Arcade Fire vs. la Rete: l'intervista | Rolling Stone Italia
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Arcade Fire vs. la Rete

«Il problema non è Internet, piuttosto gli umani»: la band racconta il nuovo 'Everything Now'

Arcade Fire vs. la Rete

Gli Arcade Fire, foto di Kimberley Ross

Su queste stesse pagine, lo scorso mese abbiamo sollevato un dubbio riguardo agli Arcade Fire e al loro nuovo Everything Now. Un po’ ovunque, qua e là nel disco, sono disseminate frecciatine di critica a Internet. Proprio dagli Arcade Fire che, come dicevamo già nella recensione, nemmeno sette anni fa avevano soffiato da sotto il naso di Eminem e Katy Perry un Brit Award per il Best Album of 2011. Il tutto, soltanto grazie alla popolarità online che già allora mise in guardia le case discografiche creando un Signor precedente.

Ecco, quindi proprio loro, che sono dove sono grazie al Web, ora fanno i voltagabbana saltando sul carrozzone dei vecchi da bar? Beh, non è come sembra e allo stesso tempo lo è. «Non so tanto se sia una critica nascosta», risponde la voce squillante di Will Butler buttandola sul ridere. «Per esempio, Infinite Content parla deliberatamente di Internet, quindi penso più a una critica aperta. A volte è nascosta, altre invece è lampante. Siamo fatti così!». Il che vale come una mezza ammissione di colpa, per quanto si tratti di una posizione condivisibilissima.

Foto di Guy Aroch

Will e i suoi non vedono Internet come lo spauracchio del nuovo millennio. In Rete ci sono anche tante cose utili. Il disco più che altro vuole parlare di com’è davvero la vita online. «Che, come sanno tutti, non è nulla di eccezionale», aggiunge il tastierista, fratello del frontman Win (è un attimo confondere i nomi). «Ma siamo d’accordo che non ci sarebbe stata nessuna carriera senza Internet». Proprio come i loro fan della prima ora, anche Will ammette di usare compulsivamente la tastiera e il mouse per trovare nuova musica e ascoltarne di vecchia con lo streaming.

E allora dove sta il problema? Forse torna utile un verso nel testo di Everything Now, fucilata 70’s disco in stile ABBA che i canadesi hanno eletto al rango di title track. Tra parentesi, chiamando Bangalter dei Daft Punk alle produzioni («Un vero perfezionista») per farla funzionare al meglio in radio. “Ogni volta che sorridi stai facendo finta / Smettila, hai già tutto ora!” canta il fratello Win nel pezzo, sfoggiando un timbro a metà fra l’ironico e lo strafottente che ha più analogie che differenze con quello di Will.

Ascoltandolo, non si capisce. Ma registrare questo disco è stata un’esperienza molto intima

«Il problema sono gli umani. È il loro comportamento a danneggiare Internet», dice. Il cancro è il culto dell’immagine, l’eterno scrolling e l’annichilimento della creatività tramite la totale passività. Quanto agli ABBA, Will ci mette poco ad ammettere che il pallino degli svedesi patinati, lui e suo fratello, l’hanno sempre avuto. Così come quello per Neil Young. «Ma non credo che il termine “indie” si addica a noi. Anzi, penso proprio che non si addica a nessuno. È una stronzata usarlo!», si vendica Will per essere stato messo in difficoltà con la domanda sul Web.

A ogni modo gli Arcade Fire negli ultimi anni a cazzeggiare su Internet ci sono stati probabilmente meno di tanti altri colleghi. Tolti i tour, pre-disco e post-disco, i sei canadesi hanno riscoperto il valore del viaggio, quello di piacere. Fine a se stesso e non deciso da un promoter. Se l’ultimo Reflektor era il risultato di una improvvisa ma violentissima sbandata di Will e Régine (la moglie e frontwoman del gruppo) per Haiti e la cultura dei suoi isolani, Everything Now è la rimpatriata nella terra natale dei fratelli Butler.

«Non era pianificato, ma alla fine penso sia il nostro primo disco registrato interamente in America. In più, dentro uno studio davvero minuscolo. Stanzine di quattro metri e mezzo per due con tutti noi dentro. Più ovviamente sintetizzatori, batteria, basso. Non si capisce ascoltando il disco, ma è stata un’esperienza molto intima, a stretto contatto con i fonici e il resto della band». Lo spazio fisico e quello creativo però sono due cose ben diverse. Will questo lo sa. Per mandare avanti la baracca senza creare tensioni e gelosie – storicamente il più grande veleno per le band – gli Arcade Fire si sono concessi col tempo più libertà individuali e un’equa ripartizione dei diritti e dei ruoli. Insomma, una piccola utopia. «Non so dirti da dove sia venuto questo nuovo suono, ma ti so descrivere come abbiamo fatto ad arrivarci», racconta il tastierista.

Foto di Guy Aroch

«Ci diamo molto più spazio ora, e questo si riflette nelle canzoni. Neon Bible è un ottimo album ma è anche molto più denso. Everything Now è un disco che ti lascia respirare». Will comunque ha una teoria che spiegherebbe il perché dell’eterno ritorno della disco music. Una volta era appannaggio della sola comunità gay e afroamericana e «questo alla gente non piaceva». Oggi Will è convinto che siamo tutti meno chiusi mentalmente, più predisposti al dialogo. «E poi», conclude, «se riusciamo noi a non scannarci come sei chef nella stessa cucina, ce la possono fare tutti».