Instagram Stories: piccoli passi verso un sistema perfetto | Rolling Stone Italia
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Instagram Stories: piccoli passi verso un sistema perfetto

Zuckerberg approfitta dei limiti anagrafici e tecnici di Snapchat per crearne senza troppa fantasia la sua versione, ma nel frattempo gli snap sono la nuova TV dei ragazzini

Instagram Stories: piccoli passi verso un sistema perfetto

Ormai lo sapete già tutti: Instagram ha copiato Snapchat e ha inserito l’opzione Stories. Qualcuno ha anche già fatto notare come Zuckerberg e soci – Instagram, ricordiamolo, è di Facebook – abbiano deciso di farlo per recuperare lo svantaggio competitivo e dare alla sua community una possibilità in più dentro un sistema sociale che sono in grado di comprendere. Facebook viene sempre più percepito come un universo “da vecchi”, dove per vecchi si intende chiunque abbia più di 25 anni. Ed è anche un modo per superare il digital divide dentro l’universo digital. Snapchat, infatti, è una piattaforma costruita e organizzata in modo non intuitivo per chi è cresciuto con la prima generazione delle App: a destra si trovano alcuni a comandi, a sinistra altri, sempre così. Su Snapchat i comandi sono in un altro luogo, il flusso è sia “verticale” che “orizzontale”: un universo fatto su misura di chi è già abituato a qualcosa di più immersivo. Non è un caso che Snapchat sia il medium preferito per la generazione successiva, quella che dà per scontato lo spostamento paradigmatico portato dai social network nell’organizzazione della nostra esperienza quotidiana.

Ma se in Italia il fenomeno è ancora limitato, negli Stati Uniti Snapchat è ormai uno dei sistemi di riferimento. I ragazzi guardano le features garantite da canali ufficiali di grossi network e istituzioni come noi trentenni guardavamo la televisione quindici anni fa. Uno zapping di preferenze cui dedicare il nostro stretto necessario di attenzione. Snapchat ha ripensato il modello di business per le giovani generazioni e, come spesso accade nelle nuove tecnologie, usa un nuovo ambiente per portare avanti pratiche tradizionali. Lo zapping, la televisione portatile, la creazione di una comunità apparentemente chiusa. La barriera è sia “oggettiva” (Snapchat non integra i contatti con gli altri social network e si basa sulla rubrica del telefono personale e sulla conoscenza diretta del nome utente), sia “anagrafica”. C’è, insomma, chi è tagliato fuori dalle possibilità. Per tutto il resto, c’è Zuckerberg.

Instagram ha “copiato” Snapchat senza problemi e senza nemmeno impegnarsi a far finta di star facendo qualcos’altro. Qualcuno potrebbe indicare questo gesto come subalternità, come presa di coscienza di una carenza ma è solo il punto di partenza. Il processo di evoluzione dell’universo Facebook non sta seguendo le logiche classiche dell’innovazione, ma quelle di un ecosistema. Si muove, tiene conto di tutte le dinamiche esistenti, va in profondità cercando risorse, agisce in modo attivo secondo un rapporto causale di risposta alle varie sollecitazioni e si adatta man mano andando per tentativi fino a che non si raggiunge il “sistema perfetto”. Sembra di essere sempre più dentro la distopia tratteggiata da Dave Eggers nel romanzo Il cerchio. La scelta di Instagram è fatta proprio per annullare la distanza tra chi non riesce a maneggiare ancora queste modalità di espressione. La “prima onda” dei social ci ha infatti abituato al contenuto permanente. Dai pensieri in libertà pubblicati senza pensare si è passati a una più diffusa e capillare (anche se non ancora sistematica) responsabilità del linguaggio e della pubblicazione. Ogni post è una fonte, e se avete letto I giustizieri della rete di Jon Ronson sapete come basti un solo tweet scritto con leggerezza per rovinarvi la vita. Snapchat ha aperto la frontiera del contenuto deperibile, meno riflessivo, più immediato e leggero perché tanto sparisce dopo 24 ore. Snapchat però ha un altro problema oltre l’interfaccia escludente: permette filmati di pochi secondi e i trentenni sono logorroici. Instagram ha superato questo problema permettendo di postare filmati più lunghi. È l’adattabilità. È stato già fatto quando si è superato lo scoglio dei 15 secondi per le clip video da postare nel feed “tradizionale”. È stato già fatto quando si è sacrificato il formato quadrato per il formato rettangolare (perfetto per le inserzioni pubblicitarie). Instagram ha quasi migliorato – o meglio, targettizzato – Snapchat garantendo un terreno di partenza più fertile (i followers già esistenti e integrabili con quelli di Facebook e Twitter) e aprendolo a chi prima semplicemente non riusciva a farcela.

Se Stories sia solo un nuovo modo per far vedere agli amici il luoghi in cui si sta facendo la vacanza, il cibo che si sta mangiando e il concerto a cui si sta assistendo è presto da ipotizzare. Quello che già sappiamo è che i social vanno ad accumulo: si integrano, si annusano e si “rubano” le idee senza farsi troppi problemi (del resto non è proprio Zuckerberg ad essersi “ispirato” – ehm – a un altro social network per creare il suo Facebook?) nell’eterna ricerca della perfezione assoluta, sia del servizio garantito, sia del consumatore consapevolmente profilato. È un ecosistema che agisce quasi da solo e anche quando all’inizio non ce la fai (chi scrive ha cancellato Snapchat dal suo smartphone per i problemi di cui sopra), ti verrà sempre incontro per darti una possibilità in più. No, anche oggi non ci sentiremo vecchi.