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Kamasi libera il jazz

Col suo sax fa un sound caldo e spirituale, che piace anche al mondo pop. Dopo un disco epico, ora Kamasi Washington sogna il Colosseo

Kamasi Washington durante il live al Tunnel di Milano lo scorso novembre. Foto: Marta Bacigalupo

Kamasi Washington durante il live al Tunnel di Milano lo scorso novembre. Foto: Marta Bacigalupo

Più Archie Shepp o Gegè Telesforo? C’è dibattito su questo cristone di Los Angeles, se e quanto l’hype intorno al suo sassofono jazz e alla palandrana alla Sun Ra significhi la rinascita di un genere, altrimenti confinato nel ghetto dei puristi, oppure sia l’ennesimo ripescaggio hipster, financo dell’odiata fusion.

La mia musica è una medicina per lo spirito

Kamasi, che per stazza e stile ricorda LeBron James e Questlove dei The Roots, ha il sorriso zen di chi è riuscito a portare a un concerto jazz – questa sì, una rivoluzione – anche un folto gruppo di ragazze in tenuta da clubbing: «La mia musica è una medicina per lo spirito, una cosa semplice e di cuore molto lontana dall’idea del jazz come genere freddo, per intellettuali».

Vero, anche se la sua popolarità è dovuta in gran parte alle collaborazioni con due intellò del pop come Flying Lotus e Kendrick Lamar: è di Kamasi il sax degli album You’re Dead! e To Pimp a Butterfly, come sono suoi gli assoli nei concerti sia di McCoy Tyner che di Snoop Dogg e Lauryn Hill.

Il nostro, seduto su un minuscolo – a suo confronto – divanetto prima del soundcheck, spaccia chili di karma cosmico: «La mia musica ha una dimensione spirituale, e non solo perché ho imparato a suonare in chiesa. Il sound giusto, quello che cerco, è quello che mette le persone in contatto tra loro, una cosa che nessun social network o industria della Silicon Valley riuscirà mai a fare».

kamasi

Ma a 36 anni, dopo aver da poco pubblicato un monumentale album triplo come The Epic, Kamasi Washington è qualcosa di più di un guru post fricchettone: «Cosa mi ispira? Tutto, Charlie Brown e i Peanuts a cui ho dedicato una canzone (Leroy and Lanisha), le commedie al cinema, i fumetti Marvel, Watchmen di Alan Moore e i videogiochi come Street Fighter». Street Fighter? «Sì, quando devi anticipare le mosse del tuo avversario di joystick: anche le jam session tra di noi sono così, io devo sapere quello che suonerai prima che tu lo suoni davvero».

L’incontro con questo giocatore di kombat game col timbro del profeta del free jazz Albert Ayler avviene con un buon ritardo sull’orario previsto. Il motivo, essendo a Roma, è presto detto: Kamasi voleva visitare il Colosseo. «È energia pura, una roba da triplo wow», questo il suo parere a mo’ di commento su TripAdvisor. E aggiunge: «Vorrei suonarci un giorno, dovrò lavorare molto, ma magari ce la farò. Comunque per me è già abbastanza fico il fatto di suonare in Italia. C’è un sacco della vostra musica che adoro, le colonne sonore del cinema, Morricone». E Gegè Telesforo, Kamasi? Che mi dici della fusion di Gegè Telesforo? No, scherzo dai, il disco è fichissimo. Magari dal vivo gigioneggia un po’, ma è ancora un ragazzo. Lasciatelo fare.

Questo articolo è pubblicato su Rolling Stone di dicembre.
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