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Gli SWMRS non hanno paura dei Green Day

Questa sera apriranno gli All Time Low ma gli SWMRS ora sono pronti: con noi hanno parlato di cosa significhi oggi il punk e che la paura del confronto con papà Billie Joe è ormai alle spalle

Gli SWMRS non hanno paura dei Green Day

Essere figli d’arte a volte può essere un problema, soprattutto quando si parla di musica. Infatti, nonostante tutti gli sforzi, il pericolo di rimanere “figli di…” per tutta la carriera è una minaccia sempre dietro l’angolo. E se l’eredità paterna può, talvolta, creare ansie da prestazione o la paura del confronto, tutto ciò non sembra minimamente affliggere gli SWMRS. Giovanissima band statunitense ancora ‘lontana’ dal grande pubblico, se non fosse per quel Joey Armstrong alla batteria, figlio del più celebre Billie Joe, frontman e cantante dei Green Day.

E se anche gli SWMRS hanno scelto, con il loro album d’esordio Drive North, di abbracciare lo stesso pop-punk in salsa californiana di cui papà Billie Joe e i suoi Green Day sono portabandiera a livello mondiale, questo non spaventa affatto i quattro ragazzi di Oakland. Noi li abbiamo incontrati in occasione della loro prima data italiana, stasera all’Alcatraz di Milano, in apertura agli All Time Low: «Non vediamo l’ora… sappiamo che il pubblico italiano è fortissimo, dei veri punkers!».

Ciao ragazzi, raccontateci di voi: prima vi chiamavate Emily’s Army e questo è il vostro primo album come SWMRS, cos’è cambiato?
Siamo semplicemente cresciuti. È successo tutto in maniera molto naturale, eravamo dei ragazzini quando abbiamo formato gli Emily’s Army e scrivevamo canzoni come fossero estensioni di ciò che provavamo, di quelli che erano i nostri sentimenti all’epoca. Siamo diventati adulti per cui è stato normale cambiare totalmente il registro delle nostre canzoni. Ciò che facciamo adesso è totalmente diverso: scriviamo in maniera differenza e abbiamo una diversa consapevolezza di chi siamo, come persone e come musicisti.

Nel vostro album, Drive North, gettate uno sguardo molto ironico sull’America di oggi. Voi siete molto giovani, quale pensate sia il ruolo della vostra generazione?
In realtà la nostra generazione ci piace moltissimo. Crediamo che dopo tutta la merda accumuluta da chi è venuto prima di noi, la nostra è la prima generazione chiamata a mettere in ordine il passato. È un compito che spetta a noi, e molta gente non lo capisce: ci accusano di essere stupidi, di nasconderci davanti alle nostre responabilità. Ma saremo proprio noi, la nostra generazione, ad affrontare e risolvere i problemi delle precedenti. Abbiamo molta fiducia in questo.

Voi suonate punk: un genere come il vostro può ancora dire qualcosa? Qual è oggi il significato del punk?
Non crediamo debba essere per forza lo stesso che la gente pensa fosse negli anni ’70 o negli anni ’80. Negli anni il punk si è evoluto ed è ancora un genere molto importante: non è solo un certo suono, ma è ciò che va controcorrente, contro ciò che è considerato ‘pop’, ciò che è culturalmente accettato. La cosa più importante del punk oggi è che rappresenta ancora una valvola di sfogo, non solo per i ragazzi della nostra età, ma per tantissimi persone.

Pochi mesi fa, durante un vostro concerto, a sorpresa sono saliti sul palco Billie Joe e Mike Dirnt, rispettivamente cantante e bassista dei Green Day. Com’è stato suonare assieme ad artisti come loro?
A dire la verità è stato molto strano. Per noi Billie Joe è come uno zio, mentre per Joey è ovviamente un padre (ridono), e suonare assieme a lui le nostre canzoni preferite dei Green Day è stato stupendo. L’occasione però era molto triste, perché suonavamo un concerto in memoria delle vittime del Ghost Ship (furono 36 i morti a causa dell’incendio scoppiato nel club di Oakland, ndr).

Essere ‘figli d’arte’ spesso può creare problemi o pressioni. Voi avete paura di essere continuamente accostati ai Green Day?
No, affatto. Crediamo di essere arrivati a un punto della nostra carriera in cui abbiamo la giusta consapevolezza di chi siamo e dove vogliamo arrivare come band, abbiamo una nostra identità. All’inizio – quando ci chiamavamo ancora Emily’s Army – è stato molto difficile: molte persone arrivavano a conoscersi solamente tramite i Green Day ed era ovvio che ci criticassero. Eravamo molto giovani e facevamo la musica che ci piace, senza pensare minimamente a come avrebbe potuto reagire il grande pubblico e non eravamo pronti a un interesse così improvviso. Ora facciamo musica di cui siamo pienamente convinti, per cui non ci spaventa più cosa può pensare la gente. E poi, avere una persona come Billie Joe che ci guida nella nostra carriera…beh, è davvero fantastico.