Trump, il dolore e i selfie: parla Stephen King | Rolling Stone Italia
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Trump, il dolore e i selfie: parla Stephen King

Le conseguenze della fama iniziano a infastidirlo, ma a terrorizzarlo è il destino dell'America con Trump possibile presidente

Stephen King, foto Facebook

Stephen King, foto Facebook

L’ultimo racconto di Stephen King, End of Watch (uscito negli Stati Uniti questo mese) è l’ultimo capitolo della sua trilogia su Mr. Mercedes, incentrata su un killer psicopatico e un poliziotto in pensione. L’autore ha parlato con Rolling Stone del suo nuovo libro, delle sue idee su Hillary Clinton e Donald Trump, delle ispirazioni per il suo prossimo lavoro e del suo libro preferito del Dr. Seuss.

Qual è la parte migliore e quale quella peggiore del successo?
La parte migliore è essere pagato per qualcosa che probabilmente farei gratis. Mi piace molto il mio lavoro, mi piace inventare le cose. La parte peggiore del lavoro… è strano, ma probabilmente andrò a vedere la partita dei Red Sox questo weekend. C’è sempre gente che mi chiede autografi fuori dall’hotel e non posso uscire e prendermi un panino. Non posso andare a vedere un film senza dover allontanare queste persone. Ti fa sentire su un palco quando non vorresti starci.

Anche i selfie saranno fastidiosi.
Sì. I selfie non sono una bella cosa. Tutti hanno un telefono ora. Ma la gente che ti chiede autografi, ti dice «Per favore, firmami questo poster de L’incendiaria, è per mia nonna malata, morirà tra due anni». Sai perfettamente che lo venderanno su eBay. Amo l’idea che io riesca a intrattenere le persone e che molta gente legga i miei libri. Dico solo che la cosa ideale sarebbe che nessuno sapesse chi cazzo sono. Mi piacerebbe. [Pausa] Sai, molte persone probabilmente leggeranno queste righe e diranno, «Vorrei avere io questo problema». Li capisco. Allo stesso tempo, dopo 25, 30 anni, è un po’ noioso.

Cosa avresti fatto se non fossi diventato uno scrittore?
Sarei stato un perfetto insegnante di inglese in una high school, magari al college. Probabilmente sarei morto di alcolismo a 50 anni. E non sono sicuro che il mio matrimonio avrebbe retto. Penso che le persone che hanno un talento e non lo sfruttano diventino insopportabili.

Qual è il miglior consiglio che ti hanno dato?
In definitiva, è quello che diceva Satchel Paige (giocatore di baseball, ndt): «Non guardarti indietro, qualcosa potrebbe stare per raggiungerti». Ci saranno sempre persone a cui piace quello che fai e persone a cui non piace quello che fai. Ma se apprezzano l’ultima cosa che hai fatto e tu stai già lavorando a quella dopo, sono tutte tue.

Nel mio nuovo libro, End of Watch, uno dei personaggi dice che la maggior parte dei registi scrive storielle e Scorsese romanzi.

Chi sono i tuoi eroi?
David Ortiz (giocatore dei Boston Red Sox, ndt) è uno. È bravissimo in quello che fa e non si è mai montato la testa. Cormac McCarthy è uno scrittore fantastico e ha sempre fatto le cose a modo suo. Se parliamo di registi, Martin Scorsese. Nel mio nuovo libro, End of Watch, uno dei personaggi dice che la maggior parte dei registi scrive storielle e Scorsese romanzi.

Qual era il tuo libro preferito quando eri piccolo e cosa vuol dire per te?
A sei anni, il mio libro preferito era I 500 cappelli di Bartholomew Cubbins del Dr. Seuss. L’idea era così semplice: tutto quello che doveva fare questo tizio era togliersi il cappello di fronte al re, ma ogni volta che lo faceva, ne spuntava un altro sotto. Alla fine veniva arrestato e portato alla ghigliottina. Era una vera storia dell’orrore.

E cosa significa, secondo te?
Probabilmente significa che ero un bambino un po’ incasinato.

E adesso qual è il tuo libro preferito?
I capelli di Harold Roux di un tizio che è morto, Thomas Williams. L’ho letto quattro o cinque volte. Racconta un paio di giorni nella vita di questo tizio, Aaron Benham, che sta scrivendo un libro su un uomo che sta scrivendo un libro. È una piccola casa degli specchi. Mi piace perché dice la verità riguardo a com’è essere uno scrittore.

Qual è la tua città preferita?
New York. È perché riesco a trovare sempre la strada. Sono un ragazzo di campagna ma New York è una griglia perfetta. E c’è sempre qualcosa da guardare ad ogni angolo: negozi, ristorantini. C’è sempre una vecchia un po’ strana che cammina con un cagnolino e qualche tipo eccentrico. L’architettura è fantastica. Tutti i film che vuoi vedere li puoi vedere da qualche parte. C’è un film dell’orrore fuori adesso, si chiama Green Room e parla di una band punk rock. Vorrei vederlo ma qui dove sto adesso non lo danno. Se fossi a New York potrei vederlo.

Hai mai pensato di trasferirti in città per passarci più tempo?
C’è stato un momento in cui io e mia moglie ci abbiamo pensato. Ma è troppo culturale per me. Non volevo trovarmi in mezzo ad altri scrittori. In ogni angolo di New York devi scansare uno scrittore. Alcuni di loro sono molto famosi. Mi ricordo una festa di un’associazione letteraria a cui sono andato dopo aver pubblicato due o tre libri. Tutti erano lì a brindare e c’era Irwin Shaw in un angolo; aveva un bastone ed era tutto rosso in faccia. Mi ha guardato e mi ha detto, «Oh, tu sei l’uomo del mese». Sono scappato via. Non ho mai pensato di viverci ma mi piace andare. È come quella canzone di John Mellecamp: I’m not too much of a hay seed to say who’s doing something in the big town.

A volte il modo in cui vedi le cose è il modo giusto.

Che consiglio avresti voluto ricevere quando stavi iniziando questa carriera?
Che non sempre devi ascoltare quello che dice l’editore. A volte il modo in cui vedi le cose è il modo giusto. Pensavo che tutti gli scrittori fossero più intelligenti e più scafati di me. Ma alla fine non era la verità.

E quando l’hai scoperto?
Oddio, ci ho messo molto. Avevo circa 45 anni. In quel periodo avevo scritto It, quindi era circa il 1985. Tornò con molte parti tagliate. Ho semplicemente detto, «No, queste frasi restano tutte». Il mio editore in quel periodo, Allen Williams, continua a ripetermi quello che gli ho detto: «I ragazzi capiranno». Era la verità.

Cosa fai per rilassarti?

Leggo, guardo la TV. C’è molta roba in TV adesso, è come essere nel Paese dei Balocchi. Suono anche la chitarra. Provo a imparare qualche canzone nuova ogni tanto. Non so cantare o suonare bene, ma mi rilassa.

Sei sposato da 45 anni con tua moglie Tabitha. Cosa hai imparato sui rapporti di coppia?
La cosa migliore che puoi fare spesso è stare zitto e lasciar fare agli altri. Serve molta accettazione per far funzionare un matrimonio, e devi continuare a parlare. E ti deve anche piacere l’altra persona. Questo aiuta molto.

Come fai a non distrarti mentre scrivi?
È semplice abitudine. Scrivo spesso dalle 7.30 a mezzogiorno. Cado praticamente in trance. È importante ricordarsi che non è la cosa più importante della vita. La cosa più importante della vita è essere presente se la tua famiglia ha bisogno di te o se c’è un’emergenza. Ma devi eliminare i rumori di fondo. Che vuol dire niente Twitter. Niente giri sull’Huffington Post per vedere cosa fa Kim Kardashian. C’è molto tempo per queste cose, di solito prima di andare a dormire. Mi ritrovo a fissare video di cani buffi, quelle cose lì.

Dimmi la cosa che fa di te un uomo del Maine.
Sono uno di campagna. Ho una macchina a quattro ruote motrici. Ti serve in inverno perché le strade fanno schifo.

Cosa hai imparato dopo l’incidente del 1999 (quando King venne investito mentre camminava, ndt)?
Che puoi convivere con il dolore ed essere produttivo. Dopo un po’, lo dai per scontato. Ci convivi. Ci sono alcune cose che puoi fare. Esercizi, non sforzare le parti che non sono mai guarite del tutto. Diventa parte della routine.

Durante le prime settimane, pensavi di non riuscire a resistere al male?
Sì. Non nelle prime settimane, probabilmente nei primi sei mesi. Alla fine si è accumulato tutto e mi dicevo, «Se è così per tutta la vita, forse è meglio non vivere». E poi, a un certo punto, c’è una curva del dolore che inizia a scendere e una curva che sale, perché stai iniziando ad accettarlo. Quando si incrociano, allora la tua vita è OK.

Cosa speri diranno le persone di te quando morirai?
Sarebbe carino dicessero, «Ha lavorato duramente. Ha lasciato una ricca eredità di racconti e ha fatto cose buone per la comunità». Detto questo, non mi aspetto molto una volta scomparso. Penso che i cantanti e i musicisti abbiano più possibilità degli scrittori.

I troll sono ovunque. Se sbagli qualcosa o dici qualcosa che non va bene, ti cadono in testa come un muro di mattoni.

Non pensi che la gente tra 50 anni leggerà ancora L’ombra dello scorpione?
Sarebbe bello. Potrebbero leggere anche Shining o Le Notti di Salem. Penso che i racconti dell’orrore e quelli fantasy abbiano una vita più lunga degli altri. Penso ai grandi bestseller di quando ero giovane, come Sette giorni a maggio o ai racconti di Irving Wallace. La gente non sa di cosa parli quando dici quei nomi. È quello che succede alla maggior parte degli scrittori. La gente va oltre.

Che musica ti emoziona?
La prima che mi viene in mente è una canzone dei Del Amitri, chiamata Always the Last to Know. È dannatamente triste. Se parliamo di artisti, dico Jerry Lee Lewis, Eddie Cochran e altri tizi che erano dei veri rocker negli anni Cinquanta. Wanda Jackson, Let’s Have a Party. Oppure Rocket 88. Diceva, “Everybody in my car’s gonna take a little nip”. Non è molto politically correct oggi, ma mi piace.

Pensi che Internet sia un bene o un male per l’umanità?
Penso che sia un impulso. Questa mattina mi serviva un nome indiano. Sono andato su Firefox e l’ho trovato, boom. Hai la ricerca istantanea. Vuol dire che non devi andare a prendere un libro per magari non trovarlo neanche. Internet è una palla magica del 21esimo secolo. Trovi sempre una risposta. Magari non è giusta, ma è sempre una risposta. Dall’altra parte, si tratta di essere sempre attenti. I troll sono ovunque. Se sbagli qualcosa o dici qualcosa che non va bene, ti cadono in testa come un muro di mattoni. È diventato un vero problema intellettuale per tutti. Devi immaginare che tutto ti cadrà addosso. Penso sempre a lungo, le persone saranno sempre più deboli.

Sei dispiaciuto per il tuo Paese del fatto che Donald Trump abbia dimostrato di essere molto popolare?
Sono molto dispiaciuto per il mio Paese. Penso che sia l’ultimo esemplare di una razza di uomo americano che pensa che le donne siano uscite dal loro posto e che si facciano entrare troppi individui con un colore della pelle sbagliato. Parla a quella gente. Trump è estremamente popolare perché la gente vorrebbe vivere in un mondo in cui non devi neanche chiederti se un bianco americano sia o meno in cima alla scala gerarchica.

Pensi che potrebbe vincere?
Ho visto un sondaggio l’altro giorno dove Hillary Clinton era davanti a lui di appena tre punti. Se è vero, dovremmo tutti tornare al giorno in cui ha annunciato di volersi candidare e tutti pensavamo fosse uno scherzo. La stampa pensava fosse uno scherzo. Rolling Stone pensava fosse uno scherzo. Jon Stewart diceva, «Oh, per favore, fatelo andare avanti; è la migliore barzelletta che abbiamo mai avuto». Bene, nessuno sta più ridendo. Di tutti i candidati che si sono sfidati quest’anno, l’unica che è minimamente qualificata per fare questo lavoro è Hillary Clinton. C’è molto pregiudizio su di lei, solo perché è donna.

Ultima domanda, ho notato che il cattivo del tuo libro, End of Watch, è nella stanza 217 dell’ospedale. Penso che non sia una coincidenza, visto che è lo stesso numero della stanza stregata di Shining.
No, non è una coincidenza. È per far tornare tutti all’Overlook Hotel.

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