Chris Cornell, il bello di essere folk | Rolling Stone Italia
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Chris Cornell, il bello di essere folk

Finalmente il frontman dei Soundgarden ha scritto l’album solista che voleva fare da sempre. E porterà il tour anche in Italia

Chris Cornell, il bello di essere folk

«In questo caso si può dire che more is more», dice Chris Cornell, voce dei veterani hard rock Soundgarden, riferendosi alla recente riedizione del suo debutto solista, Euphoria Morning del 1999 e all’uscita del suo nuovo album acustico Higher Truth. Un disco che è stato ispirato direttamente dal suo Songbook Tour del 2011. Cornell sta anche lavorando al prossimo album dei Soundgarden: «Ho passato le ultime due settimane a registrare demo. Tra quattro giorni ci incontreremo per lavorare insieme per una settimana. Alla fine sono sicuro che avremo un sacco di materiale».

Il nuovo album si apre con il mandolino di Nearly Forgot My Broken Heart. In tutti questi anni sei stato segretamente influenzato dal folk e lo hai tenuto nascosto?
In realtà, ho sempre respinto le influenze folk a cui sono stato esposto negli anni ’70. Ci sono arrivato dopo, ho scoperto Tom Waits e Cat Stevens. Ho odiato Nick Drake finché non ho ascoltato Pink Moon. Il suo modo di suonare e di comporre era fenomenale.

Ti sei sempre opposto ai paragoni tra Soundgarden e Led Zeppelin. Ma il contrasto tra le chitarre folk e le dinamiche hard rock di Higher Truth mi ricorda molto i Led Zeppelin.
Ha senso per me considerando la mia estensione vocale e il mio modo di cantare su un arrangiamento di chitarra. Essendo americano, questo è il massimo che posso fare per avvicinarmi al folk britannico.


Nel 2009 hai pubblicato Scream, realizzato in collaborazione con il produttore hip hop Timbaland. Un disco che è andato nella Top 10, ma è stato stroncato dalla critica. Lo consideri un successo o un fallimento?
È stato un nobile fallimento. Un amico di famiglia un giorno mi ha detto: “Timbaland vorrebbe fare una canzone con te”. E io ho risposto: “Fantastico, facciamo un album”. Ci abbiamo messo due settimane, e il risultato era un disco completamente folle. Per me è stato un successo. Il fallimento dipende dalle case discografiche che non sapevano che farsene.

Come gestisci l’ondata di nostalgia degli anni ’90 scatenata l’anno scorso dal tour dei Soundgarden con i Nine Inch Nails?
Se sei una band con 30 anni di carriera e vai in tour, non puoi fare finta che non ci sia un effetto nostalgia. Quando parli con Trent Reznor non ti sembra proprio uno che vive nel passato, e spero che lui possa dire lo stesso di me.

C’è qualcosa in giro nel mondo del rock che ti piace?
Mi sembra ci sia un sano revivalismo, che genererà nuove forme di rock sempre più interessanti ed esaltanti. E questo è merito di gente come Jack White o Dan Auerbach dei Black Keys. Per me il rock&roll è sempre stato la voce della gente comune, di quelli che non comandano. Guarda il film Straight Outta Compton e l’origine di una band come gli NWA. Lo spirito del rock adesso vive nell’hip hop.

Compari nella serie Sonic Highways di Dave Grohl, nella puntata dedicata a Seattle. Credi che sia riuscito a raccontare la città e la scena di cui facevi parte?
Credo sia impossibile catturare tutto quello che ho visto. Però la mia esperienza risale a molti anni prima, quando a nessu- no fregava un cazzo di Seattle. E la stessa Seattle se ne fotteva della sua musica. Potevi avere tutti i fan che volevi, ma se arrivava un band da fuori, meno brava e con meno seguito, tu dovevi aprire per loro. Non ho mai avuto interesse a vedere come gli altri hanno descritto quel periodo.

Stai per partire in tour con il tuo album solista acustico e stai per uscire con un nuovo album dei Soundgarden. Ti senti un po’ schizofrenico?
È molto stimolante. Comincio a capire Neil Young: va in tour con i Crazy Horse, poi fa concerti da solo con sette chitarre acustiche. Ha perfettamente senso. Non sta cercando di scoprire chi è, perché lui è tutte quelle cose insieme. E io sono tutte queste cose insieme.

Questo articolo è pubblicato su Rolling Stone di ottobre.
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