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Set Up è ciò di cui Venezia ha bisogno

La due giorni di musica e performance artistiche a Punta della Dogana si è dimostrata per quello che è: il modo migliore per sfruttare uno spazio espositivo momentaneamente senza mostre

La performance di Erns Rejseger. Foto di Matteo De Fina

La performance di Erns Rejseger. Foto di Matteo De Fina

Ernst Reijseger ha iniziato a suonare da pochi minuti, partendo senza tanti fronzoli col suo violoncello, in piedi in mezzo al pubblico. Molti ospiti però stanno ancora arrivando, lasciando le giacche al guardaroba, intrattenendo il solito small talk di quando incontri qualcuno che conosci a un evento. C’è un po’ di brusio in fondo, e viste le dimensioni considerevoli della prima sala di Punta della Dogana più l’attenzione che richiede un’esibizione del genere, Reijseger prende di petto la situazione dirigendosi verso la fonte del brusio. Violoncello in braccio, senza smettere di suonarlo e soprattutto senza fare aggressivo, solo per fare notare a tutti che, finalmente, i due giorni di musica e spettacoli di Set Up sono iniziati proprio in quell’istante. La scena provoca qualche risatina, ma ben presto le risate lasciano spazio allo stupore.

L’olandese, leva del ’54, compositore e improvvisatore navigato con un passato anche nelle colonne sonore, usa il suo violoncello come mai nessuno prima di lui. Dimentichiamoci l’arco (che comunque usa spesso) e consideriamo lo strumento nel suo complesso. E soprattutto, consideriamolo come uno strumento in generale, senza relegarlo al dominio classico della musica da camera. Con un pubblico attorno che pende dalle sue mani, Reijseger pizzica le corde, percuote la cassa di risonanza trovando varie tonalità nelle diverse parti del legno d’acero. Addirittura lo imbraccia per improvvisare dei blues anomali, incantevoli nelle loro dissonanze, oppure trascina lo strumento facendo raschiare il piedistallo a terra e quindi innescando vibrazioni amplificate poi dal microfono.

E così, fin da subito, cala sui presenti una coltre di stupore, coinvolgimento, che proseguirà lungo tutte e due le serate dell’evento veneziano (23 e 24 febbraio). Ed è un peccato che Set Up, alla sua seconda edizione, si riesca a organizzare ogni due anni. «È fisiologico però non dargli una cadenza annuale» mi spiega più tardi Mauro Baronchelli, direttore operativo di Palazzo Grassi, organo che ha ideato il format. «L’organizzazione dell’evento richiede il suo tempo e non dimentichiamo che Punta della Dogana è uno spazio principalmente espositivo, quindi approfittiamo degli intervalli fra una mostra e l’altra.» La serata prende una piega più elettronica (la cifra dominante dell’evento ma non l’unica) nella terza sala della struttura, con l’eccentrico live degli OoopopoiooO. La coppia, armata di Moog Theremin e una sfilza di gadget allucinanti dai violini elettronici ai giocattoli, costruisce i brani servendosi di loop station e quindi sommando loop ed elementi di voce e strumenti fino a ottenere pezzi che possono facilmente sfociare nell’elettropop. Da lì ci si sposta verso le performance di danza del Collettivo Cinetico—per quanto, l’apice dell’espressione corporea, lo si raggiungerà il giorno dopo con l’esibizione di Alessandro Sciarroni, dove l’artista volteggia su sé stesso disegnando con gli arti diversi stati emozionali, dalla collera all’estasi, dalla paura alla timidezza.

Sequoyah Tiger. Foto di Matteo De Fina

Sequoyah Tiger. Foto di Matteo De Fina



«Come due anni fa, l’idea dell’evento è che lo spettatore sia il protagonista» racconta Enrico Bettinello, che insieme allo staff di Palazzo Grassi ha curato l’artistico. «Un fruitore attivo che si relaziona a proprio modo con le diverse performance e che solo dopo trova una sua dimensione all’interno di Punta della Dogana.» Se però la serata di venerdì è stato un emozionante preludio, culminato con gli angoli di un elettronica contaminata mostrati da Laurel Halo e dall’eccentricità ritmica dei Mouse On Mars, è stato il sabato a fare da padrone del weekend veneziano. Non tanto per la teoria tutta milanese per cui il venerdì è il nuovo giovedì e il sabato è il nuovo venerdì, piuttosto per la proposta più succosa, dominata dal nome imponente dei Laibach (sono loro ad aver assicurato subito il primo sold out, seguito qualche giorno più tardi da quello di venerdì).

Dopo Sciarroni, arte performante e musica si sono finalmente fuse insieme nel live di Sequoyah Tiger. Lei, Leila Gharib, musicista italo-iraniana di Verona, canta e gestisce i pedalini e le basi tratte dal suo ultimo Parabolabandit, piccola perla che gli amici di Club To Club definirebbero avant pop (tra l’altro è vestita come nella copertina del disco, una specie di mise sportiva che, oh, a me ricorda Benji di Holly e Benji). La sua socia, invece, Sonia Brunelli, utilizza il proprio corpo per dare materia alle onde acustiche di Leila. Il risultato è più che ottimo. Laibach, live incredibile, soprattutto per la capacità (sempre più rara da trovare in giro) di suonare come il Cielo comanda e anche per il videomapping che ricopre tre delle immense pareti della sala. Proiezioni che sezionano geometricamente immagini di animali e oggetti, proprio come gli sloveni sezionano da 40 anni l’industrial. Chiudono i due giorni di Set Up i quarti di cassa serviti da Matthew Herbert e il miracolo di Chris Imler, forse il più selvaggio di tutti i live in termini di coinvolgimento del pubblico e carattere del performer (batteria, pantaloni della tuta, basi motorik e post punk, mocassini bianchi)—mi chiedo perché non abbia ancora fatto un disco con gli Sleaford Mods.

Finisce così, fra gli applausi, la seconda edizione di Set Up, un evento speciale che ha dimostrato ancora una volta che, di uno spazio normalmente dedicato ad altro, si può fare un uso costruttivo, stimolante, originalmente inusuale e soprattutto totale. Un po’ come fa Reijseger col violoncello.