Anohni: «Non aspettiamo di essere morti, diamoci una mossa» | Rolling Stone Italia
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Anohni: «Non aspettiamo di essere morti, diamoci una mossa»

La voce degli Antony and The Johnsons ha accantonato pianoforte e basi strumentali per sperimentare l'elettronica forte di "Hopelessness"

Un dettaglio della copertina di "Hopelessness", l'album di Anohni uscito il 6 maggio

Un dettaglio della copertina di "Hopelessness", l'album di Anohni uscito il 6 maggio

Ha preso una “H” e l’ha messa in mezzo al suo nome (togliendo una “T”) «perché è una lettera silente con una forte qualità spirituale e mi ricorda il mio mentore, il danzatore giapponese Kazuo Ohno». Ha chiesto, in maniera gentile ma risoluta, che d’ora in poi si parlasse di lei, e non di lui. Ha accantonato pianoforte e basi strumentali per sperimentare un’elettronica forte e potente e così ha chiamato Hudson Mowhawke e Oneothrix Point Never: «Basta con la musica pastorale di prima, ora ho bisogno di ciò che può aiutarmi a esprimere la mia rabbia». Ha chiesto all’amico Riccardo Tisci di Givenchy di curare la direzione artistica del suo video di Drone Bomb Me, con protagonista Naomi Campbell che interpreta il punto di vista di una ragazzina afghana, la cui famiglia è stata decimata dall’attacco di un drone. Mentre il primo singolo, 4 Degrees, è diventato un inno per accompagnare le richieste degli ambientalisti durante la Conferenza sul Clima di Parigi del dicembre scorso.

Non aspettiamo di essere
morti, diamoci una mossa

È questa la nuova fase di Antony Hegarty, frontwoman degli Antony and The Johnsons, artista transgender che ora si fa chiamare Anohni, nata in Inghilterra nel 1971 e trasferitasi con la famiglia negli Stati Uniti dal 1981 . Una fase sospesa tra riferimenti culturali ed estetici sofisticati e l’urgenza di presentare il suo personale grido di battaglia.
Per questo il suo nuovo album è una vera bomba, sia per le basi elettroniche che per i contenuti: Hopelessness, senza speranza. Al telefono, però, ha un tono di voce sommesso, pronuncia le parole lentamente, tra un sospiro e l’altro, e ripete le domande per essere sicura di aver colto in pieno il senso. Non è in forma a causa di un’influenza di stagione, ma basta la prima domanda per riaccendere quella determinazione che emerge dai testi di Hopelessness.

Affronti temi che vanno dalla denuncia dell’ecocidio in atto (4 Degrees – Hopelessness) al controllo della libertà personale che può assumere contorni assurdi nella società odierna (Watch Me), dalla delusione procurata da Obama (Obama) al sistema carcerario negli Stati Uniti (Execution): ritieni che la musica possa e debba avere un peso sull’opinione pubblica?
No. Io non ho nessuna pretesa di condizionare l’opinione di qualcuno. È chiaro che io parlo a chi la pensa già come me, e cerco di incoraggiare quelle persone già sensibili verso certi temi. Sento l’esigenza di esprimermi, perché penso che la vita sia troppo breve per non essere parte attiva del dibattito politico: io voglio essere una goccia nell’oceano, anzi voglio essere LA goccia.

Hudson Mohawke e Oneothrix Point Never ti hanno aiutato in questo?
Certo, abbiamo collaborato molto bene per la produzione, con la loro musica sono riusciti a galvanizzare i miei sentimenti di collera. Amo il termine galvanizzare: ha in sé un’accezione positiva, una componente di energia.

Hai bisogno che un artista che collabora con te condivida le tue idee?
Non per forza, però preferisco che un artista si senta a suo agio con il messaggio che viene trasmesso dalla mia musica. Mi è anche capitato di lavorare con persone che non la pensassero esattamente come me.

Ci sono altri artisti che ammiri oggi per la loro capacità di trasmettere un messaggio di protesta?
Buffy Sainte-Marie, per me una grandissima fonte di ispirazione per il suo modo di trattare i temi politici nelle sue canzoni e per la sua caparbietà nel cercare di far conoscere i diritti degli indiani d’America, soprattutto in Canada e negli Stati Uniti.

Sei stata nominata agli Oscar per la colonna sonora del documentario Racing Extinction, ma poi non sei stata invitata a esibirti come altri artisti. Nella lettera che hai mandato alla commissione hai sottolineato come negli Stati Uniti continui a imperare sempre la stessa mentalità, quella che esalta solo personaggi noti che portano soldi allo show-business. Hai messo in secondo piano il fatto che saresti stata la prima artista transgender agli Oscar. Mi ha colpito il fatto che tu ritenga di non essere abbastanza nota: lo pensi veramente?
Certo. Di cosa ti stupisci? Sono molto più conosciuta in Europa, dove in generale si respira un’apertura culturale maggiore. Non è facile trasmettere un messaggio negli Stati Uniti, la platea è troppo ampia e variegata, e comunque la linea politica è sempre più conservatrice e prudente. E poi la cosa più importante è che non c’è abbastanza attenzione per gli artisti. Da voi, in Italia, invece, si capisce quanto siano importanti la musica e la cultura in generale. Basta andare in un qualunque paesino del Sud in estate per assistere a un concerto all’aperto in piazza.

La quasi maggioranza degli italiani non pensa che venga data abbastanza importanza alla cultura e pensa che in altri Paesi ci sia più rispetto.
Io sono convinta del contrario. Ho notato davvero un’attenzione diversa. Addirittura un’accoglienza pazzesca, quando ho suonato per la prima volta in Germania e nel vostro Paese. Più che in Gran Bretagna, per dire. Forse perché lì hanno una tradizione culturale più radicalizzata. Mentre il problema vero degli Stati Uniti è che si pensa solo a monetizzare qualsiasi cosa.

E l’influenza massiccia degli Stati Uniti sulla cultura pop?
Sì, la riconosco, certo: gli Stati Uniti sono ancora i produttori principali di pop culture, in fondo tutta la musica che ascoltiamo oggi è stata influenzata dalla tradizione afro-americana, così espressiva e interessante anche dal punto di vista estetico. Comunque, lo ripeto, negli Stati Uniti gli artisti sono trattati peggio, quasi come dei criminali.

Nel testo di Obama attacchi duramente il Presidente degli Stati Uniti, non pensi che sia stato comunque il male minore?
Sì, certo è il meno peggio (“The lesser evil”, ndr). La figura di Obama non è nemmeno paragonabile a quella di certi candidati alla Casa Bianca di questo momento. Ma non sottovalutiamo il peso della delusione. Quando Obama è stato eletto, ha rappresentato per molte persone il risveglio delle coscienze. Io me lo ricordo perfettamente quando ho ricevuto la notizia: ero in un albergo a Londra e sono scoppiata a piangere per la gioia. E come me, sono sicura, molte altre persone.Tutti abbiamo immediatamente pensato a Robert Kennedy. Ma poi Obama non ha prestato fede alle sue promesse. È un problema complesso e che ormai risale a tanto tempo fa. Dalla guerra in Iraq, del 1990, il nostro governo ha appoggiato veri e propri massacri, anche di civili. Quindi l’emergenza mondiale dei rifugiati deriva proprio dalle scelte di politica estera americana dopo la Guerra nel Golfo. Ora non esiste che gli Stati Uniti rimangano solo a guardare, dopo tutto quello che hanno fatto.

Mentre cosa dovrebbero fare gli americani secondo te?
Ci sono stati dei movimenti importanti negli Stati Uniti negli ultimi anni, si prenda Occupy Wall Street, per esempio. Peccato che sia stato represso. Io sono sicura che gli americani ora stiano cercando di ritrovare la loro identità, banalmente, per riottenere quel potere che capiscono di aver perso. Io non so se esista anche in Italia, ma in Gran Bretagna ho sentito parlare di questo movimento di persone che non pagano le tasse e sono fuori legge, perché non si riconoscono in niente. Non li giudico, ma so che gli americani hanno creduto per anni alla teoria del destino manifesto, al fatto di dover esportare per forza la loro forma di democrazia, mentre secondo me hanno espanso solo un virus nel mondo. Virus: questa è proprio la parola più adatta che mi venga in mente.

Sempre che possa avere un senso fare una classifica delle istanze: quale pensi possa essere quella più urgente in questo momento? Quella sul clima?
Ciò che vorrei fosse chiaro è che non si può risolvere un problema da solo, pensando che possa bastare. È un circolo, bisogna di cercare di risolvere tutti i problemi contemporaneamente, perché sono tutti connessi. Solo così penso si possa avere un vero miglioramento, se no sarebbe tutto inutile. Poi il problema del clima mi sembra piuttosto cruciale: ci rendiamo conto o no che a febbraio, in quasi tutto il mondo, è stata registrato un aumento di temperatura di 4 gradi rispetto alle medie degli anni precedenti (da qui il pezzo 4 Degrees, ndr)? Quando ci decideremo a fare qualcosa? Quando saremo tutti morti?

Questo articolo è pubblicato in versione integrale su Rolling Stone di maggio.
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Anohni suonerà al Flowers Festival per un’unica data italiana.

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