Ho suonato in Canada (si, anche sotto le cascate) e mi è piaciuto | Rolling Stone Italia
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Ho suonato in Canada e mi è piaciuto

Damien McFly si è esibito durante la Canadian Music Week di quest'anno. Ecco il suo diario di bordo

Ho suonato in Canada e mi è piaciuto

Venezia-Parigi-Toronto: mi ritrovo catapultato nella capitale canadese, chitarra in spalla, dopo 13 ore di volo. Il fuso orario batte in testa, per fortuna il passaggio in dogana va liscio come l’olio, niente a che vedere con il terzo grado che un mese fa mi ha inchiodato per un’ora all’aeroporto di New York. Sono concentrato sul mio appuntamento alla Canadian Music Week: showcase ufficiale al mercoledì più serata ‘Italians’ al giovedì, con Birthh, Giungla e gli altri in cartellone.

Toronto è bella fredda e assieme a mio fratello ci perdiamo subito fra i grattacieli fuori dalla stazione. Guardiamo sconvolti i colori dello skyline, il vento ghiacciato che ci soffia addosso (i canadesi lo chiamano windchill). Inizio a capire perché a Padova i turisti che vengono da qui girano in bermuda anche a Natale. L’Airbnb che abbiamo prenotato è vicino ad Alexandra Park, a pochi metri da Queen Street, una zona vivace immersa nella street art locale. Le distanze non scherzano: il primo giorno vola via veloce insieme a una tazza fumante di ramen.

La mattina successiva siamo già un po’ canadesi, sentiamo meno il freddo e una volta ritirati i pass per il festival ci dirigiamo allo Sheraton Hotel. Qui si tengono quasi tutte le conferenze della Canadian Music Week 2017, l’atmosfera è un po’ business ma tutti possono interagire direttamente con alcuni personaggi di spicco della scena. Ascolto con interesse quasi scolastico gli organizzatori di festival come Coachella, Summerfest e Glastonbury e mi sembra di sentire questi palchi sempre più vicini.

Ogni ora passata al chiuso contribuisce a riportare la temperatura corporea a livelli accettabili e, quando finalmente arriva la sera, l’impazienza di andare al The Paddock Tavern per il mio primo Showcase in terra canadese è fortissima. Non avendo tutta la band al seguito e ho preparato un set ridotto, accompagnando la mia acustica con l’elettrica di mio fratello Francesco. Suonerò una versione più diretta e onesta dei miei brani, come spesso mi capita di fare fuori dall’Italia. Al Tavern le cose vanno bene, tanta gente e clima di grande attenzione già dai primi arpeggi. Sento empatìa (i canadesi direbbero empathy): l’emozione di portare la mia musica in una nuova città trasforma ogni concerto in una prima volta.

Nel frattempo, a poca distanza alla Danforth Music Hall, si stanno esibendo quei nu-metallari dei Papa Roach, band che mi ricorda la vena rock dei miei inizi. La settimana del festival offre un bel mix di artisti emergenti come me, vecchie glorie come i Good Charlotte e vecchissime glorie come i Rush, una delle band storiche del progressive-rock e bandiera della musica canadese in tutto il mondo.

Giovedì è il “Focus on Italy Day”: una serie di incontri e conferenze per presentare al festival una versione aggiornata della scena musicale italiana, spesso sottovalutata. La locandina dell’evento mostra il disegno di una torre di Pisa un po’ più pendente del solito. Nella sala accanto parla l’uomo che ha scoperto Taylor Swift, Scott Borchetta, presidente della Big Machine Records, un personaggio affascinantee e sorprendentemente progressista.

Arriviamo al Monarch Tavern: la venue si presta ad uno show più energico a suon di pennate e colpi di stompbox. L’aftershow fa definitivamente decollare la situazione: tutti raccontano la loro storia, aiutati dai drink che rendono la parlata inglese sempre più sciolta. Abbiamo chiuso la serata – o meglio, la nottata – con una classica pizza in un posto consigliato dalla gente del posto.

Il venerdì è day-off: accompagnati dall’inseparabile vento di Toronto, ci trasformiamo in turisti per visitare i pezzi forti della città, dalla CN Tower allo stadio di Baseball dei Blue Jays, passando per i locali stranamente deserti sulla riva del lago Ontario. Per andare alle cascate del Niagara – una tappa obbligata -, noleggio un’auto decisamente poco sobria che ci ha portato sul posto in meno di un’ora. Appena passato il centro di Niagara Falls – una specie di Las Vegas in miniatura che non ti aspetti – è impossibile non notare il rumore dell’acqua in lontananza. Lo spettacolo toglie il fiato, le cascate sono davvero enormi. Improvviso una versione della mia Call it Freedom: voce, chitarra acustica e rombo delle cascate a fare da overdrive.

La Canadian Music Week è stata l’ultima tappa di un tour che negli scorsi mesi mi ha portato prima negli USA (New York ed Austin), poi in Germania, Belgio, Olanda e Spagna. Sono partito, come sempre, con poche pretese. Torno con nuovi stimoli, con la consapevolezza del valore della mia musica e con un pensiero incastrato in testa: l’Italia può e deve essere più presente sulla scena musicale internazionale, la voglia e il talento non mancano.

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