Aphex Twin, Death Grips, Slayer, Solange: amori e delusioni al Primavera Sound | Rolling Stone Italia
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Aphex Twin, Death Grips, Slayer, Solange: amori e delusioni al Primavera Sound

Superato il trauma del pacco tirato da Frank Ocean, primo giorno di festival è stato incredibile. Il nostro report

Aphex Twin, Death Grips, Slayer, Solange: amori e delusioni al Primavera Sound

Solange

Con la serata di ieri, il Primavera Sound è entrato a pieno regime nel vivo della sua programmazione. Eppure nell’aria aleggia ancora la puzza di pacco tirato da Frank Ocean, fra tutti forse il nome più atteso, esattamente una settimana prima della data fissata al Forum di Barcellona. Il comunicato stampa ha spiegato la defezione dando la colpa a presunti “ritardi nella produzione” ma un po’ tutti ci siamo fatti la stessa idea: Frankie non ne aveva voglia, né probabilmente bisogno.

Alla fine se piace così tanto, se così tanta gente caccia strilli acutissimi solo a sentirlo nominare, è perché lui per definizione “non c’è”. Fa pochissime apparizioni pubbliche, zero attività social, anni e anni di silenzio fra un disco e l’altro. Sono di consolazione soltanto le magliette con sopra scritto “Prank Ocean” (cioè Scherzo Ocean) che spuntano qua e là fra gli stand dei merchandise. Quando si dice il fiuto per gli affari.

Per la cronaca, al suo posto stasera è stato piazzato all’ultimo minuto un comodissimo Jamie XX. Si esibirà prima con il suo trio della doppia X, come già previsto da mesi, e poi metterà dei dischi per tappare il buco di Ocean. Sarebbe il colmo se per caso, uno dei pezzi del DJ set fosse proprio un pezzo del cantante RnB che si è dato alla macchia. Ma torniamo a ieri. Un’altra validissima voce black era quella di Miguel Jontel Pimentel. Per gli amici solo Miguel. Il suo set delle 20 è stato di fatto il primo degli ospiti big del festival. Un po’ The Weeknd per i falsetti e un po’ Childish Gambino per la mostruosa presenza scenica, il cantante di L.A. ha semplicemente regalato tonnellate di endorfine al pubblico dell’Heineken stage al tramonto. Alla faccia di chi dice che l’RnB dal vivo è un po’ spento. Ha spaccato, ricorrendo anche a batterie frenetiche e chitarre molto spesso distorte, ma si sapeva che l’avrebbe fatto.

Miguel sul palco del Primavera Sound 2017

Un artista che invece non ci saremmo mai e poi mai aspettati di eleggere “miglior concerto del primo giorno di Primavera” è invece Solange Knowles. Momento. Sappiamo chi è, sappiamo cosa ha fatto e di cosa è capace. Ma un conto è ascoltare i dischi e guardare video molto “artsy” fatti indubbiamente da gente capace, un altro è assistere alla performance al contempo più studiata ma più spontanea da parecchi mesi a questa parte. La sorellina minore di Beyoncé si è fatta aspettare una decina di minuti, ma ne è valsa la pena.

Solange è la sorpresa dell’anno

L’intero concept del suo live ruota attorno al colore rosso. La sua band, interamente composta da musicisti afroamericani, all’occorrenza può anche cimentarsi in coreografie e balletti sincronizzatissimi. Tutti vestiti di rosso, alternano mosse asettiche tipo Kraftwerk a tipicamente black tipo twerk senza Kraft. Due ottoni che sembrano modelli di Gucci, un basso funky, una chitarra, una batteria, una tastiera e lei—sensuale e inebriante come nemmeno la sorella riesce a essere—accompagnata da due coriste che prese singolarmente si meriterebbero uno slot in uno dei palchi principali. Rise, Don’t You Wait, F.U.B.U e altre sue hit riempiono una scaletta di una quindicina di pezzi, estesi e rivisitati apposta per il live, che si conclude con una reprise della prima Rise, con un gigantesco sole scenografico dietro che lungo tutta la performance segue le fasi del giorno, dall’alba al tramonto.

Il set di Solange è dominato dal colore rosso

A questo punto, bisognava fare delle scelte. Andare a farsi un bagno di folla al più blasonato live di Bon Iver oppure armarsi di birrette e cannette per farsi coccolare dai Badbadnotgood? Fortuna che eravamo in due, quindi una è andata al primo e l’altro è andato al secondo live. Ingegnosi come non mai, i Badbad si sono dati da fare per costruire un live che potesse competere con gli altri in cartellone pur non avendo né un’anima elettronica né un frontman, essendo il gruppo totalmente strumentale. Risultato? Pezzi più veloci degli originali, con il più agitato di tutti, il batterista, a gestire il pubblico dal microfono. Voto altissimo.

E gli altri? Beh, in un andazzo festaiolo – che quest’anno ha preso una piega più elettronica del solito– come quello del Primavera è davvero difficile godersi un live set come quello dei Bon Iver. I toni morbidi e intimisti della musica di Justin Vernon si disperdono nell’oceano di persone accorse sull’enorme spiazzo del main stage più per hype che per altro (considerando l’annullamento di tutte le date del tour europeo fatta eccezione proprio dei festival estivi, come questo). Perciò si fa proprio fatica a farsi prendere dalla malinconia dell’indie folk e dal vocoder di Vernon, tra la compagnia di beoni lì per caso e l’ingombrante live check degli Slayer in diretta dal palco di fronte. Lui si è comunque detto felice e onorato di poter dividere parte del suo ‘spazio sonoro’ con le quattro colonne portanti del metal, noi meno. Finita la nostalgia mai del tutto decollata del live targato Bon Iver, è stato comunque un piacere ritrovare Tom Araya e compagnia belli come ce li ricordavamo, con il vento tra i capelli e le loro “piogge di sangue”.

Il palco degli Slayer

Premio speciale della giuria ai Death Grips. Ma non è una novità. Quella di ieri è stata la prima esibizione del 2017 della band californiana, quindi c’era parecchia tensione da sfogare. Un trio di musicisti violenti, visionari, espliciti. Nient’altro da aggiungere, se non che il tizio ossigenato ai dispositivi elettronici dovrebbe seriamente considerare una carriera nei film fantascientifici tipo Matrix o Blade Runner.

Il set dei Death Grips ha spaccato

L’ultimo live era quello di Aphex Twin. Dopo Frank Ocean, il suo nome è uno di quelli che ha attratto più gente al festival, forse perché come Ocean non fa troppe apparizioni dal vivo—ma almeno Aphex poi si presenta all’appuntamento, mannaggia. Si vocifera che per aver convinto l’eremita, il guru dell’ellettronica che vive disperso nella Cornovaglia, i promoter del festival abbiano sborsato cifre assurde, forse a sei zeri. Proprio per questo, quando ti ritrovi in un live un po’ confusionario (almeno all’inizio dove si è sentito di tutto dalla dubstep al reggaeton) e a visual abbastanza scadenti (le telecamere proiettavano sugli schermi immagini glitchate delle persone in prima fila), viene quasi da pensare se sia il caso per Aphex Twin di limitarsi ai soli dischi. Che che poi è quello che gli è sempre venuto meglio.