Auguri, Paz. Sessant'anni di Andrea Pazienza | Rolling Stone Italia
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Auguri, Paz. Sessant’anni di Andrea Pazienza

Stasera, ore 22.10, su Sky Arte andrà in onda il documentario "Andrea Pazienza - Fino all'estremo". Intanto, online, è disponibile il sito ufficiale curato dalla moglie di Paz

Fosse stato ancora vivo, oggi – 23 maggio 2016 – Paz avrebbe compiuto 60 anni precisi. E chissà come sarebbe stato. Mentre c’è chi ci ha provato a immaginarselo ancora qui, magari a lavoro, sempre genio, sempre lui, c’è pure chi, dalla sua scomparsa, ha cercato di tracciare un confine invalicabile, di stringere l’Italia e gli italiani tra due opposti, e di predire – inutilmente, visto che il futuro è già qui – la fine di un’epoca. Punto di partenza, ovviamente, Paz. Il disegnatore, l’autore, quello che ha accompagnato due generazioni mano nella mano, che ha guardato negli occhi una terza, e che una quarta, condannata a scoprirlo solo a posteriori, sulle ristampe e per sentito dire, l’ha solo tentata.
Secondo Tanino Liberatore, quegli anni lì, quelli di Paz, erano anni meno bigotti: lo dice alla fine di Andrea Pazienza – Fino all’estremo, il documentario che andrà in onda stasera su Sky Arte. E un po’ Liberatore ha ragione. Oggi probabilmente Paz non avrebbe avuto la stessa fortuna, né avrebbe trovato un editore (sì, forse, chi lo sa: ora tutti gli addetti ai lavori staranno protestando: se avessi potuto l’avrei pubblicato io! E quando mai, figurarsi).

La storia di Paz va parallela a quella delle riviste italiane: del Cannibale e di Frigidaire – una raccolta di tavole si può vedere sul nuovo sito dedicato a Paz, frutto del lavoro d’archiviazione della moglie Marina Comandini. Va di pari passo con un’altra idea, più vera, di informazione e fumetto. Di attivismo e di politica. E poi Paz disegnava se stesso, la sua gente, gli altri ragazzi. Parlava di rogne, di droga, di sesso. La sua era – ed è ancora – la realtà. C’erano i limiti, c’erano i cazzi, c’erano i problemi veri; c’era tutta una fetta di società che se ne fotteva e che comunque, se ci riusciva, ti schiacciava. E Paz lo sapeva bene.

Sempre in Fino all’estremo, lo si sente parlare: chissene della Rai, della moda, dei contratti milionari e dei pacchi di soldi; Paz non si vendeva, né si sarebbe venduto. Disegnava perché era quello che gli piaceva fare. Lui, bello e bravo, d’un fascino ammaliante e d’un carisma che vallo a trovare oggi. Si drogava. Peggio ancora: si bucava. Ed è morto per questo. Eppure mica lo nascondeva. Nei suoi fumetti c’è l’ago, c’è l’eroina, c’è un mondo psichedelico e contorto, che era paradiso e inferno assieme. Poi c’è la lingua del Paz: un miscuglio di dialetti, un crocevia di popoli e di realtà. C’è il tratto cartoonesco, il pennarello – «che», ha detto sempre Tanino Liberatore, «l’aiutava a tagliare via quello che era inutile» – e c’è la storia che cattura il lettore, lo scuote, gli parla. E gli dice: sì, figlio mio bello; non sei solo. Sta qui la grandezza del Pazienza autore. Genio, geniaccio, gigione: chiamatelo come volete; dategli pure tutte le etichette che vi vengono in mente.

Di Paz, oggi, restano i fumetti e resta la sua leggenda. I pipponi dei critici – caos, non-caos, marasma narrativo ed esplosione di temi – sono solo il chiacchiericcio confuso e posticcio che si sente in sottofondo. In primo piano, ancora ed ancora, a quasi trent’anni dalla morte, c’è sempre lui, il Paz.

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