“1992”, l’Italia sporca e luccicante di mani pulite | Rolling Stone Italia
Interviste

“1992”, l’Italia sporca e luccicante di mani pulite

È stato trasmesso a marzo su Sky in contemporanea in Italia, Inghilterra, Germania, Irlanda e Austria. Due chiacchiere con il protagonista Stefano Accorsi

17 FEBBRAIO 1992. Mario Chiesa, socialista milanese, viene arrestato mentre incassa una tangente. Inizia Mani Pulite, la maxi inchiesta che ha sconvolto l’Italia e che la serie tv “1992” racconta per la prima volta attraverso le storie di 6 persone comuni. Il primo dei 10 episodi sarà trasmesso il 24 marzo su Sky.

17 FEBBRAIO 1992. Mario Chiesa, socialista milanese, viene arrestato mentre incassa una tangente. Inizia Mani Pulite, la maxi inchiesta che ha sconvolto l’Italia e che la serie tv “1992” racconta per la prima volta attraverso le storie di 6 persone comuni. Il primo dei 10 episodi sarà trasmesso il 24 marzo su Sky.

Poi dice che l’Italia non sta cambiando. Niente è stato (giustamente) vituperato quanto le fiction italiane. Un inferno di luoghi comuni, santi, battute mal recitate, luci piazzate a cazzo, nessuna idea da trasmettere se non l’equivalente di una chiacchierata con la signora del terzo piano, con la quale, francamente, abbiamo sempre preferito parlare dal vivo e inquadrarla solo con i nostri occhi.

Oggi la fiction italiana finalmente si chiama serie tv, e non è solo un cambiamento lessicale. 1992, serie prodotta da Sky Atlantic e realizzata da Wildside, che andrà in tv il 24 marzo ha avuto l’inusitato onore di un’anteprima mondiale al Festival del cinema di Berlino, non esattamente un posto in cui non ci sia una selezione accurata delle proposte. 1992, Italia. 2015, Berlino. Per me è una specie di cortocircuito.

Il 1992 è l’anno in cui sono stato la prima volta a Berlino, un paio di mesi. Lì c’era la vita, da noi solo un grigio, immobile pantano del quale non si riusciva a toccare il fondo. E oggi a Berlino sono venuto a vedere l’anteprima di 1992. Nella inconsistente atmosfera della lobby di un Five Star Hotel chiacchiero con Stefano Accorsi, che ha avuto l’idea iniziale, poi eroicamente, genialmente strapazzata dai creatori della serie Rampoldi, Sardo e Fabbri, coordinati da Nicola Lusuardi.

Stefano Accorsi è davvero eccellente nel complicato ruolo di Leonardo Notte, un uomo malinconico e solitario, costretto dai “fatti” ad assecondare il ruolo di leader, spin doctor della nascente repubblica delle banane. Gli dico subito che secondo me è stato bravissimo e che forse è la sua cosa migliore. Sorride. Ha un po’ di quelle occhiaie che mi fanno sentire a casa e che rendono il suo sorriso ancora più sincero.

Stefano Accorsi (44 anni il 2 marzo), intervistato al Festival del Cinema di Berlino per la presentazione di 1992, serie tv sull’Italia di Mani Pulite in onda su Sky dal 24 marzo. Accorsi interpreta il ruolo di Leonardo Notte. Foto Sirio Magnabosco

Stefano Accorsi (44 anni il 2 marzo), intervistato al Festival del Cinema di Berlino per la presentazione di 1992, serie tv sull’Italia di Mani Pulite in onda su Sky dal 24 marzo. Accorsi interpreta il ruolo di Leonardo Notte. Foto Sirio Magnabosco

Tu avresti accettato 10 anni fa una fiction? Quante ce n’erano di accettabili?
Pochissime. Però 10 anni fa è arrivata Sky. A parte alcune eccezioni, non avevamo prodotti televisivi esportabili. Sky ha dato modo a una nuova generazione di creativi che fanno tv in un altro modo di avere interlocutori produttivi che gli permettessero di esprimere le loro capacità.

1992 è un progetto piuttosto ambizioso che solo la nostra generazione poteva avere la sana sfrontatezza di affrontare. Io e te avevamo vent’anni nel 1992. Che facevi tu, mentre l’Italia andava in pezzi?
Io facevo la scuola di teatro, che è una cosa che si prende tutto, emotivamente, intellettualmente. Non fai altro da mattina a sera. Però ricordo bene l’Italia del ’92. Ricordo che per un attimo ho creduto che tutto potesse cambiare, erano eventi che non potevano non catturare le speranze di un ragazzotto di vent’anni. Poi, invece, il buio. Non c’è stato il cambiamento sperato…

E infatti io sono scappato a Berlino. Solo per due mesi, ma ho respirato! Tornando a 1992. Hai la serie sulle spalle. Se tu non fossi bravissimo – e lo sei, totalmente in sync col personaggio – la serie crollerebbe.
La fase più delicata è stata quella precedente alle riprese. L’idea degli sceneggiatori di iniziare col raccontare un solo anno è stata brillantissima, ha sbloccato il processo creativo di tutti. Una volta presa quella decisione, abbiamo cominciato a centrare i personaggi. Il fatto è che io sono pazzo di Leonardo Notte, del mio personaggio, quindi ero suo complice. E lavorare su una durata seriale mi ha dato possibilità che il cinema non può dare, proprio rispetto allo sviluppo di un personaggio, al lavoro d’attore. Noi abbiamo girato più di tre mesi, ma con un’intensità pazzesca. Avevamo sempre gli sceneggiatori sul set, c’era un dialogo continuo sul personaggio. Dovrebbero esserci sempre gli sceneggiatori sul set.

La cosa più interessante di 1992 è la sua ambiguità, che ricade in larga parte sulle spalle del tuo personaggio, Leonardo Notte – nome geniale peraltro. Ha qualcosa dei nuovi antieroi delle serie americane, praticamente una banda di dissociati – pensa a True Detective, a Homeland e soprattutto a Halt and Catch Fire. Leonardo Notte ti fa capire davvero come fosse naturale per un uomo di talento essere sedotti dal mondo berlusconiano: c’è quell’incredibile monologo in cui sussurra al venditore di brugole quanto il sesso e la merce siano la stessa cosa – desiderio – che è un riassunto molto potente e centrato di una epoca intera. Dal mio punto di vista, un racconto di quel periodo come qualcosa di completamente ambiguo, senza soluzione, era necessario per la nostra generazione.
Sono d’accordo. Io ho amato questo personaggio che si muove in un territorio in cui vale tutto. Un personaggio così è estremamente liberatorio. Finalmente si toglie il filtro di una falsa morale che ti impedisce di entrare nel territorio dell’ambiguità, che è l’unico possibile perché un racconto sia tale.

L’assenza di moralismo in 1992 mi ha rasserenato. Era il pericolo peggiore.
Sì, gli sceneggiatori sono stati fantastici. Dovevamo restituire la realtà di fondo di quegli anni. Se volevi fare qualcosa, non potevi che andare a Milano, in tv, nella pubblicità. Non c’era altro. Perché nasconderlo?

In 1992 ci sono numerosissime scene con tv accese. C’erano il citofono, il telefono di casa coi minuti contati da mammà e la tv. La tv era la nostra solitudine nel 1992.
E Leonardo Notte è un uomo in fuga dalla propria solitudine, deve scappare da tutto ciò che possa imbrigliarlo…

Sì, sembra quasi che Notte voglia avere successo solo perché non ha altra scelta. Come se fosse schiavo del suo talento da genio del marketing. È inafferrabile e per questo seducente.
Sì. L’unica cosa che lo tiene in piedi è l’idea di sopravvivere basandosi solo sulle proprie forze. E l’unico modo per farlo è avere successo. Come quando Manu Chao dice «la libertà me la sono comprata con i soldi»…

E oltre a non essere moralista, 1992 non è neppure nostalgico – non è nemmeno virato seppia come usa fare alla tv italiana. E questo fa sì che sia in grado di riportarci davvero indietro nel tempo…
Abbiamo cercato di raccontare anche la figaggine di quel periodo, non volevamo fare l’agiografia del pool di Mani Pulite. Io poi in quel periodo ero chiuso dentro le quattro mura della scuola di teatro e fuori c’erano le famiglie che non ci trasmettevano né serenità né gli strumenti per poter interpretare quegli eventi in un modo più complesso e meno moralista.

Ricordo la diretta per l’attentato di Borsellino. Per me fu una sorta di rivelazione. Il mio impegno politico quel giorno mi si rivelò in tutta la sua potenziale inutilità. Avevo paura. Avete messo le mani nel luogo buio e al tempo stesso luccicante degli anni della nostra formazione, dei 40enni di oggi. Quello è stato l’inizio della nostra guerra. Mi sa che è ancora in corso…

Sì. La gestazione di questa serie è iniziata 23 anni fa, per tutti noi. Non lo sapevamo ancora, ma ci stavamo già lavorando. Per questo l’idea difficile da percorrere sulla carta, ma estremamente stimolante, è stata quella di mescolare realtà e finzione, Di Pietro si chiama Di Pietro e Berlusconi si chiama Berlusconi. La finzione – che è falsa per definizione – ci ha permesso di esprimere una realtà di un altro livello, una realtà quasi inconscia, che noi abbiamo elaborato per anni e anni. Non so, forse esagero, ma a me sembra che sia andata così.

Sarà stato l’inconscio a farti lavorare così bene…
Forse sì. Una volta ho sognato che Berlusconi era mio padre. E nel sogno lo amavo e lo odiavo al tempo stesso. Ecco, questo è Leonardo Notte, questo è 1992.

Questa intervista è presente sul numero di marzo.
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