I 30 dischi internazionali dell'anno (in continuo aggiornamento) | Rolling Stone Italia
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I 30 dischi internazionali dell’anno (in continuo aggiornamento)

Da Liam Gallagher a Kendrick Lamar, dai Gorillaz a Drake: iniziamo a tirare le somme del 2017

I 30 dischi internazionali migliori dell'anno

I 30 dischi internazionali migliori dell'anno

Ogni mese, praticamente, esce un album che pensiamo possa arrivare nella top 10 di fine anno. Solo che, con il passare dei mesi, la lista si fa sempre più ampia, e da top 10 si trasforma in 20, poi 30, poi anche di più. Con fatica ci siamo imposti di tagliarla a 30 dischi, esclusivamente internazionali, che sono quelli che secondo noi hanno segnato gli ascolti in redazione, per i motivi più differenti.

La lista è in divenire, e ogni volta soffriremo nel salutare uno degli album che finora ci hanno conquistato per far spazio a un nuovo amore.

Culture, Migos (27 gennaio)

Nel classico discorso di ringraziamento ai Golden Globes, Donald Glover (Childish Gambino), vincitore del premio “Best Television Comedy” per la serie Atlanta, ha definito i concittadini Migos «i Beatles di questa generazione» e Bad and Boujee «la migliore canzone di sempre». Ecco, forse non siamo ai livelli di Sgt. Pepper, ma Culture è uno degli album più citati della musica black.

Process, Sampha (3 febbraio)

Sfugge a ogni definizione, ma Process è un piccolo capolavoro da stanzetta. L’opera prima di Sampha racchiude tutte le sue anime, è hip hop senza esserlo, è soul ma elettronico, è pop che rifiuta le classifiche.

World Eater, Blanck Mass (3 marzo)

È un disco che copisce forte, il terzo lavoro dei Blanck Mass. Una rabbia mescolata al sentimento, che arriva dritto al punto. Una sorta di concept album post-industrial e post-club, inaspettato e deciso.

Spirit, Depeche Mode (17 marzo)

Un tour mondiale di enorme successo e un disco solidissimo, con un nuovo produttore chiamato a tirar fuori tutta la sexyness dark da Dave Gahan e compagni. Spirit è il ritorno dei Depeche Mode, con tutti gli inni elettronici che ci aspettavamo al posto giusto.

More Life, Drake (18 marzo)

Ok, tecnicamente non è un album, ma una playlist. More Life è un insieme di suoni, di ispirazioni, che fanno riferimento alla sua Drakeitudine. Il lavoro più riuscito nella carriera del canadese.

Nordic Flora Series Pt. 3: Gore-Tex City, Varg (27 marzo)

Una forma di post-techno assolutamente contemporanea, quella dipinta da Varg. È un’opera d’arte, un quadro che si muove tra le metropoli di oggi e che si discosta dalle più classiche forme di composizione oscure e “malate” di Jonas Rönnberg.

Triplicate, Bob Dylan (31 marzo)

Bob Dylan ha pubblicato il mastodontico Triplicate poco dopo il suo premio Nobel – quello che notoriamente non ha voluto ritirare – per rendere una sorta di omaggio alla storia d’America. Ed è un lavoro struggente, appassionato e delicato. Come solo Dylan sa fare.

Arca, Arca (7 aprile)

Con questo disco, il venezuelano Arca è diventato un performer vero, un cantante. Ha affermato se stesso anche oltre il suo ruolo da producer puro. E ce ne siamo innamorati.

DAMN., Kendrick Lamar (14 aprile)

Cosa c’è da dire ancora su Kendrick Lamar (a parte che non verrà a suonare in Italia)? Il rapper di Compton ha sfondato tutte le barriere, è diventato un mito da classifica. DAMN. non ambisce ad essere eclettico a tutti i costi. Ambisce, soltanto, ad essere il migliore.

Humanz, Gorillaz (28 aprile)

Il nuovo album è un potpourri di featuring, di innesti, di deviazioni e di sperimentazioni. Humanz non è un disco perfetto, ma è una festa per le orecchie, stracolmo di ispirazioni diverse partorite dalla mente ipercreativa di Albarn.

No Shape, Perfume Genius (5 maggio)

È il disco più estroverso ed eclettico dell’artista per scrittura, palette sonora e, perché no, emotività. Perfume Genius ha creato un album che forse non piacerà ai suoi fan più accaniti, ma è stato quello della aturazione necessaria.

Harry Styles, Harry Styles (12 maggio)

Abbiamo trovato il principino del rock nell’ex membro di una boyband. Il debutto folgorante di Harry Styles ha toni da classic rock che nessuno si aspettava.

Black Origami, Jlin (19 maggio)

Jlin ha creato un disco di materia oscura, difficile da decifrare, con suggestioni continue e ambientazioni fumose. Il clitch continuo di Black Origami è un nuovo approccio all’elettronica, che prende ispirazioni da tutto il mondo per filtrarla per creare un disco di culto.

Is This The Life We Really Want?, Roger Waters (2 giugno)

Sente il peso dell’eredità dei Pink Floyd in questo disco, ma è un lavoro che fa parlare di sè. Sia per le questioni politiche che affronta dentro, sia per quelle artistiche in copertina. L’avete acquistato prima della faccenda Isgrò?

Melodrama, Lorde (16 giugno)

Un po’ in sordina, senza super tour o singoli virali, Lorde ha costruito uno dei dischi dell’anno. Melodrama è una formula vincente per ragazzini sognanti e per un pubblico che ha bisogno di un pop moderno ma con un’intimità dilagante. E Lorde è lì per sussurrarvelo.

Big Fish Theory, Vince Staples (23 giugno)

È più un quadro astratto a tema black che un disco. Le pennellate di Staples in questo Big Fish Theory sanno di techno, house e altri stili non strettamente legati all’hip hop. Ma che alla fine compongono un puzzle che gli permette di giocare lo stesso gioco dei grandi producer black americani.

The Underside of Power, Algiers (23 giugno)

Il secondo disco degli Algiers vive di cambi di ritmo continui e affascinanti, con un inizio fulminante, una sezione più pacata e un finale esplosivo: The Underside of Power è una bomba coinvolgente. E dal vivo sono ancora meglio.

Grateful, Dj Khaled (23 giugno)

Dj Khaled ha messo assieme un sussidiario della musica contemporanea. La crema di tutti i pesi massimi della musica black, un disco di pop contemporaneo facile e catchy, per questo super efficace. Siamo di fronte a un nuovo guru.

4:44, Jay-Z (30 giugno)

È un disco sofferto, il controcanto di Jay-Z al capolavoro della signora Carter dell’anno scorso, Lemonade (nostro disco dell’anno 2016). 4:44 è profondo e contemporaneo, intenso e utile a capire come si possa restare contemporanei anche nell’hip hop, a quasi 50 anni.

Flower Boy, Tyler, the Creator (21 luglio)

Con questo album Tyler, the Creator è diventato definitivamente adulto. Si è scrollato di dosso la fama di cazzone per sfornare uno dei dischi più solidi e convincenti dell’hip hop americano.

Lust For Life, Lana Del Rey (21 luglio)

È un album sorridente, il primo per Lana Del Rey, ed è anche il suo più ambizioso. Sedici tracce, collaborazioni importanti, un occhio strizzato al pop e l’altro alla malinconia. Che questa volta ha tutto un altro sapore.

Everything Now, Arcade Fire (28 luglio)

È uno dei dischi che più ha diviso i fan della band. Piacione e semplice come poche altre cose dei ragazzi di Montreal, Everything Now fa venire voglia di ballare, voltando le spalle ai fan, all’indie e al rock. E, alla fine, non siamo riusciti a toglierlo dalle cuffie.

Villains, Queens of the Stone Age (25 agosto)

L’accoppiata inedita Mark Ronson – Josh Homme mette in piedi un disco inedito. «Volevo che suonasse come Songs for the Deaf, ascoltata sott’acqua attraverso una maschera», dice Homme. E l’effetto è proprio quello. Aiutato anche dall’uscita “marittima”, in coda alle vacanze estive.

American Dream, LCD Soundsystem (1 settembre)

Si sono sciolti? Non si sono sciolti? La maxi pausa degli LCD Soundsystem ha fatto benissimo al collettivo di James Murphy, che qui sforna un disco maturo e pensieroso, bilanciando l’euforia funky con l’introspezione degli anni che avanzano. Ma in questo caso fanno solo bene.

Okovi, Zola Jesus (8 settembre)

In un mondo ideale, le macchine sarebbero alimentate a energia solare, la gente terrebbe la destra sulle scale della metro e al posto di Katy Perry ci sarebbe Zola Jesus. Il pop intriso di noir della cantante americana (ma dalle fiere origini Est europee) potrebbe soltanto farci bene, ricordandoci costantemente che, prima di tutto, la vita è fatta di rabbia, istinti e scelte. Non di tinte pastello e frivole vanità.

Love What Survive, Mount Kimbie (8 settembre)

Hanno costruito un disco sul kraut rock, anche se non sono grandi appassionati del genere. I Mount Kimbie sono finalmente usciti dal vischioso mondo dell’underground e dei club, per approdare sui palchi, quelli veri. E dando vita al loro album migliore.

Sleep Well Beast, The National (8 settembre)

Sembra quasi che ci mettano in guardia da qualcosa, i National. È un lavoro più complesso, con molti più strati di prima e che loro non esitano a definire il loro “migliore”. Sleep Well Beast funziona perché lascia dei piccoli dubbi, lascia delle questioni in sospeso. Mettendo il sentimento al primo posto.

Dedicated to Bobby Jameson, Ariel Pink (15 settembre)

Possiamo finalmente goderci il suo nuovo disco: Dedicated to Bobby Jameson, un disco che se non eccelle in innovazioni, sicuramente è in linea con quello fatto da Ariel Pink fino qui. E che, senza picchi di creatività, riesce ad affermare l’artista come tra i più creativi della generazione. E di quella successiva.

Heaven Upside Down, Marilyn Manson (6 ottobre)

Ritorna verso lo shock rock, il reverendo Manson. E lo fa con un disco imponente, costruito dopo la morte del padre e contro – a modo suo – l’America di Trump.

As You Were, Liam Gallagher (6 ottobre)

Liam Gallagher ha capito la lezione degli Oasis, e, ora che non è più impegnato nella lotta di potere con suo fratello, mette la voce e l’atteggiamento al servizio delle canzoni e dell’effetto che devono fare sul pubblico. As You Were è un tuffo nel passato, consapevole. E il minore dei Gallagher riesce nel colpo inedito di scrivere dei nuovi inni.