Rkomi, la working class milanese del rap | Rolling Stone Italia
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Rkomi, la working class milanese del rap

Ha 21 anni, viene da Calvairate e legge Osho. È il nuovo anti-divo del rap: «Sono quello che sono, non so neppure se sono un personaggio o meno»

Rkomi nel backstage del suo video "Aeroplanini di carta". Fonte: Facebook

Rkomi nel backstage del suo video "Aeroplanini di carta". Fonte: Facebook

Il rapper milanese è venuto a trovarci in redazione nei giorni in cui la sua Aeroplanini di Carta era al numero uno della classifica Viral di Spotify. Una settimana prima avevamo scoperto che “l’uomo dell’estate”, Calcutta, è un suo grande fan. Sarà per la scrittura, una delle più liriche e d’impatto della nuova scena trap; sarà per quell’attitudine working class da film di Ken Loach che fa di Mirko da Calvairate un personaggio fico e fuori dai canoni a cui ci eravamo abituati; sarà anche per una manciata di ottimi video con migliaia di views in rete.

Già, di ragioni ce ne sono un sacco per aspettare con curiosità il suo primo album. Quando? Come sarà? Leggete l’intervista e tenete d’occhio il ragazzo.

Rkomi - Aeroplanini di Carta feat. IZI

Chissà la faccia che hai fatto quando hai visto che eri primo nella classifica di Spotify…
È’ tutto troppo nuovo, non sono abituato alla gente che mi ferma per strada. Nel quartiere si un po’ rivalutata la mia fama non buonissima.

Che fai nella vita? Studi o lavori?
Io ho lavorato fino a due settimane fa facendo di tutto – barista, cameriere, lavapiatti – e ora ho preso uno stop per dedicarmi ai live e al nuovo disco. Ho 21 anni, la scuola l’ho lasciata al terzo anno di alberghiero perché avevo un altro tipo di testa…

Quando hai scoperto la trap?
Io ascolto un pacco di musica e mi sono appassionato delle cose più fresche e sperimentali che arrivavano dall’America e dalla Francia tipo Pso Thug, Young Thug, Chaz French e gente molto più di nicchia.

La scrittura dei tuoi pezzi è particolare, matura, un gradino sopra ai tuoi colleghi. Come nasce una tua canzone?
C’è un processo di privacy legato alla scrittura: vado al parco da solo con le cuffiette e mi faccio venire in mente dei flow. Non ho paletti, non censuro nulla di quello che mi viene in mente, pure cose di cui mi posso pentire nel tempo: tipo il ritornello di Daisen Sollen (“Se ti becca Falco/con quell’orologio/te lo leva dal polso”), se avessi saputo in quanti, tantissimi, avrebbero ascoltato questo pezzo avrei evitato sto passaggio così ignorante. Anche se in realtà è proprio per quello forse che il pezzo ha spaccato.

I tuoi video sono quasi tutti girati nel quartiere milanese di Calvairate, e mi sembra di notare una sorta di “orgoglio banlieu” da parte tua, lo stesso che caratterizza molti rapper francesi.
Sì, è così, è il mio posto. Ci sto da dio e molta della mia scrittura arriva dalla gente e dalle storie che mi circondano. Però mi piacerebbe pure prendere e andarmene via. Ci vorrebbe una via di mezzo. Le mie canzoni parlano tutte di rivalsa personale, dicono della volontà di fare cose buone che spaccano tipo “Roccia, guarda che arrivo”.

Sembri molto spontaneo, oppure mi sbaglio io ed è tutto studiato a tavolino?
Sono quello che sono, non so neppure se sono un personaggio o meno. So solo che poco tempo fa mi hanno dato un giubbotto da mille euro per un video e non l’ho messo, non ce l’ho fatta. Gli occhiali da sole ai concerti non riesco a metterli: sono molto fissato con l’energia e ti devo guardare in faccia. L’energia – quella positiva o negativa – viene dagli occhi e so solo che se ho qualcuno davanti mi piace guardarlo negli occhi. Sto leggendo Osho, ho fatto anni di may thai (la boxe thailandese) e ho fatto esercizi per il karma e la respirazione di cui avevo proprio bisogno: ho iniziato a leggere e a portare questo tema nella mia musica. Chi mi conosce da sempre sa che ora sono un’altra persona rispetto a prima: mi ero lasciato andare a storie di droga, di giri sbagliati.
Ora voglio mantenere questo quadrato di energia positiva che ho creato.

Come è il tuo modo di fare rap?
Penso che la mia rappata sia bella nuova, molto 2016.

Marracash e Gué Pequeno intervistati da RS hanno detto di essere parecchio incazzati con tutti quelli che scimmiottano il rap ma in realtà fanno canzonette. Sei d’accordo?
Li capisco, si sono fatti per anni il mazzo e gli dà fastidio che qualcuno sputtani quello che hanno costruito. Io personalmente non porto rancore per Fedez o J Ax, ognuno può e deve fare quello che vuole.

Nei tuoi video non ci sono donne, strano per un artista hip hop…
Non volevo fare il personaggio. In quartiere abbiamo varie compagnie di ragazze ne abbiamo quante ne vogliamo, presenzierebbero anche in un video ma non mi interessa.

Come sarà il nuovo album?
Sarà principalmente trap e sarà pieno di featuring, di ottime produzioni.

Ci sarà Charlie Charles?
Sì, lo vorrei molto. E ci saranno Tedua, Izi e tutto il giro nuovo, la nostra famiglia.

La consideri una famiglia?
Sì, siamo molto legati, è bello quando ci si vede perché non c’è quel rancore, quell’invidia di cui si parlava prima. Ognuno fa le sue cose, ci sia aiuta e consiglia a vicenda senza scazzi. Mentre molta della vecchia scuola si è divisa, noi siamo compatti.

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