‘Purple Rain’, la rivoluzione di Prince | Rolling Stone Italia
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‘Purple Rain’, la rivoluzione di Prince

Il 25 giugno del 1984 usciva l'album che avrebbe cambiato per sempre la storia del genio di Minneapolis, trasformandolo da idolo delle teenager a leggenda della musica: ecco il racconto dell'epoca

‘Purple Rain’, la rivoluzione di Prince

È un’operazione senza senso, in teoria: Prince è un artista giovane che ha fatto un paio di hit pop ed è poco conosciuto nel mainstream, eccezion fatta per i ragazzini che guardano MTV, che esiste da soli due anni. Ma ora ha in mente di fare un film basato sulla sua vita (ha buttato giù le idee su un quaderno viola, mentre viaggiava sul tour bus) e il suo prossimo album sarà la colonna sonora. Ha alcune canzoni pronte e vuole registrarle. Dal vivo. Stasera.

È il 3 agosto del 1983, e Prince è tornato a Minneapolis dopo il tour di 1999 in cui ha attraversato il Paese suonando per un pubblico sempre più vasto, che ha mol- tiplicato le sue ambizioni. Ora è a casa, pronto a fare il suo primo concerto al club First Avenue dopo più di un anno. All’ultimo decide di far arrivare il suo studio mobile e di registrarlo. «Il locale era strapieno», ricorda il tour manager Alan Leeds, «il proprietario, Steve McClellen, aveva paura che arrivassero i vigili del fuoco a chiudere tutto». Questo concerto segna l’esordio della nuova giovanissima chitarrista dei Revolution, Wendy Melvoin, e anche della canzone che definisce il capitolo successivo della carriera di Prince e in un certo senso anche la sua vita.

Prince Rogers Nelson è morto il 21 aprile scorso

Una scena tratta dal film Purple Rain

Incredibilmente, quella prima esecuzione di Purple Rain (con qualche taglio e l’aggiunta degli archi) è quella definitiva che finisce sia sul disco sia nel film, che esce esattamente un anno dopo, quando l’album è già un successo. La conquista globale di Prince è completata.

«Purple Rain sembra un album dei Beatles. Ogni canzone è geniale e unica», dice il tastierista Matt Fink, «è anche tecnicamente più avanzato dei dischi precedenti». Da quel momento in poi, per milioni di ascoltatori, Prince diventa Purple Rain. L’album vende 13 milioni di copie, il triplo di 1999. Quando esce il film, nel luglio del 1984, Prince diventa l’unico artista ad avere un album, un singolo e un film al numero uno in classifica nello stesso momento. Un trionfo senza precedenti che nasce dalla sua visione artistica, dalla sua determinazione e da un’ambizione senza limiti, il punto di arrivo di una strategia che nessuno, nemmeno le persone più vicine a lui avevano intuito. «Sapevo che album sarebbe stato», ha detto Prince, «E per tutto il 1984 ho lavorato per metterlo al mondo».

Il successo di Little Red Corvette apre a Prince le porte del mercato pop. Dez Dickerson ha descritto così il pubblico del tour di 1999: «Una marea di facce sempre più bianche». Prince ha riconfigurato il suo suono, il suo stile e la sua band per allargare il suo pubblico. Sa che se si mostra sul palco come un grande chitarrista alla guida di una vera band, invece che come un mago solitario delle tecniche di registrazione sempre chiuso nel suo studio, può conquistare anche i fan del rock&roll. Fa anche un cambio di formazione fondamentale, sostituendo Dez Dickerson con Wendy Melvoin, amica di infanzia del- la tastierista Lisa Coleman. I Revolution diventano un mix di generi e razze, e una manifestazione visiva di un progetto musicale che Prince ha spiegato ai suoi musicisti come un incrocio tra Fleetwood Mac e Sly and the Family Stone. «Venivamo da mondi diversi, ma eravamo capaci di unire le nostre anime facendole convergere intensamente verso un centro creativo, e la gente lo ha sentito» dice Lisa Coleman.

Prince nel 1982, fotografato da Richard Avedon. Queste e altre foto nel numero speciale di Rolling Stone in edicola

Prince nel 1982, fotografato da Richard Avedon. Queste e altre foto nel numero speciale di Rolling Stone

La musica di Purple Rain viene concepita fin dall’inizio in parallelo con il film. Nessuno sa cos’ha in mente Prince, e i manager non sono nemmeno sicuri di riuscire a realizzare il progetto. Alla fine trovano un regista (Albert Magnoli, che non ha mai diretto un film) e il lavoro prende la forma di un lunghissimo videoclip. «Far entrare tutte le canzoni nel film è stato un colpo di genio» dice Fink.

Courtesy of Warner Bros. Records

La storia della rivalità con le altre band è ispirata alla sua carriera, perché Prince è sempre stato molto competitivo. Nelle pause del tour è andato spesso a vedere i concerti di un altro musicista del Midwest, Bob Seger. Vuole scoprire il segreto del suo successo, e secondo Fink capisce che il pubblico adora soprattutto le sue ballad come We’ve Got Tonight e Turn the Page. Anche Prince vuole scrivere il suo inno. Ha anche il sogno di unire generi diversi, e all’inizio manda la musica a Stevie Nicks (con cui ha collaborato suonando le tastiere in Stand Back) chiedendole di scrivere un testo. «Mi piacerebbe», risponde lei, «Ma è un po’ troppo per me». A un certo punto teme addirittura di aver centrato troppo l’obiettivo e di aver scritto un pezzo troppo simile a Faithfully dei Journey, chiama il tastierista Jonathan Cain e gli canta Purple Rain al telefono per essere sicuro che non gli farà causa.

Il pubblico del First Avenue considera troppo pop le prime canzoni, non abbastanza funky, e Prince risponde aggiungendo la rabbiosa Darling Nikki, in cui dice che la protagonista “Si masturba guardando delle riviste”. Una strofa che diventa famosa perché spinge Tipper Gore a creare il Parents Music Resource Center. La scaletta dell’album viene rivista più volte: Wednesday (cantata da Jill Jones) ed Electric Intercourse vengono aggiunte e poi eliminate; la composizione più elaborata, Computer Blue, dura 14 minuti, compresa una parte parlata che ricorda il monologo di Jim Morrison in The End e viene accorciata.

Take Me With U, scritta per le Apollonia 6 (evoluzione della sua band al femminile Vanity, rinominata come l’attrice protago- nista del film) si trasforma in un duetto con Apollonia (che secondo il tecnico del suono Susan Rogers, visto che non ha molta esperienza, si allena in studio cantando When I’m Sixty-Four dei Beatles). Nella scaletta del concerto al First Avenue c’è anche Let’s Go Crazy, ma Prince la registra di nuovo in sala prove e poi sovrappone l’assolo cosmico di chitarra fatto dal vivo nel club. Le riprese terminano nel dicembre del 1983, ma Prince continua a sviluppare la colonna sonora anche durante la fase di montaggio. Magnoli chiede a Prince una canzone per accompagnare le immagini di lui che guida la sua moto attraverso la città, che ha intenzione di usare negli intermezzi.

Photo by Michael Ochs Archives/Getty Images

Photo by Michael Ochs Archives/Getty Images

Il giorno dopo Prince gli porta due pezzi, uno dei quali è When the Doves Cry, una canzone senza il basso, con una chitarra stridente e un testo molto intenso ma criptico. È una musica mai sentita prima, ipnotica e accattivante fino a creare dipendenza. «La prima volta che l’ho sentita, ho capito subito che avrebbe avuto successo, mi è bastato sentire gli accordi di pianoforte del ritornello» dice Alan Leeds. La versione finale dell’album è perfetta, dall’inizio alla fine, perché mette in mostra in modo equilibrato tutti gli elementi del genio di Prince: pop, funk, rock, dance, sesso, umorismo, spiritualità.

È anche uno dei dischi in cui collabora di più con i membri della sua band, che contribuiscono a diversi pezzi. Il primo singolo, When the Doves Cry, esce a maggio e arriva al n.1 in classifica, lanciando anche l’album fino al primo posto, dove rimane sei mesi. Improvvisamente tutti vogliono sapere qualcosa del film, ma Prince si rifiuta di fare promozione, e non concede interviste.

Prince sul palco del Fabulous Forum a Inglewood il 19 febbraio 1985, foto di Michael Montfort/Michael Ochs Archives/Getty Images

Prince sul palco del Fabulous Forum a Inglewood il 19 febbraio 1985, foto di Michael Montfort/Michael Ochs Archives/Getty Images

Nel primo weekend in sala, Purple Rain recupera subito i soldi spesi per girarlo. Non è un gran film, alcune scene sembrano quasi amatoriali, altre sono decisamente misogine, ma c’è qualcosa di estremamente vero: non è un racconto fedele della sua vita, ma cattura alcuni dei suoi tormenti e conflitti interiori più intimi. Inoltre rappresenta in modo glorioso lo spirito alternativo e multirazziale della scena artistica di Minneapolis.

Sembrava un sogno impossibile, invece vince anche un Oscar per la migliore colonna sonora originale e compie il miracolo di trasformare Prince in una superstar tra le più famose al mondo, facendo crescere nello stesso tempo il mistero sulla sua vita personale. Purple Rain cambia per sempre la carriera di Prince: «È la mia croce, e finché continuerò a fare musica la porterò sempre al collo».

In un’altra occasione dice: «Mi ha fatto più male che bene. Mi ha etichettato». Ma queste canzoni saranno per sempre l’essenza del suo repertorio e della sua vita. E non è un caso che Purple Rain sia stata anche l’ultima canzone che ha suonato dal vivo.