A lezione di blues: siamo andati a Milano per il concerto di John Mayall | Rolling Stone Italia
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A lezione di blues: siamo andati a Milano per il concerto di John Mayall

La terza data italiana del cantautore non fa che confermare un concetto: l'età è solo un numero

John Mayall, 81 anni - Foto Stampa

John Mayall, 81 anni - Foto Stampa

Andare a sentire John Mayall è un’esperienza che ti abbassa inevitabilmente l’autostima, un po’ come quando i tuoi genitori tirano fuori in pubblico le foto di quando facevi le medie.

Sì, perché John Mayall non solo suona magistralmente chitarra, pianoforte e armonica. Li suona anche contemporaneamente, in giro per tutt’Europa con un tour di quasi tre mesi.
In primavera poi, il tour americano. Ma non basta: John Mayall fa tutto questo alla splendida età di ottantuno anni. “Ottantuno e non sentirli”, per dirlo con una frase fatta.

John Mayall, 81 anni - Foto Stampa

John Mayall, 81 anni – Foto Stampa

 

L’Alcatraz è pieno di veterani del blues, ma ci sono anche ragazzi, bambini, coppie di giovani (e insospettabili) metallari: come la “Scuola Blues Brothers” insegna, il blues fa muovere proprio tutti. Dopo la magistrale apertura degli italiani The Cyborgs, che con il loro sound tutt’altro che ortodosso hanno ottenuto il plauso anche dei puristi del genere “basettone e occhiali da sole anche dopo il tramonto”, un roadie sale sul palco e presenta in grande stile: «ladies and gentlemen, the legend, Joooohn john Mayaaall!!».

Se come ha detto una volta Eric Clapton, illustre ex membro della band di Mayall: «John ha gestito una scuola per musicisti incredibilmente buona» (dalla quale sono usciti fra i tanti Mick Taylor, Peter Green e Jeff Beck), questa sera ci sono stati sicuramente presentati i suoi allievi migliori: assieme agli ormai storici Rocky Athas e Jay Davenport (rispettivamente chitarra e batteria) c’è il fantastico Greg Rzab al basso, che dopo venti minuti di shuffle rilassati e lenti alla Willie Dixon si lancia in fraseggi forsennati, slap e virtuosismi da far impallidire anche i più celebri fra i suoi colleghi.

John tiene il palco con la disinvoltura dei veri fuoriclasse, e oltre che suonare magistralmente scherza con il pubblico, presenta i brani uno per uno e risponde divertito al ragazzo in prima fila che urla «John, I love you!» in ogni attimo di silenzio. Il repertorio bilancia sapientemente brani degli esordi dei Bluesbreakers con altri recentissimi (perché neanche la sua attività in studio si è fermata, cosa credete!), così come la semplicità fa da necessario contrappeso ai piacevoli virtuosismi che arrivano dalla band senza esibizionismo, ma con la delicata naturalezza di chi ti sta facendo un regalo sincero. Questa è la magia del blues: un’ultraottantenne che regge da dio un concerto di oltre un’ora e mezza facendo muovere tutti, dai suoi coetanei ai loro nipoti.

A fine concerto ringrazia, saluta, regala un bis di due brani e saltella giù dal palco con l’energia di chi sarebbe andato ancora avanti. Aver insegnato a suonare a metà della scena londinese anni ’60, portando di fatto il blues della Chess Records in Inghilterra assicura di per sé l’ingresso nella storia della musica mondiale. Ma, dopo oltre cinquant’anni di carriera, avere la gente che fa la coda ai banchetti del merchandising abusivo fuori da un locale sold out, mentre tu, ottantunenne, hai appena portato a termine con l’energia di un ragazzino un concerto da lasciare senza parole, significa fare il proprio ingresso nell’Olimpo con uno stile più unico che raro.