La guida definitiva agli album di Lucio Battisti | Rolling Stone Italia
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La guida definitiva agli album di Lucio Battisti

‘Il nostro caro angelo’ o ‘Anima latina’? Mogol o Panella? Il 33 giri di ‘Con il nastro rosa’ o quello con ‘Sì viaggiare’? Abbiamo ordinato i dischi del cantautore dal peggiore (che è comunque tanta roba) al migliore

La guida definitiva agli album di Lucio Battisti

Lucio Battisti fotografato da di Cesare Monti nel 1976 per 'La batteria il contrabbasso eccetera'. 1976

Mettiamo subito in chiaro una cosa: non esiste un disco brutto di Lucio Battisti. Esistono album spesso diversi tra loro che esplorano stili diversi e sono colmi di tutto il ben di dio che la musica può offrire: melodia, ritmo, invenzioni, stimoli. La carriera di Battisti è divisa in due tronconi, il periodo con Mogol e quello con Pasquale Panella. In mezzo un disco che fa da cuscinetto. In questa classifica ci sono tutti, mischiati tra loro in un tutt’uno che cerca di capire fino a dove l’arte battistiana ha potuto spingersi. E si è spinta lontano, oh sì, molto lontano.

16. “E già” (1982)

Lucio Battisti divorzia da Giulio Rapetti, in arte Mogol. Cosa fare se non cercare di dimostrare al mondo che anche lui (con l’aiuto dalla moglie Grazia Letizia Veronese) può scrivere testi che rispecchino l’uomo che è diventato, non le idee e le pulsioni altrui? Detto fatto, e le parole a firma Velezia saranno quanto di più straniante il nostro abbia finora cantato. Musicalmente le cose si fanno più sintetiche, approfondendo un percorso inaugurato con il precedente Una giornata uggiosa. Ne esce fuori un lavoro ibrido, non del tutto a fuoco e con nessun brano che passerà alla storia. Ma il peggior disco di Lucio è sempre tanta roba.

15. “Amore e non amore” (1971)

Un altro momento di confusione che genera luce. Battisti non vuole più essere quello delle hit anni ’60. L’Italia del rock è alle porte e lui si chiude in studio con la PFM a tirare giù quattro torridi brani venati di r&b e quattro strumentali classicheggianti dai titoli chilometrici. Lucio è pronto per dimostrare quel che vale, da qui in avanti in ambiti sempre diversi. Gli strumentali sono un poco pasticciati, ma come non esaltarsi davanti alla forza grezza di Dio mio no o di Supermarket?

14. “La sposa occidentale” (1990)

Nel periodo con Panella, Lucio tira fuori gli attributi. È convinto che debba essere il pubblico ad andare incontro ai gusti dell’artista e non viceversa. Sforna così cinque album senza compromesso alcuno. Dischi elettronici, surreali e cervellotici, ma pregni fino all’osso del genio battistiano. La sposa occidentale sfiora addirittura la techno, e non dispiace affatto sentire il nostro alle prese con nuove invenzioni musicali. Ci penserà la splendida title track a ricordarci che sempre di Lucio Battisti si sta parlando.

13. “Una giornata uggiosa” (1980)

Il disco del divorzio, quello in cui le strade con Mogol si dividono e ciò che verrà “lo scopriremo solo vivendo”. In questa grigia giornata di pioggia i suoni cominciano ad avvicinarsi al Battisti anni ’80, le canzoni sono bellissime ma sfilacciate, come una coppia che non litiga nemmeno più, semplicemente restano senza nulla da dirsi. Nonostante le stimolanti avventure che Lucio affronterà nel dopo Mogol sul finale di Con il nastro rosa scappa una lacrimuccia.

12. “L’apparenza” (1988)

Le tipiche melodie di Battisti appaiono e scompaiono. Sembra che l’autore si diverta a depistare il pubblico, a offrire una versione deformata e straniante di sé. Questo e altri dischi con Panella si rivelano opere importantissime nel loro affermare la precisa volontà di Lucio: quella di essere non un semplice cantante pop, ma un uomo coraggioso che non teme di andare persino contro se stesso pur di portare avanti la sua visione. Del resto, appena dopo la separazione da Mogol lo aveva detto: “Per continuare la mia strada ho bisogno di nuove mete artistiche, di nuovi stimoli professionali: Devo distruggere l’immagine squallida e consumistica che mi hanno cucito addosso”.

11. “Cosa succederà alla ragazza” (1992)

Le semplici iniziali C.S.A.R. scarabocchiate a mano campeggiano in copertina mentre il disco si focalizza ancora più pesantemente sull’elettronica (la title track), su echi dub (Ecco i negozi, Però il rinoceronte), addirittura su timidi tentativi rap (Cosa farà di nuovo). Le melodie però tornano fruibili, specie in La metro eccetera, forse il brano più tradizionalmente battistiano tra tutti quelli composti con Panella.

10. “Lucio Battisti, la batteria, il contrabbasso, eccetera” (1976)

Il disco funky di Battisti, un funk melodico degno delle migliori produzioni americane. In questi anni David Bowie si dichiara fan del nostro. E c’è da capirlo. Dopo la musica totale di Anima latina Lucio riprende in mano la palla e firma una hit stellare come Ancora tu, mai in Italia si era sentito un connubio così perfetto tra parole, ritmo e melodia.

9. “Io tu noi tutti” (1977)

Gemello del precedente nel suo big sound di stampo americano che indugia tra pop, funk e Battisti doc. L’inizio stenderebbe chiunque, con Amarsi un po’ e la sua chitarra stoppata che farà scuola. Stesso fulgore a inizio seconda facciata, con Sì viaggiare e le successive Ho un anno di più e Neanche un minuto di “non amore”. Puro radio pop a stelle e strisce, una classe unica.

8. “Hegel” (1994)

Il disco più assurdo (ma anche il più fascinoso) tra tutti quelli incisi da Battisti. Un vero collage dadaista nel quale i testi frantumati in sequenze dall’apparente non-significato cozzano contro musiche de-costruite. All’apice della sperimentazione Hegel chiude non solo il sodalizio con Panella, ma tutta la carriera artistica di Lucio. Un vero punto di non ritorno. Del resto dopo un album del genere cosa poteva esserci?

7. “Lucio Battisti / Emozioni / Lucio Battisti Vol. 4” (1969 / 1970 / 1971)

Tre dischi-contenitori di una valanga di singoli di successo, brani entrati a far parte della storia della musica italiana. Se è il Lucio Battisti ‘popolare’ che cercate, qui c’è. Bastano i titoli: Pensieri e parole, Mi ritorni in mente, 29 settembre, Emozioni, Dieci ragazze, Acqua azzurra, acqua chiara, Non è Francesca, Un’avventura.

6. “Il mio canto libero” (1972)

Con Il mio canto libero il pop di Battisti si fa sinfonico, le melodie ancora più struggenti e i testi indugiano in qualcosa che è non più la classica canzone d’amore. Anche se il tema rimane quello dei sentimenti, Mogol approfondisce le incomprensioni, le cose dette e non dette, il desiderare la libertà inseguendo l’unione. Il brano che fornisce il titolo al disco illumina con le sue ampie aperture, stesso discorso per le commoventi Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi e La luce dell’est.

5. “Umanamente uomo: il sogno” (1972)

Dove il pop intimista-orchestrale de I giardini di marzo e della sua gemella E penso a te si unisce alle pulsioni visionarie di Sognando e risognando (già interpretata dalla Formula 3 nel loro album omonimo), salvo poi cadere nella psichedelia con Il fuoco. Umanamente uomo: il sogno è un disco bifronte, da una parte la melodia più pura, dall’altra la sperimentazione più ardita. Ed è proprio grazie a questi opposti che nasce il capolavoro.

4. “Una donna per amico” (1978)

L’album più raffinato ed elegante di Battisti con il sornione incedere funkeggiante (quando non smaccatamente disco) e le indimenticabili melodie della title track, di Aver paura d’innamorarsi troppo e di Perché no. In Nessun dolore Lucio rispolvera la sua antica passione per il rhythm & blues, riesce addirittura a fare il verso ad Angelo Branduardi nella folkeggiante Donna selvaggia donna.

3. “Il nostro caro angelo” (1973)

Un disco di terra, aria e fuoco. Quasi tribale, rivestito com’è di arrangiamenti percussivi e di scintillanti atmosfere jazz-rock. I testi insistono sulle contraddizioni dei sentimenti amorosi, sulla stanchezza, a volte sull’incoerenza di certe relazioni. La collina dei ciliegi è splendida e ariosa, La canzone della terra farà arrabbiare parecchie femministe e il finale in gloria di Questo inferno rosa è uno degli apici battistiani, quasi 7 minuti di assoluta e malinconica meraviglia.

2. “Don Giovanni” (1986)

Il colpo di genio della ditta Battisti-Panella, quando ancora non si sono spinti verso i territori più arditi ma allo stesso tempo coltivano la precisa volontà di andare oltre il periodo con Mogol. La vetta è raggiunta con il primo parto in coppia, un disco di canzoni elettroniche, armoniche e totalmente originali. Con testi che più che parlare di argomenti specifici toccano decine di stimoli e sensazioni, in un collage che ha senso proprio perché non ne ha. Da ricordare i picchi poetici e melodici del brano omonimo e di Le cose che pensano e le invenzioni ritmiche di Madre pennuta.

1. “Anima latina” (1974)

L’equilibrio perfetto tra il Battisti che è stato e quello che verrà. All’apice del successo Lucio osa andare controcorrente offrendo un album realizzato per affermare il suo essere un vero artista, non un commerciante. Anima latina ha dentro tutto e il suo contrario: pop, classica, elettronica, folk, jazz. Non c’è una hit, c’è un tutt’uno sonoro che si snoda in 48 minuti tra spazi siderali e percussioni latine. Un concept sulla gelosia e sulla possessività che non teme di rivendicare la libertà dell’individuo, a costo di fare soffrire l’altro. Con la voce del protagonista (sommersa dagli strumenti) che sembra provenire da un’altra realtà. Anima latina è il Sgt. Pepper italiano.

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