Le 100 migliori canzoni Hip-Hop di tutti i tempi | Rolling Stone Italia
News Musica

Le 100 migliori canzoni Hip-Hop di tutti i tempi (20-1)

Da Grandmaster Flash a Tupac, passando per Eminem e Missy Elliott, una giuria d'eccezione ha scelto i brani che hanno fatto la storia del genere

Le 100 migliori canzoni Hip-Hop di tutti i tempi (20-1)

Nacque tutto 40 anni fa con un blackout che annerì Manhattan. I primi dj radunavano la gente nei parchi per ballare, spesso attaccando la spina dei loro giradischi ai pali della luce. Nel giro di pochi anni quelle musica è diventata una rivoluzione che, partendo dagli eroi della old school, è diventata una delle forme d’arte più espressive della Storia americana. Rolling Stone si è occupato di hip hop fin da quando era un fenomeno underground di New York, anni prima di MTV e del dominio delle playlist radiofoniche. Questa classifica, inserita nello speciale sull’hip hop in edicola, è stata redatta da una giuria d’eccezione, che ha selezionato i 100 migliori brani della storia dell’hip hop.

20. “In Da Club” di 50 Cent (Get Rich or Die Tryin’, 2003)

«Volevamo fare qualcosa che piacesse a noi», ha detto Dr. Dre: «50 ha preso carta e penna e in un’ora avevamo finito». Curtis Jackson dal Queens ha tutto quello che serve: una storia leggendaria (un gangster con nove pallottole in corpo), l’appoggio di Dre ed Eminem e un flow languido e sballato. Gli manca solo un beat mostruoso: su un hand clap chirurgico, 50 spinge la gente in pista e minaccia di “mettere tutta la scena rap con le spalle al muro”. Conquistando la n.1 ci riesce perfettamente.

19. “Paul Revere” Beastie Boys (Licensed To Ill, 1986)

Mike D ricorda ancora quando Adam “MCA” Yauch ha creato il beat spiaccicato di questo singolo suonando un nastro al contrario: «Siamo impazziti di gioia come dei ragazzini. Un’idea semplice, ma perfetta». Una rima su una ragazza e una “mazza da wiffleball” scatena accuse di misoginia. Nel tempo, i Beastie Boys si sono dissociati da questo tipo di testi, ma hanno cantato Paul Revere fino alla fine: per esempio a Bonnaroo nel 2009, l’ultimo concerto di Adam Yauch.

18. “Dear Mama” di 2Pac (Me Against the World, 1995)

«Le canzoni tristi erano le sue preferite», ricorda il produttore di 2Pac Johnny J. La sua ballad in onore di Afeni Shakur su un beat morbido di Tony Pizarro è il non plus ultra della canzone hip hop per la mamma: “Apprezzo il modo in cui mi hai cresciuto / E tutto l’amore extra che mi hai dato”. Ma Dear Mama colpisce anche per il suo realismo quando parla dei problemi di droga di sua madre: “Anche se sei una crackomane, Mama / Per me sarai sempre una regina nera, Mama”.

17. “Peter Piper” Run-DMC (Raising Hell, 1986)

La più grande ode ai poteri da Re Mida di un dj. Jam Master Jay ritaglia i campanelli di Take Me to the Mardi Gras, un pezzo di Bob James del 1975, mentre Run e DMC celebrano la sua grandezza: “È il lupo cattivo del quartiere / Cattivo nel senso di grandioso”.
L’etichetta dei Run-DMC aveva scelto come primo singolo da Raising Hell il pezzo rap-rock registrato con gli Aerosmith, Walk This Way, ma la band non ha dubbi: deve essere la loro doppia ode alla cultura hip hop, My Adidas/Peter Piper. Darryl “DMC” McDaniel ricorda di aver detto: «Se non lo fate voi, lo diamo noi alle radio e vi incasiniamo tutto». Alla fine hanno vinto loro, e Raising Hell è diventato il primo album di grande successo nella storia del rap.
Quando Jam Master Jay viene assassinato nel 2002, i Run-DMC si sciolgono, ma tornano insieme nel 2012 con il figlio di Jam Master Jay.

16. “Big Pimpin'” di Jay-Z feat. UGK (Vol 3…The Life and Time of S.Carter, 1999)

Jay-Z ha detto di vergognarsi un po’ del testo di Big Pimpin’: “Le prendo, le scopo, le amo, le lascio / Perché, cazzo, non ho bisogno di loro…”. «Che razza di animale può cantare una cosa del genere?», ha detto Jay: «Non riesco neanche a leggerlo». Ma Big Pimpin’ diventa l’inno definitivo dei playa del ghetto, proprio grazie alla sua celebrazione del potere e dell’eccesso. Un brano che riesce anche a superare il regionalismo dell’hip hop spingendosi oltre la Mason-Dixon Line fino a Porth Arthur, Texas, per dare al duo locale UGK uno spazio importante in una delle sue più hit più famose. “Leggi un libro, illetterato figlio di puttana, migliora il tuo vocabolario”, dice Bun B. Anche la base creata da Timbaland ha un significato ecumenico: un sample di orchestra presa da un pezzo del 1975 del cantante egiziano Abdel Halim Hafez che sottolinea la voglia di dominare il mondo di Jay-Z.

15. “Fuck Tha Police” N.W.A. (Straight Outta Compton, 1988)

Il punto di incontro tra il revival del movimento Black Panther e il nichilismo del gangsta rap, un attacco hard-funk che lancia accuse contro la polizia di Los Angeles e suona come una profezia dei riots di Los Angeles dopo il caso Rod-ney King. “Mi rompono le palle solo perché sono un teenager / Che va in giro con un po’ di oro addosso e un pager”, canta Ice Cube, che ha solo 19 anni. E poi: “Quando avrò finito, sarà un bagno di sangue di poliziotti / Morti nelle strade di L.A.”. L’FBI prende i N.W.A sul serio, tanto da mandare una lettera alla loro etichetta: «Le loro canzoni incoraggiano la violenza nei confronti delle forze dell’ordine». Risultato: i N.W.A diventano i cattivi numero uno dell’hip hop e Fuck Tha Police diventa un inno agit-pop. «La pace è una finzione», dice Ice Cube a RS nell’89, «noi ci occupiamo di realtà e la violenza è reale. Quando lo dici la gente si spaventa».

14. “Rebel Without a Pause” Public Enemy (It Takes a Nation of Millions to Hold Us Back, 1988)

Un pezzo che si apre con la voce di Jesse Jackson (“Fratelli e sorelle, non so dove andremo a finire”) e alza la posta con l’attacco di Chuck D alle radio (“Quegli stupidi della radio non mi passano mai”). Questo singolo del 1987 è un colpo di granata che perfeziona lo stile rap da battaglia dei Public Enemy e prepara il terreno al loro fondamentale secondo album. Il suono di sirena è un loop della tromba di The Grunt dei JB’s, il groove è quello di Funky Drummer di James Brown, mentre Terminator X fa scratch con il ritornello di Rock and Roll Dude di Chubb Rock. «Usiamo i sample come un’artista usa la tavolozza dei colori», ha detto Hank Shocklee. Quando ascolta la traccia completa, Chuck D è felicissimo: «Adesso posso anche morire», dice.

13. “La Di Da Di” Doug E. Fresh and the Get Fresh Crew (Singolo, 1985)

Slick Rick, il rapper anglo-americano con la benda sull’occhio era ancora conosciuto con il nome di MC Ricky D, quando La Di Da Di è uscito nel 1985. Un pezzo in cui Slick Rock canta l’amore impossibile per la mamma della sua ex fidanzata sulla base creata dal pioniere del beatbox vocale Doug E. Fresh. Una pietra miliare dello storytelling del rap, ma anche della sua tendenza al product placement (nel testo Slick Rick elenca, nell’ordine, i marchi Gucci, Bally, Kangol, Polo, Borotalco Johnson e Oil of Olay). Viene citata infinite volte da molti artisti diversi, ma l’omaggio più famoso è quello fatto da Notorious B.I.G. nel ritornello di Hypnotize. In origine La Di Da Di è un pezzo improvvisato dal vivo: «Durante i concerti, all’inizio c’era un po’ di scetticismo, poi cominciavo a far ridere il pubblico e a quel punto il successo era assicurato», ricorda Slick Rick.

12. “They Reminisce Over You (T.R.O.Y.) “ Pete Rock and C.L. Smooth (Mecca and the Soul Brother, 1992)

L’elegia più bella nella storia dell’hip hop: i rapper Pete Rock e C.L. Smooth scrivono questo pezzo in ricordo del loro amico d’infanzia di Mount Vernon, New York, “Trouble” T-Roy, ballerino nella crew di Heavy D and the Boyz, morto nel 1990 durante un tour. C.L. Smooth scrive il testo prima che Pete Rock crei la base musicale, ed è difficile da immaginare ascoltando come stanno bene insieme. Su un campione delicato e celestiale del compositore jazz-pop Tom Scott, C.L. Smooth trasforma il tributo al suo amico in una celebrazione del valore della famiglia (metaforica e letterale), che sembra allo stesso tempo un brindisi allegro durante un barbecue in giardino e un tristissimo discorso funebre. «Quando l’abbiamo ascoltata la prima volta abbiamo pianto», ricorda Pete Rock: «Ho capito che ce l’avevamo fatta. Sapevo che avrebbe avuto successo».

11. “C.R.E.A.M.” Wu-Tang Clan (Enter the Wu-Tang (36 Chambers), 1993)

Quello che rende grandi i Wu-Tang è il loro modo di esprimersi incasinato e il fatto che nei pezzi cantano sempre tutti insieme. «A volte sembrava che in studio ci fossero tutti gli abitanti del loro quartiere», ricorda Ethan Ryman, tecnico del suono del loro epocale album di debutto del 1993. Il pezzo migliore però è spietatamente semplice ed efficace: due strofe mozzafiato e poi il miglior acronimo della storia, C.R.E.A.M. con cui i Wu-Tang dettano le regole del capitalismo di strada. Il suono di pianoforte campionato di RZA risuona come il vento lungo i corridoi delle case popolari, mentre Raekwon e Inspectah Deck si scambiano atroci storie di guerra metropolitana: “Corro a comprare crack e erba / Una combinazione che mi fa uscire il sangue dagli occhi”. Non è una storia romantica ma ha un lieto fine quando Rae racconta di come ha lasciato la strada per entrare nel Clan.

10. “Paid in Full” Eric B. & Rakim (Paid in Full, 1987)

Prova n.1 nel processo: “Rakim è il John Coltrane dell’hip hop?”. Il suo rap in Paid in Full è una meditazione lunga un minuto sulla lotta tra il bene e il male, che inquadra con un tono pacato la vita quotidiana nel ghetto nell’economia reale del Paese (“Una bella porzione di pesce / Il mio piatto preferito”), raccontando ogni dettaglio con la maestria di un romanziere (“Nelle mie mani c’è solo il sudore”). In un’era in cui le canzoni hip hop sono potenti ed esagerate, il flow tranquillo di Rakim cambia le regole del gioco: «Ho sempre voluto dare agli ascoltatori l’impressione di parlare direttamente con loro. Oppure di dare loro voce cantando le mie strofe». Il beat preso da un campione di Ashley’s Roachclip dei Soul Searchers ispira i dj inglesi Coldcut a realizzare Paid in Full/Seven Minutes of Madness, probabilmente il miglior remix nella storia dell’hip hop.

9. “Straight Outta Compton” N.W.A (Straight Outta Compton, 1988)

“Un rap omicida per farti ballare / Con la fedina penale sporca come quella di Charles Manson”. La prima traccia del debutto dei N.W.A segna l’inizio del gangsta-rap con una strofa minacciosa mai sentita prima. Ice Cube, Dr. Dre, MC Ren, Dj Yella e Eazy-E spostano il centro dell’hip hop da New York a South Central L.A., nonostante MTV si rifiuti di passare il videoclip perché è troppo violento. «La gente lo stava aspettando», dice Bryan Turner dell’etichetta Priority Records, che vende due milioni di copie di questo singolo. Tra questi c’è anche Chris Rock, che compra una copia a Los Angeles e la fa ascoltare ai suoi amici della East Coast, che rimangono senza parole: «Per il pubblico rap, i N.W.A sono come la British Invasion per il rock».

8. “Juicy” The Notorious B.I.G. (Ready to Die, 1994)

Il più grande rapper della storia al suo apice: divertente, incisivo e fantasioso mentre mette insieme realismo urbano (“Il mio compleanno era il giorno peggiore”) ed eccessi da pappone (“Adesso quando abbiamo sete sorseggiamo champagne”). Il primo singolo estratto dal suo travolgente debutto del 1994, Ready to Die, è un funky che segna un passo avanti rispetto al suono aspro in stile East Coast del suo primo singolo Party and Bullshit ed è molto diverso dalla sua immagine gangsta, ma il produttore Sean “Puffy” Combs insiste perché B.I.G. faccia scorrere il suo flow sul sample di un pezzo commerciale, Juicy Fruit, classica party-hit firmata Mtume (Pete Rock sostiene che Combs abbia preso l’idea da lui): «Volevo far capire al pubblico che Notorious era più di un gangsta rapper», ha detto Combs, «in questo pezzo esprime la sua sofferenza, ma vuole anche far divertire la gente».

7. “Fight the Power” Public Enemy (Fear of a Black Planet, 1990)

Hank Shocklee dei Bomb Squad ha raccontato che la band voleva che la colonna sonora dell’esplosivo film di Spike Lee Do the Right Thing fosse «aggressiva, provocatoria, senza compromessi». Risultato raggiunto. Nessun’altra band dai tempi dei Sex Pistols ha spinto così oltre la frontiera dei suoni e delle tematiche politiche come hanno fatto i Public Enemy con Fight the Power. Chuck D bombarda personaggi e istituzioni “apertamente razziste” come Elvis, John Wayne e la Posta degli Stati Uniti, mentre la Bomb Squad stende uno strato di sample sopra l’altro (James Brown, The Dramatics, Bob Marley), fino a creare un implosivo ritmo funk-dance da battaglia.
L’idea viene a Chuck D durante un tour in Italia con i Run-DMC, e Spike Lee gira un videoclip frenetico durante una manifestazione nelle strade di Bed Stuy, Brooklyn. In quell’estate del 1989 sembra l’inizio di una rivoluzione.

6. “Nuthin’ But a ‘G’ Thang” Dr. Dre feat. Snoop Doggy Dogg (The Chronic, 1992)

Volando al n.2 in classifica nel 1993, Nuthin’ But a ‘G’ Thang fa di Dr. Dre il re della West Coast, sfidando il dominio di New York e contribuendo anche a introdurre l’hip hop nel mainstream. La vera arma segreta di questo pezzo è un animale domestico relativamente sconosciuto di nome Snoop Doggy Dogg, capace di comporre strofe memorabili. G Thang introduce anche il magistrale suono G-Funk di Dr.Dre che porta avanti l’eredità di George Clinton con un groove lento e gommoso e strati sovrapposti di sintetizzatori. «Facevamo dischi in piena epoca del crack, quando tutto era veloce, sballato e fuori fase», ha detto Chuck D, «poi è arrivato Dre e ha rallentato tutto, traghettando l’hip hop dall’era del crack a quella dell’erba». Basta ascoltare i suoi eredi di oggi, da Kendrick Lamar a Future, per capire che stiamo ancora vivendo in quell’era.

5. “Mind Playing Tricks on Me” Geto Boys (We Can’t Be Stopped, 1991)

Nel 1991 Bushwick Bill, il membro nano dei Geto Boys, si spara un colpo in testa in preda a una crisi suicida, ma sopravvive. Sulla copertina del loro primo album We Can’t Be Stopped c’è una foto di lui che mostra la ferita. Registrato prima e pubblicato dopo l’episodio, il disco entra nella Top 30 e, con le sue rime violente e misogine, scava più in profondità nella depressione e nelle tendenze suicide della band. Scarface, che ha scritto e prodotto il pezzo, sembra il suo omonimo cinematografico: armato fino ai denti e sull’orlo della follia, con una chitarra dal timbro oscuro e un campione preso dalla colonna sonora di Three Tough Guys del 1974 scritta da Isaac Hayes. In un genere in cui la paura non è considerata una cosa da uomini, questo è il pezzo che rompe la corazza da duri degli abitanti del ghetto: persino i più cattivi possono avere un cuore che soffre.

4. “Sucker M.C.’s” Run-DMC (Run-DMC, 1983)

All’inizio l’hip hop era musica da club, una derivazione della disco fatta per ballare. Dopo Sucker M.C.’s diventa patrimonio della strada. «Prima di Sucker M.C.’s non esisteva un vero disco dei B-boy», ha ricordato il dj dei Run-DMC Jam Master Jay. Poi, nel 1983, arriva questa sequenza di rime su un beat scarno creato da un Oberheim DMX e un rumore di battiti delle mani fatto apposta per i ballerini di breakdance. Pubblicata come lato B del primo singolo dei Run-DMC, It’s Like That, inizia con Run che racconta i suoi esordi leggendari, attacca i suoi rivali e si vanta del suo fascino con le donne, seguito da DMC che si presenta così: “Sono DMC / Vado alla St. John University”. È l’inizio di una nova scuola: «Non avevo paura di dire che andare a scuola è cool», ha detto Darryl DMC Daniels, «era una dimostrazione di orgoglio, ed è quello che la gente vede quando pensa ai Run-DMC».

3. “Planet Rock” Afrika Bambaataa and the Soulsonic Force (Non-album single, 1982)

«Uno dei dischi più influenti di tutti i tempi», ha detto Rick Rubin. Nel 1982 un ex membro delle gang del South Bronx trasformatosi in punk-dj e leader di una comunità mistica, crea insieme al produttore Arthur Baker e al tastierista John Robie una bomba sonora, mettendo insieme Trans Europe Express e Numbers dei Kraftwerk e facendo incontrare sintetizzatore e voce robotizzata in un pezzo futurista. Un pezzo che introduce nell’hip hop il Roland 808, uno strumento a cui Beastie Boys e Kanye West sono eternamente grati, e forgia il linguaggio sonoro della electro, della techno di Detroit, del Miami Bass e del Brazilian Favela Funk, ovvero gran parte della dance. «Al tempo non lo consideravamo un disco rap», dice Rick Rubin, «era semplicemente un nuovo sound». E Chuck D aggiunge: «Non c’è più stato un pezzo simile nella storia dell’hip hop».

2. “Rapper’s Delight” Sugarhill Gang (Non-album single, 1979)

Ci vogliono tre ragazzi del New Jersey per far arrivare un fenomeno underground di New York fino alla Top 40 radiofonica. Grandmaster Flash ricorda quando l’ha sentita la prima volta: «La Sugarhill Gang? E chi sono?». L’idea è di Sylvia Robinson, fondatrice della Sugarhill Records, che in un club di Harlem sente un dj parlare mentre suona un disco. La versione originale di Rapper’s Delight sono 15 minuti di chiacchiere da playboy di quartiere su un giro di basso disco-funk preso sfacciatamente da Good Times, la hit degli Chic del 1979. Il bassista Chip Shearin, che al tempo ha 17 anni, deve risuonare quel giro dal vivo in studio per un quarto d’ora, senza mai fermarsi e senza fare errori. Viene pagato 70 dollari. A Nile Rodgers e Bernard Edwards degli Chic è andata decisamente meglio: hanno fatto causa alla Sugar Hill Records e si sono fatti riconoscere i diritti d’autore.

1. “The Message” Grandmaster Flash and The Furious Five (The Message, 1982)

“The Message” è stato un gran colpo, una cosa da fuoriclasse», ha detto Chuck D, «il primo gruppo rap importante con il miglior rapper in circolazione, che per la prima volta dice qualcosa che ha un significato». È anche il primo pezzo che, usando il ritmo e la forza verbale dell’hip hop, dice la verità sulla vita nei quartieri poveri delle metropoli americane.
In 7 minuti e con una base incalzante di P-Funk anni ’70, Melle Mel e Duke Bootee si scambiano rime in cui descrivono scene di decadenza urbana e lotta per la sopravvivenza, con una minaccia alla fine di ogni strofa: “Non mi spingere oltre / perché sono vicino al limite / Sto cercando di non perdere il controllo”. Secondo DJ Grandmaster Flash, The Message è il pezzo che dimostra «che eravamo in grado di parlare della realtà». Quando sente il primo demo (intitolato The Jungle), Flash teme che ai fan dell’hip hop non piaccia il testo troppo impegnato e il ritmo insolitamente lento. Melle Mel ricorda di essere stato lui il primo «ad arrendersi» e a decidere di registrarlo. Sylvia Robinson della Sugar Hill gli fa scrivere altre strofe e il session man Reggie Griffin aggiunge l’indimenticabile giro di sintetizzatore. Nonostante i credit, Grandmaster Flash e i Furious Five arrivano solo alla fine, quando vengono arrestati. The Message è una hit, ma la sua genesi così confusa è fatale per Flash e i Five, che presto si sciolgono. La reunion avviene nel 2007, quando diventano il primo gruppo rap a entrare nella Rock and Roll Hall of Fame.