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La musica non basta

Attirare la nostra attenzione è sempre più difficile. Così molti artisti provano a creare fanzine su Instagram, format video o linee di abbigliamento. Ma non tutti lo fanno, soltanto i più furbi

La musica non basta

L’idea – semplice ed efficace – è quella di fare una variazione nel normale utilizzo di Instagram. Trasformarlo, da semplice spazio fotografico, in un vero e proprio magazine tematico sfruttando la funzionalità “gallery” recentemente implementata dal social network. L’esperimento di cui stiamo parlando si chiama “AVANTGarden” e a idearlo è stata la popstar inglese regina del nu-r&B FKA Twigs. “Questo è un modo per esprimermi senza dover rispettare regole o linee guida, mettendoci tanta immaginazione e cura”. Il primo numero della innovativa pubblicazione è dedicato alle treccie e ad un particolare stile di acconciature in parte ispirate alla tradizione ghanese.

AVANTgarden issue 1. ROOTS ∙ SHOCK ∙ BEAUTY Creative Director: FKA twigs @fkatwigs Editor: Suzannah Pettigrew @suz_p Styling: Matthew Josephs @matthew_josephs Hair: Rio Sreedharan @rio_hair Casting: FKA twigs @fkatwigs and Olivia Kaifa @livokai Photography and post production: R + D @reecendean MUA: Bea Sweet @beasweetbeauty Set Design: Suzannah Pettigrew @suz_p Models: Chanel @chanellygirl / Naomi @_flowerchildx / Olivia @livokai / James @j_magz / Malick @ssandroidx / Kaner @kanerflex / Vanessa @vanessaohenlen / Jourdan @jourdancopeland / Rachellé @rachellehollandxx Logo: Matt de Jong @go_dejong Layout: FKA twigs @fkatwigs / Suzannah Pettigrew @suz_p / Matt de Jong @go_dejong Illustrations: Roxie Warder @roxiepandora

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Superata l’ammirazione per tanta inventiva e spirito d’iniziativa una domanda sorge spontanea: da quanto tempo FKA Twigs non pubblica un nuovo disco? La risposta è: da molto tempo. A parte il singolo Good to Love del 2016 il suo ultimo EP M3LL155X risale al 2015. Per ritrovare un vero e proprio disco come LP1 dobbiamo tornare indietro addirittura al 2014. In compenso soltanto lo scorso gennaio FKA aveva pubblicato assieme con il producer Oneohtrix Point Never un altro progetto atipico intitolato Trust in Me parte di una collaborazione commerciale con Nike.

Volendo stigmatizzare la strategia di FKA Twigs si potrebbe dire che sembra essere più impegnata in progetti creativi personali o sponsorizzati piuttosto che in quello che dovrebbe essere il suo “core business” principale ovvero la semplice azione di fare musica o suonare dal vivo. FKA non è la sola ad avere un atteggiamento del genere, anche in Italia un emergente come Ghali si comporta in maniera simile. A parte il recente “Album” e la raccolta di vecchie tracce “Lunga vita a Sto” gran parte della sua attività è dedicata ad iniziative non strettamente musicali. Tra le tante ha fatto scalpore il suo coinvolgimento nella recente campagna di un celebre operatore telefonico (con i fan che arrivano a implorargli di mettere in download il jingle scritto per lo spot, quando mai è accaduto qualcosa di simile nel mondo della pubblicità?) come quella per il lancio di un nuovo videogame di cui ha seguito e realizzato anche il video promozionale da veicolare nei propri social network. Oltre a questo corrono in parallelo la sua etichetta, il marchio di abbigliamento e un magazine online dedicato alla cultura street: tutti e tre sotto l’ombrello del marchio Sto che racconta e monetizza l’universo di Ghali in diversi ambiti.

Sia FKA Twigs che Ghali hanno capito una cosa fondamentale su come funziona lo show business oggi: la gara non è più semplicemente a chi fa il disco o la canzone migliore ma si è allargata a chi è capace di attrarre continuamente l’attenzione del pubblico, con qualunque mezzo a propria disposizione. Musica, notizie e video (sempre più complessi) girano ormai tutti sullo stesso dispositivo (un computer o sempre più spesso i nostri cellulari). Così se decidiamo di vedere un film su Netflix quello sarà tempo sottratto direttamente all’ascolto di un disco su Spotify e viceversa. Ecco perché per aumentare le possibilità di incuriosire un pubblico sempre più distratto molti artisti decidono di trasformarsi in veri e propri media-brand capaci di utilizzare diversi linguaggi (foto, parola scritta, video etc) con un vocabolario che non è semplicemente quello musicale.

Una ricerca di Microsoft del 2015 riporta come il margine di attenzione dell’uomo-digitale si sia abbassato dai 12 secondi dell’anno 2000 a soli 8 secondi. Pensate all’abbondanza di scelta che ci si para davanti ogni volta che apriamo Spotify, non vi gira la testa? Tutto questo senza dover scomodare le tante altre app che aspettano accanto a portata di un semplice click. Ecco allora come il modo migliore per un artista di ricordare alle persone della propria esistenza è creare una conversazione col proprio pubblico, uno scambio continuo di informazioni in grado di contrastare il rumore di fondo di altre decine di segnali simili.

C’è chi questo dialogo ha deciso di sostenerlo paradossalmente sparendo di scena. Si è molto discusso attorno la strategia mediatica di Liberato e il mistero relativo alla sua identità. Anche quello di scomparire è un modo per creare un’attenzione permanente attorno al proprio personaggio. La scarsità provoca valore e, se interrotto al momento e nella maniera giusti, il silenzio è un ottimo generatore di hype. Che si tratti del lancio di un nuovo singolo, di una linea di merchandising o un misterioso live durante uno dei più prestigiosi festival nazionali. Se Liberato si candida ad essere il Burial italiano all’estero si continua invece a riflettere sulla storia del misterioso Jai Paul. Tornato recentemente all’onore delle cronache per uno strambo progetto edilizio il musicista e produttore inglese aveva raggiunto immediata notorietà internazionale grazie ad un paio di singoli pubblicati su Myspace intitolati “BTSU” e “Jasmine”. Dopo un contratto con la prestigiosa etichetta XL ed essere stato addirittura campionato da Drake e Beyonce compariva online un suo intero disco. Non si capisce chi lo abbia pubblicato e perché, Jai Paul però ne prendeva le distanze decidendo subito dopo di sparire di scena. “I suoi campionamenti erano rari perché lui stesso era raro” ricorda Louie Dufflebags in un recente speciale di Dazed & Confused.

All’altro lato dello spettro c’è invece la strategia della super produttività. Ingaggiare una conversazione con i propri potenziali ascoltatori (ma ormai potremmo cinicamente chiamarli clienti) comportandosi come un vero e proprio media digitale capace di produrre un’ampia serie di contenuti. Lo ha dimostrato l’ultimo Jovanotti che col suo “Jova Pop Shop” ha messo in pratica tutte le cose scritte fino a qui. Jovanotti ha infatti aperto un personale punto vendita temporaneo (negli stessi giorni e negli stessi luoghi lo hanno fatto anche altri brand atipici come Toilet Paper di Maurizio Cattelan e il sito porno Pornhub) in cui organizzare una serie di eventi che lo vedevano protagonista assieme a personaggi diversissimi tra loro: dalle chiacchiere con Toto Cutugno ad un dj set con Cosmo. L’artista diventa un vero e proprio marchio che produce contemporaneamente abbigliamento e gadget oltre che un collettore di intelligenze e talenti ben felici di prestarsi al gioco della visibilità reciproca. Il tutto è è puntualmente ripreso e raccontato in una serie di dirette Facebook rilanciate dalla pagina di Jovanotti che con i suoi 2milioni e rotti di fan può tranquillamente fare concorrenza ai più grandi editori italiani (Repubblica ne ha appena un milione in più), molto in ritardo su iniziative di questo genere.

E’ ovvio che la ragione da cui nasce tutto questo lavoro è la necessita di promuovere l’uscita del nuovo disco di Jovanotti “Oh vita!”, di cui andava ricordata continuamente l’esistenza ad un pubblico il più possibile ampio e trasversale. Una valida ragione di partenza che però ormai non è più necessariamente l’unica possibile o la principale.

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