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Ce lo meritiamo Checco Zalone! Per fortuna

Luca Medici in "Quo vado?" si conferma un modernissimo e sgangherato Alberto Sordi alla scoperta di un'Italia in declino. E qui è al suo meglio. E al nostro peggio

Checco siamo noi. Checco, l’italiano furbo e sempre pronto alla scorciatoia, schiavo del compromesso e sempre pronto a servire il potente di turno (qui fan diventare Lino Banfi senatore, purtroppo solo per finta: noi lo vorremmo a vita, porcaputtena!), Checco, il meridionale maschilista che però diventa anche il fanatico della civiltà del Nord (altro che Lega, molto più su), perché noi andiamo dove ci porta il cuore, siamo brava gente, ma anche dove la nostra convenienza trova alloggio più comodo.

Se Alberto Sordi, tra medici della mutua e presidenti di squadre di calcio, e ancora prima con la divisa addosso, ci ha detto quanto fossimo genialmente squallidi, e viceversa, Zalone incarna il supero(tti)mismo berlusconiano ora divenuto renziano, quell’illusione di ricchezza, crescita e miglioramento che abbiamo sempre vissuto, senza che si realizzasse mai, se non in bolle di pochi anni e tanti danni.

E se nel poco riuscito Sole a Catinelle trovavamo lo sfigato che si vuol fare imprenditore, forse troppo demagogico e strutturato per far ridere, qui scopriamo il miglior Zalone di sempre, probabilmente (e anche il più bravo Gennaro Nunziante, sempre meno regista tutelare e sempre più con una visione chiara e decisa).

Perché è il protagonista a dirci già tutto: in un paese precario e disilluso, Checco ha 35 anni ed è un bamboccione felice. Con un’eterna fidanzata devota e una futura, spera lei, suocera prona alle sue esigenze, genitori che lo venerano (la mamma, soprattutto, ovviamente) e lo spesano e, soprattutto, un posto fisso. Alla Provincia, a firmar e vidimar licenze di caccia e pesca, ma anche e soprattutto in una scala sociale che per lui è immutabile, fatta di privilegi e soprusi normali, di microconcussioni e microcorruzioni che lui chiama “educazione”. E non parlo per invidia, visto che quella “fissità” per me è solo utopia. Io sono solo una partita Iva. Una partita persa in partenza.

La rottamazione renziana però incombe, le Province hanno le ore contate. E il nostro protagonista ha due problemi: non vuole dimettersi e ha di fronte come Terminator della Pubblica Amministrazione, Sonia Bergamasco, caterpillar che macina dimissioni di statali a forza di buonuscite (che figata Zalone che chiama, come già fatto con Alhaique, attori impegnati e “seri” per fare, bene, la commedia: lui non ha pregiudizi). E il nostro viene spedito in Sardegna, Trentino, Val d’Aosta, ovunque. E trasforma il mobbing in felicità, il trasferimento in opportunità di viaggi gastronomici. Lei non ce la fa e allora ecco l’idea: il Polo Nord, la Norvegia. Ma è lì che tutto prenderà un’altra forma.

Checco Zalone si fa più politico

 

Ed è qui, forse, che Checco Zalone si fa più politico. Quando prende in giro i miti di Ballarò e Report, che usano l’estero come grimaldello morale nei confronti dell’Italietta, che dipingono paradisi di civiltà. La rieducazione del machista Checco alle pari opportunità, la sua full immersion nell’educazione civica, la sua trasformazione in tutti i sensi è divertentissima, quanto illuminante. Perché è una stilettata ai pregiudizi positivi di chi bacchetta senza conoscere, di chi mitizza per combattere il nemico interno. Il comico qui non è più solo l’incarnazione politicamente scorretta dell’italiano medio e mediocre, ma anche il ritratto dei salotti che questo paese hanno visto affondare fumando la pipa e bevendo un amaro. Sentendosi superiori e mai complici. Checco è la versione gretta di Jep Gambardella, potrebbero essere persino amici.

E alla fine Zalone, come conferma lo sciamano africano che deve decidere se cuocerlo o salvarlo, è migliore di altri: perché almeno la purezza e la sincerità di Eleonora Giovanardi, cittadina del mondo e che alla sua nazione prova a dare qualcosa, oltre la sua riprovazione, lui la capisce. Tardi, male, ma la intuisce. E non è un caso che il nostro sia promuovendo il film andando oltre la sua opera, imitando Gramellini (meravigliosamente) o declamando per intero – con tanto di attacco a Renzi, invece sfumato nel lungometraggio – la canzone La prima Repubblica, un’imitazione di Celentano da urlo. È solo una delle due hit che ci faranno sognare: l’altra è in inglese e di sicuro insidierà i record dei Beatles. Tutti vorranno nell’iPod Italian Boy, infatti, e urleranno a squarciagola l’indimenticabile verso “I’m like Leonardo e Margherita Hack / I don’t want to fuck”.

Zalone viene visto con riprovazione da alcuni perché ci racconta troppo bene chi siamo

 

Insomma Zalone viene visto con riprovazione da alcuni perché ci racconta troppo bene chi siamo. Ricorda Muccino, attaccato per L’ultimo bacio solamente perché troppo lucido nel ritrarre una generazione perduta, e ora vale per il comicinico Checco, che ci dice che razza di paese siamo. Non ha paura di portarsi sulla faccia tutto ciò a cui abbiamo dato un nome politicamente corretto (consociativismo, associazione esterna, corruzione), prendere in giro l’ipocrisia sociale e verbale di chi si vergogna di ciò che è, giustamente, ma neanche tanto e di sicuro non fa nulla per cambiare. Incarna un modello di Italia bastarda, divertendo e inquietando, perché nessuno meglio di lui spoglia la nostra essenza e la espone, senza paura di essere diretto e scomodo in quelle risate che ci suscita proprio perché non sarà mai buonista (speriamo).

La locandina di "Quo Vado?" in uscita il 1 gennaio 2016

La locandina di “Quo Vado?” in uscita il 1 gennaio 2016

 

E allora bravo Zalone. Perché noi, lo diciamo ad alta voce e con orgoglio, Checco Zalone ce lo meritiamo. Ma chissà se sapremo guardarlo davvero. Chissà se saremo capaci di capirlo sul serio oppure ci rassicureremo pensando che al massimo, Checco, è il nostro vicino.
E invece Checco siamo noi.

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