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La doppia anima dei Santa Margaret

«Vogliamo recuperare quello che di buono ci è stato tramandato e immaginare uno stile: la chitarra tremolante anni ’50 contestualizzata in un suono moderno»

I Santa Margaret hanno debuttato dal vivo nel 2013, in apertura del concerto dei Deep Purple. Foto: Simone Falcetta. Styling: Edoardo Marchiori

I Santa Margaret hanno debuttato dal vivo nel 2013, in apertura del concerto dei Deep Purple. Abiti: Trussardi Jeans

I Santa Margaret hanno debuttato dal vivo nel 2013, in apertura del concerto dei Deep Purple. Foto: Simone Falcetta. Styling: Edoardo Marchiori

La musica ha un’anima. Analogica come quella dei Santa Margaret, impegnati in una vendetta che non vuole fare vittime, ma invitare il pubblico a non spaventarsi di fronte a un modo diverso di fare dischi. In America c’è la Third Man Records di Jack White, che spinge il ritorno del vinile a colpi di dischi registrati con il Phon-o-Graph che riempie i solchi di un fruscio simile alla carta vetrata, da noi ci sono le Officine Meccaniche di Milano, un registratore a 24 piste con cui, se sbagli qualcosa, devi tagliare e incollare il nastro, il primo album dei Santa Margaret con un titolo che ha il sapore di un giallo metropolitano di Scerbanenco: Il suono analogico cova la sua vendetta vol.1 e vol.2 e un altro disco in arrivo.

Ci sono il fascino e la voce fuori dal tempo di Angelica Schiatti, atipica ragazza del 1989 intrisa di cultura musicale in analogico, “Indossa i pantaloni ma non disdegna la gonnella” (dal suo profilo Twitter) e una volta a Londra si è infilata di nascosto ad Abbey Road solo perché voleva vedere Paul McCartney: «E mi sono portata via un taglierino per editare i nastri con su scritto Beatles. Ho pensato: “Potrebbe sempre servire”».

Ci sono anche l’eleganza e la serenità ammirevole di Stefano Verderi, ex chitarrista delle Vibrazioni immune dall’hangover amaro da risveglio post-celebrità, che ha scelto di rimettersi in gioco dall’inizio ributtandosi nella mischia con una band emergente, per amore di una chitarra da cui non riesce a separarsi nemmeno durante una session di foto. «Sono come Austin Powers, mi hanno scongelato», dice.

I Santa Margaret sono, da sinistra, Ivo Barbieri, Leonardo Angelicchio, Marco Cucuzzella, Angelica Schiatti e Stefano Verderi (già chitarrista delle Vibrazioni)

I Santa Margaret sono, da sinistra, Ivo Barbieri, Leonardo Angelicchio, Marco Cucuzzella, Angelica Schiatti e Stefano Verderi (già chitarrista delle Vibrazioni)


E come ti trovi? «Sto imparando». Ci sono soprattutto le ore di lavoro artigianale di una band di amici e veterani (Leonardo Angelicchio, Ivo Barbieri e Marco Cucuzzella suonavano insieme a Stefano al tempo delle Vibrazioni in un side project hard rock), prima in una sala prove di Rozzano e ora nella cantina umida di una villa in Brianza, strumenti analogici usati come rivendicazione (Perché, come cantano in Dove Sarai: “Alla fine tutto cambia per restare tutto uguale”) e un progetto di fusione tra blues-rock inglese anni ’60 e quella melodia italiana che un tempo faceva innamorare le star: «La via italiana al rock esiste eccome, è sempre stata davanti ai nostri occhi», dice Stefano, «pensa a La musica è finita di Franco Califano e Umberto Bindi, uno dei primi pezzi tradotti e incisi da Robert Plant nel 1966 quando ancora non era nei Led Zeppelin. Persino uno come lui invidiava la nostra tradizione».

Il mercato del vinile è in continua crescita anche in tempi di crisi e i Santa Margaret sono usciti con un disco pubblicato solo in vinile e in digitale: «Quello che ci interessava era suonare veramente e trasmettere umanità», dice Stefano. Il problema è che in analogico devi avere le idee molto chiare, perché è sempre buona la prima: «Se aggiungi il fatto che non c’è mai tempo, il risultato è molto umano». E ora che hanno dimostrato che si può fare? «La cosa interessante è accostare un mondo retrò e uno attuale: un amplificatore del ’52 che suona con un beat elettronico del 2016. È fantascienza moderna». Voglia di roba vintage rivisitata in chiave moderna: il soggetto è lo stesso, l’impatto visivo cambia: «Vogliamo recuperare quello che di buono ci è stato tramandato e immaginare uno stile: la chitarra tremolante anni ’50 contestualizzata in un suono moderno. Ci stiamo provando, con ironia. Non credo che il prossimo disco avrà un titolo esplicito come il primo, magari un sottotitolo». Stefano e Angelica hanno già scritto il prossimo disco dei Santa Margaret.

«La cosa interessante è accostare un mondo retrò e uno attuale: un amplificatore del ’52 che suona con un beat elettronico del 2016»

«La cosa interessante è accostare un mondo retrò e uno attuale: un amplificatore del ’52 che suona con un beat elettronico del 2016»


Serve il singolo («Secondo me ne abbiamo almeno tre», dice Angelica) da prestare alla colonna sonora di un film italiano in uscita a marzo, come è già successo nel 2014 con Riderò che è finito nella colonna sonora de Il ricco, il povero e il maggiordomo di Aldo, Giovanni e Giacomo. E poi c’è il sogno di portare la canzone italiana all’estero. Nel passato lo abbiamo fatto con l’opera, con le colonne sonore di Morricone e Badalamenti, perché non con il rock? «Il punto è avere una dignità esportabile. La melodia italiana piace molto, quindi è giusto provarci. Se non funziona, non hai perso niente». Angelica ha le idee chiare, impara in fretta e non si è spaventata nemmeno quando a Roma è salita sul palco prima dei Deep Purple.

Qual è stato il primo consiglio che le hanno dato i veterani della sua band? «Sii puntuale», risponde. Per il resto, ce la fa da sola: «Lo standard della musica è quello emozionale», dice Angelica, «la musica governa, poi tu decidi come farla arrivare nella maniera più reale possibile».

In tutto il servizio, abiti Trussardi Jeans.
Foto Simone Falcetta. Styling Edoardo Marchiori. Ha collaborato Giovanni Belletti. Make up e hair: Deborah Sasso per Twa

Questo articolo è pubblicato in versione integrale su Rolling Stone di gennaio.
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