Hugh però ha mantenuto la parola». Qualche tempo dopo, infatti, Jackman è tornato a bussare alla porta del regista con il copione di questo “biopic-al”, che segue la scalata al successo di Barnum da nullatenente con moglie e figlie a carico a re dell’entertainment newyorkese di metà ottocento, incarnazione perfetta del grande sogno americano. «È il momento in cui si impone l’idea moderna secondo cui talento e fantasia contano davvero».

Dalla messa a punto dello script ci sono poi voluti più di tre anni per la composizione delle canzoni originali, lavoro affidato a Benji Pasek e Justin Paul, già autori dei brani dell’acclamato La La Land. Il risultato non ha lasciato indifferente nessuno dei coinvolti: «La prima volta che ho sentito “This Is Me”, che canta l’orgoglio della diversità, mi sono commosso», racconta Jackman, «Sono certo diventerà un inno per tutti coloro che non vogliono più vergognarsi di ciò che sono». L’accettazione del diverso, infatti, è un tema che nella pellicola non passa certo in secondo piano, così come la combattuta e impossibile storia d’amore fra un’acrobata di colore e un ricco figlio di papà, personaggi interpretati dalle due ex Disney-star Zendaya e Zac Efron. «In tutti noi c’è la lotta fra mente e cuore», spiega Zendaya. «Penso che in coloro che sono presenti qui oggi abbia vinto il cuore».

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