Frances Bean Cobain: «La mia vita dopo Kurt» | Rolling Stone Italia
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Frances Bean Cobain: «La mia vita dopo Kurt»

La complessa eredità del padre, la vita dopo la morte, i Nirvana e il rapporto con Courtney Love in un’intervista rilasciata in occasione dell’uscita del documentario "Montage Of Heck"

Frances Bean Cobain: «La mia vita dopo Kurt»

Un’estate di qualche anno fa, Frances Bean Cobain è stata stagista negli uffici di Rolling Stone a New York. Proprio Frances, la figlia del fondatore dei Nirvana e tra i produttori esecutivi del documentario Kurt Cobain: Montage Of Heck. «Ero una quindicenne frustrata che indossava roba gotica», se la ride, ricordando l’estate dello stage. Lavorava su una copertina dei Jonas Brothers stando in un cubicolo, di fronte a un gigantesco quadro di Kurt. «Già», ammette con un ghigno un po’ esasperato, «Avevo lo sguardo di mio padre su di me tutti i giorni».

Sono solo alcune delle storie emerse da una lunga conversazione di tre ore, avvenuta nei primi di marzo di un paio d’anni fa. È la prima volta in cui Frances, ora 25enne e artista visiva, si apre pubblicamente sul padre, sulla vita dopo la sua morte e sulla complessa relazione con la madre Courtney Love. E ovviamente, sul primo vero documentario sulla vita di Kurt.

Come descriveresti Montage Of Heck?
È giornalismo emotivo. Finora, è quanto di più vicino alla visione che Kurt aveva del mondo, proprio perché sono spesso parole sue. Racconta la lotta di un uomo contro la sua condizione umana. Quando ho conosciuto Brett (Morgen, il regista, ndr), gli ho esposto subito cosa avrei voluto vedere nel documentario e come Kurt dovesse apparire. Gli ho detto: «Non voglio mistificare Kurt, né darne un’idea romantica». Perché si tende a mistificarlo, avrà per sempre 27 anni nonostante sia morto nel peggior modo possibile. Non invecchierà mai e sarà sempre bellissimo.



Ogni grande artista a suo modo è un po’ pazzo e maniacale. Tropico del Cancro è uno dei miei libri preferiti, e il suo autore, Henry Miller, aveva un’etica del lavoro infallibile. Ogni giorno, si imponeva di alzarsi dal letto e scrivere cinque pagine. Puoi progredire soltanto se ti dai da fare, tutti i giorni. In questo senso, il libro mi ha insegnato tanto. Molta gente non si fa problemi a sistemarsi, a lasciare perdere tutto per vivere bene. Mio padre però era troppo ambizioso, e questa ambizione gli è costata troppo. Voleva che la sua band fosse famosa, ma non era pronto per essere la cazzo di voce di una intera generazione.

Ti ricordi del tuo primo approccio con i dischi dei Nirvana? Sapevi che era tuo padre a cantare? Una volta ho parlato con Sean Lennon di questo. Anche lui come te ha avuto poco tempo terreno da passare con il padre. Per lui, i dischi dei Beatles erano un modo per conoscere suo padre dopo la sua scomparsa.
A dirla tutta, non mi piacciono molto i Nirvana (sorride). Scusatemi, Universal e ufficio promozione! Mi trovo molto più con i Mercury Rev, Oasis, Brian Jonestown Massacre (scoppia a ridere). Non mi interessa la scena grunge, anche se Territorial Pissings [in Nevermind] è una cazzo di bomba. E piango ogni volta che ascolto Dumb [in In Utero]. È una versione ridotta all’osso della percezione che aveva di se stesso, sotto l’effetto di droghe o meno. Si sentiva inadeguato nel ruolo di voce di una generazione.

Sento sempre la sua voce
attraverso la sua musica

E pensare che l’aveva scritta prima che i Nirvana facessero Nevermind.
Già, era la proiezione di qualcosa. Nessuno riuscirà mai ad immedesimarsi del tutto in ciò.

Da ragazzina ti imbarazzava non essere così interessata alla musica di Kurt?
No, lo sarei stata se fosse successo il contrario. Ho realizzato a 15 anni di non poter sfuggire alla sua onnipresenza. Anche quando ero in macchina con la radio accesa, eccolo arrivare. È più grande della vita, e la nostra cultura è ossessionata dalla morte dei musicisti, che vengono sistematicamente messi sul piedistallo.

Non sarebbe successo se fosse stato un tizio qualsiasi che abbandona la propria famiglia nel peggior modo possibile, ma non era un tizio qualsiasi. E così ha dato alla gente un motivo per santificarlo. Nessuno pensava che potesse diventare più grande di così, e invece, quando è morto, lo è diventato.

Dopo la prima proiezione, ho sentito un tizio dire che Montage Of Heck è un film molto interessante su qualcuno che non gli piace.
(ride) È un’ottima descrizione.

Ascolta una traccia inedita di Kurt, estratta del documentario Montage Of Heck, in evento speciale al cinema il 28 e 29 aprile:


Morgen ha detto che la storia di Kurt non evoca empatia da quel tipo di osservatore, quello che non apprezza la sua arte.
Una prospettiva interessante. Per me, il documentario fornisce molte più informazioni di quante se ne conoscano tutt’ora, senza limitarsi a smembrarle e rivenderle in 10 modi diversi. L’esplorazione di ogni lato di mio padre: un bambino, un adolescente, un uomo, un marito.

Come è stato sentire la sua voce?
Sento sempre la sua voce, attraverso la sua musica.

Pensavo più alla sua voce parlata.
La sua voce è simile alla mia. Un tono uniforme. Anche la sua profondità ricorda come parlo io. Non so perché cazzo sia così. Anche perché neanche parlavo quando era vivo.

Non sottovalutare la forza della genetica.
Sì, è davvero strano. Dave [Grohl], Krist [Novoselic] and Pat [Smear] sono venuti a trovarmi nella casa dove vivevo. Dopo tanto tempo, [gli ex membri dei Nirvana] si erano riuniti. E mostravano quella che chiamo “Ansia da K.C.”, che poi è quel timore che la gente prova quando mi vede, perché rivede Kurt Cobain. Mi guardavano e sembrava stessero guardando un fantasma, l”Ansia da K.C.” era più forte in loro che in chiunque altro.

Dave disse: «È identica a Kurt». Parlavano tra di loro, rispolverando vecchie storie che ho sentito un milione di volte. Sedevo su una sedia, fumando una sigaretta dopo l’altra mentre il mio sguardo era basso così [mima una posa totalmente annoiata]. E mi dissero: «Ti comporti esattamente come si sarebbe comportato tuo padre». Ma ero contenta che fossero passati a trovarmi (sorride). Una bella esperienza, come una reunion dei Nirvana, meno uno. Eccetto la sua prole.

Che farai dopo l’uscita del film? Stai iniziando la carriera di produttore esecutivo alla stessa età di tuo padre, quando è uscito il primo album dei Nirvana. Ha del poetico questa cosa…
Una bella coincidenza. A 22 anni, è la prima volta che sento bruciare il culo dalla pressione, non quella del documentario, una cosa mia. Sento questa nuova ambizione che non ho mai avuto prima d’ora. Mi dico: «Devo dipingere quel quadro». La parte più difficile è alzarsi e farlo. Ma alla fine mi alzo dal letto, vado nel mio studio e dipingo. Sono lì, e lo sto facendo.

Questo il messaggio postato da Frances su Instagram nel giorno del cinquantesimo compleanno del padre

February 20th 2017. Happy Birthday.

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