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Marilyn Manson: «Mio padre è morto col cazzo in mano»

È tornato da poco con ‘Heaven Upside Down’, il nuovo album registrato durante i suoi giorni più bui, che racconta del nuovo fondamentalismo religioso e dell'America di Trump, raccontata da Paolo Sorrentino

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Un nome d’arte è sempre una maschera, ma la maschera di Marilyn Manson è sempre stata impenetrabile ai più. È difficile capire dove finisca la crasi fra la sex symbol e l’omicida di massa, e dove inizi Brian Warner. Mentre rifletto su quanto sia labile il confine, e se mai riuscirò a varcarlo, vengo accolto con incredibile calore umano all’interno di un tour bus completamente buio, illuminato solo da luci rosse.

Dall’altra parte del tavolino, seduto su un divanetto, c’è proprio lui. L’Anticristo. O forse Brian.
Sorseggia un whisky, chiede se ho voglia di bere qualcosa, e invita ad accomodarmi. Bastano pochi secondi per capire che Marilyn Manson è prima di tutto un essere umano gentile. Sarcastico, dotato di un gran senso dell’umorismo, uno di quelli che lasceresti parlare per ore. E infatti…

Sai che l’idea di intervistarti mi metteva un po’ d’ansia?
E perché mai?

Bé, in questi anni ti hanno chiesto qualunque cosa: dai commenti alla situazione politica americana, a cosa si prova a infilarsi delle banane nel culo…
(Scoppia a ridere) Però avrai notato che sono in grado di rispondere su qualunque argomento.

Esatto! Per questo ho pensato di farti l’unica domanda che sono certo non ti abbiano mai fatto durante un’intervista…
Vai! Spara.

Come stai?
Ma sai che proprio oggi stavo raccontando a un amico che ormai, quando mi incontrano per strada, la prima cosa che fanno è chiedermi una foto. Neanche mi salutano, capito? Vengono lì che sono già pronti per scattare, e se ne vanno.

Non ti chiedono come stai. Scattano e vanno via…
Comunque ho capito cosa vuoi dire, e vorrei tanto poterti rispondere che sto bene. Ma la verità è che mi sto impegnando a stare bene, anche se ogni tanto rischio di andare in pezzi. L’ultimo periodo è stato molto doloroso per me, ho dovuto affrontare diverse perdite, tra cui quella di mio padre, pochi giorni prima di partire per il tour europeo. Anche se era una situazione che purtroppo si trascinava da diverso tempo.

Immagino che questa sia una delle ragioni per cui Heaven Upside Down è stato posticipato, e non si chiama più SAY10. Posso dirti che è un peccato? Era un grandissimo gioco di parole.
È così: il disco sarebbe dovuto essere pronto molti mesi prima, ma per tutta una serie di ragioni non riuscivamo mai a finirlo. Pensa che Saturnalia, la canzone più lunga dell’album, e forse quella di cui vado più fiero, l’abbiamo chiusa lo stesso giorno che è morto mio padre. La mattina ero in studio e il pomeriggio in ospedale. Io non ero con lui nella stanza, ma l’infermiera che lo seguiva mi ha raccontato che se ne è andato puntando il dito e reggendosi il pacco con una mano. Mio padre aveva un senso dell’umorismo molto spiccio e grottesco, per cui ogni volta che racconto questa storia penso a lui che se la ride mentre lo sputtano. Mio padre è morto col cazzo in mano, e visto quanto gli piaceva il sesso, direi che se ne è andato alla grande. Per quanto riguarda il titolo: sono proprio le cose accadute in questi mesi che hanno fatto sì che SAY10 diventasse Heaven Upside Down. Sapevo già che sarebbe stato un disco scuro, ma il tempo l’ha reso ancora più violento. SAY10 era troppo ironico.

Foto Press

Magari mi sbaglio, ma in questo disco ho sentito un certo recupero delle sonorità di Antichrist Superstar, ma con un approccio più sporco. Quasi punk.
E infatti uno dei nomi che più venivano fatti quando eravamo in studio era quello degli Stooges. Penso soprattutto a canzoni come Je$u$ Cri$i$. L’idea era quella di fare un disco che fosse violento, sporco, evocativo e sexy al tempo stesso. Inizialmente sarebbe dovuto uscire per San Valentino, proprio perché quella data mi è sempre apparsa tragica. Poi non ce l’abbiamo fatta, ma alla fine è meglio così. Heaven Upside Down è un disco aggressivo, adatto ai tempi che stiamo vivendo.

A proposito di questo: qualche giorno fa mi è capitato di rivedere la tua apparizione ai VMA del 1997, che iniziava con te sul pulpito che proclamavi: “La sconfitta del cristianesimo fascista e della dittatura della bellezza”. Sono passati vent’anni esatti e mi sembra… Ti sembra che le cose siano peggiorate?
È esattamente così. Sono peggiorate. Il fondamentalismo religioso è tornato agli onori delle cronache, anche in America, e l’ascesa di Trump non è nient’altro che il trionfo della cultura del farcela a tutti i costi, non importa come. Io non ho praticamente mai votato alle presidenziali. L’avevo fatto per Obama, perché per me rappresentava davvero una possibilità di cambiamento, ma a questo giro ho preferito rimanere a casa. Col sistema elettorale che abbiamo noi è ormai scontato che vinca sempre e solo il personaggio più popolare. Trump è una star della tv, che ha occupato tutti i media per mesi, e incarna la figura perfetta dell’americano che reagisce alla paura con l’aggressività.

Ti aspettavi la sua vittoria, quindi? Il giorno delle elezioni hai fatto uscire il video di SAY10, dove un sosia di Trump veniva sgozzato e decapitato. Cosa volevi trasmettere? A me è subito venuto in mente l’ISIS.
Ma no, non c’entra niente l’ISIS. Vuoi sapere una cosa divertente? Io non ho mai detto che il tizio del video fosse lì per rappresentare Trump. Ho solo vestito un personaggio in un determinato modo, con la cravatta rossa, e tutti hanno dato per scontato che fosse Trump. La verità è che per me quello non è neanche un video: ho girato quella cosa proprio con l’idea di farla uscire in un giorno preciso, il giorno delle elezioni, come dichiarazione su quello che sarebbe accaduto di lì a poco. Non sono andato a votare, ma quel video è una delle cose più politiche che abbia mai fatto nella mia carriera.

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D’altronde si può dire che tu alla fine canti sempre dei soliti argomenti: la religione, il sesso, la violenza e i soldi. I capisaldi di tutta la società occidentale, non solo di quella americana. Non è forse politico, questo?

C’è un altro argomento di cui mi occupo spesso, ma adesso mi sono dovuto dare una calmata e non ne parlo più tanto come prima (Ride).
OK, hai ragione: manca la droga.

Tu hai visto The Young Pope, la serie di Paolo Sorrentino?
Certo! Ti è piaciuta?

Piaciuta? Mi ha fatto letteralmente impazzire. È diventata un’ossessione. Ho amato tutto di quella serie: gli attori, la regia, la scrittura, i personaggi. Tutto. Solo un europeo poteva fare una cosa del genere, un italiano. Se tu vuoi capire gli Stati Uniti del 2017 devi guardare quella serie. È tutto lì. Il Vaticano che elegge Jude Law è l’America che elegge Donald Trump. Sorrentino ha preso la situazione politica del mio Paese e l’ha trasportata in Vaticano, ma, guardando quella serie, ti rendi conto di come politica e religione siano sempre state la stessa cosa. E tutto gira ovviamente intorno ai soldi. Negli Stati Uniti ancora di più. Voi avete la Storia, la cultura. La nostra cultura invece si basa interamente sul denaro. Sulle banconote abbiamo scritto “In God We Trust“. Eccola qui la religiosità degli Stati Uniti. “It’s all about the Benjamins“, diciamo noi, e anche il fatto che lo slang per indicare i soldi sia il nome di un ex presidente dovrebbe dire già tanto.

Quest’estate, quando sei venuto a suonare in Italia, c’è stato il solito delirio di quelli che volevano bloccare il tuo concerto. Addirittura, a Villafranca, in provincia di Verona, si sono messi a sgranare il rosario mentre eri sul palco, per evitare, cito testualmente, che in quel momento si manifestasse il demonio. Immagino che cose del genere ti succedano ancora ovunque: possiamo forse dire che questa è la tua più grande vittoria? Vuol dire che fai ancora paura!
La prima volta che sono venuto a Roma, ormai tantissimi anni fa, alla fine del concerto sono stato arrestato per oscenità. Sul rapporto della polizia c’era scritto – giuro – che durante lo spettacolo avevo estratto i genitali e li avevo tirati al pubblico. Cosa che ovviamente non sono in grado di fare, anche se mi piacerebbe un casino.
Pensa che quello stesso giorno ero andato a fare un giro da turista a San Pietro, e una signora, ovviamente americana, mi aveva riconosciuto e aveva cominciato a urlare come una pazza, insultandomi, dicendo che dovevo andare via, perché ero un rappresentante del diavolo e altre cose così. Sai cosa ho fatto? Mi sono avvicinato e le ho parlato. Le ho detto: “Signora, io sono una persona come lei, venuta qui a osservare una bellezza storica, non sto dando fastidio a nessuno. Ma quello che sta facendo lei, la sua reazione, ecco, non è per niente cristiana”. Vuoi sapere cosa ha fatto? Ha continuato a urlare, come se quello che le stessi dicendo non avesse alcuna importanza. Per certe persone non è importante cosa dico o cosa faccio, io sono il male, anche solo perché esisto, e non sono conforme a quello che loro ritengono sia il bene. Quindi sì, vorrei davvero dirti che non me ne frega un cazzo di certa gente, ma non è così.

Non riesco a vedere tutto questo come una vittoria, e trovo orribile che gente che si riempie la bocca con le parole della Bibbia, e poi magari ha la casa piene di pistole e segue ideali razzisti e omofobi, venga considerato dalla società migliore e più accettabile di me. Ogni volta che in America avviene un massacro sul genere di Columbine vengo additato come ispiratore, solo perché parlo di certi temi. Ma cosa c’entro io? Non sono io che ho messo le pistole in mano ai vostri figli. Siete voi! Io gli sto solo dicendo che è possibile ribellarsi. Lo vedi questo tatuaggio che ho sulla mano? È l’ultimo che ho fatto, rappresenta il sigillo di Lucifero. La gente pensa che io sia completamente in fissa col satanismo, ma la verità è che mi interessa Lucifero, perché, di base, è uno che era stato costretto a fare una cosa che non voleva fare, e ha dato vita a una rivoluzione. Lucifero è il primo ribelle della storia. È il rock’n’roll.

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Tu però hai un ruolo sociale importante: lo scorso anno, per la morte di Bowie, hai raccontato di quanto la sua musica ti sia stata d’aiuto per accettare la tua diversità, e farne una bandiera. Ti rendi conto che per tante persone tu sei stato importante allo stesso modo? Che effetto ti fa?
Strano. Mi fa un effetto strano. Perché sì, è vero, in tanti mi dicono e scrivono cose del genere.
Ed è ovvio che mi faccia piacere, però al tempo stesso penso che sia sbagliato. Non dovrebbero dirmelo, non dovrebbero vedermi in un modo così rassicurante. Quando ho iniziato a fare questa cosa, io volevo essere puro caos. Un’energia che arriva e travolge tutto. Il disordine. Ogni volta che qualcuno mi dice cose come quelle che hai citato tu mi sento come se un tornado mi avesse abbattuto la casa, e tu, invece di scappare, ti sei fermato a guardarlo dicendo: “Però, che bel fenomeno naturale, che cosa meravigliosa”. Io sono l’uragano. Non si dice grazie all’uragano.

Manson non fa in tempo a chiudere la frase che il tour manager ci richiama, e ci avverte che abbiamo sforato il tempo dedicato all’intervista: purtroppo non è più possibile continuare. Mi alzo, lo saluto, faccio per uscire, quando vengo improvvisamente richiamato… «Aspetta, ti volevo fare vedere una cosa. Se vuoi puoi anche scattare una foto…». Mi giro e sul tavolino c’è il suo iPhone. La custodia è tutta bianca, sul dorso c’è scritto The Young Pope.

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