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I gay in tv sono un cliché, come tutto il resto

I personaggi del piccolo schermo una volta vivevano di quello che sapevano fare, della loro arte, oggi solo dei loro cliché. Per fortuna, però, ci sono le eccezioni.

I gay in tv sono un cliché, come tutto il resto

Vorrei cominciare questo post nella maniera più trombona possibile, quasi come se fossi uno di quelli che verranno sotto questo articolo a scrivere “Eh, ma che declivio ha preso Rolling Stone, prima parlava solo del rock vero mentre ora se dedica a li froci! Che brutta fine!”

E che froci aggiungerei io! Sì, perché io me la ricordo nella mia gioventù quando in prima serata c’erano Leopoldo Mastelloni, Paolo Poli, Amanda Lear, Renato Zero inciuciato e libero nella versione pre-democristiana. Ricordo Mario Mieli in tuta da operaio e tacchi a spillo con gli operai dell’Alfa Romeo nel programma Tabù Tabù datato 1978. Ma ricordo anche Aldo Busi, che fa letteratura ad Amici, le Cronache marziane di Fabio Canino (che appena hanno cominciato a macinare ascolti sono state sospese), Eva Robin’s che presenta lo spin-off di Non è la RAI. Sembra quasi sia passato un secolo. Ma cazzo, è passato davvero un secolo!

E le cose, ahimè, non sono certo migliorate. Tanto da indurre un movimento americano (LGBT fans deserve better) a chiedere che la comunità omosessuale sia rappresentata degnamente in tv. E se in America solo l’11% delle serie ha personaggi LGBT, nemmeno nel 16% dei casi le loro storie finiscono a lieto fine.

A tal proposito rimembro quello che Luca Guadagnino ha dichiarato alla presentazione del meraviglioso Chiamami col tuo nome: «Molti non hanno finanziato il film proprio perché mancavano i cliché (…) come la presenza di un antagonista, che di solito alla fine permette agli amanti di superare ogni avversità o, se si tratta di una storia gay, di soccombere. Viceversa qui c’è un atteggiamento di supporto del mondo esterno, che mi ha dato la libertà di essere molto vicino ai miei personaggi». Probabilmente in una fiction italiana il padre, più che un discorso, avrebbe razzolato il buon Elio di mazzate. Riassumendo, in Italia, il gay deve essere macchiettistico, un po’ caricaturale, un po’ stereotipo e soprattutto etero normalizzato.

Avete notato, ad esempio, che non esiste una “sessualizzazione” del gay televisivo? Anche nel dorato mondo di Uomini e donne (che pur ha fatto tanto per far sì che la casalinga di Voghera o più probabilmente di Reggio Calabria, potesse capire che esistono gay senza ciuffi biondi e pailettes, ma solo con rigorose t-shirt extralarge) mentre gli altri tronisti danno tutto il coatto di sé, tra pettorali ignudi, collanoni dorati che se ti piglia il riflesso t’acceca e soprattutto capaci di combinarne di tutti i colori in tutti i luoghi e tutti i laghi, il povero tronista gay si presenta con un “ciao, io ho un grave problema: ho la vitiligine.”

Il tronista gay è quello che più di altri aspira alla suddetta “etero normalizzazione”, da famiglia tradizionale. Quello da matrimonio, figli, bulldog francese rigorosamente “per tutta la vita” (e senza bacio in diretta fino alla prima notte di nozze), se ci scappa pure la messa della domenica facciamo felici anche i vicini. Poi vabbè fuori dal mondo di “Uomini & donne”, il gay di regime e da salotto è quello “contrario al matrimonio”, “I figli poi mai sia”, “Certe cose si fanno nelle mura domestiche per non turbare” e “ho tanti amici eterosessuali!” Non occorre che vi faccia nomi, vero?

Certo esistono le eccezioni, come Drusilla Foer, regina dei teatri italiani e vera rivelazione di X Factor di quest’anno e Costantino Della Gherardesca, il gay intellettuale da prima serata che fortunatamente rompe buona parte dei cliché: parla spesso di psicofarmaci, si definisce antisociale e descrive la realtà per quello che è: pane al pane vino al vino. «La monogamia non è naturale, è un’imposizione del cristianesimo. Gli omosessuali di oggi hanno copiato uno stile evangelico americano da coppia monogama cristiana che non mi appartiene affatto. Si sono conformati e hanno scelto la famiglia, anche come realtà economica». Peccato che i suoi programmi abbiano uno share da monoscopio notturno di Rai 1.

Fatto questo lunghissimo excursus vado ad una chiosa sacrosanta, anche per un gay militante di vecchia data come me: sentire dire la frase fatta “i gay in televisione non mi rappresentano” ha un po’ stancato. Perché se ben ci pensate non è che le altre categorie se la cavino meglio eh. Una domenica, distrutto dall’influenza, mi sono sorbito salotti dove cantanti italiane parlavano di fantasmi e donne raccontavano della loro extrasensoriale esperienza con la loro ottava di seno. Insomma, Francesca Cipriani, che urla disperata da un elicottero, rappresenta forse tutte le giovani ragazze italiane? Gemma di Uomini e Donne è forse la portabandiera di tutte le “signore” di settant’anni?

I personaggi televisivi, che una volta vivevano di quello che sapevano fare e della loro arte, oggi semplicemente vivono nei loro cliché. Sempre più omologati e racchiusi in archetipi che servono semplicemente a identificare più velocemente un concetto o una categoria: la soubrette dal seno rifatto, il tronista in cerca di visibilità, il calciatore sciupafemmine, e il gay sopra le righe.

E qui andiamo all’ultimo problema legato alla rappresentazione televisiva delle persone omosessuali in tv: ce ne sono poche. O meglio, ce ne sono tantissime (e noi lo sappiamo) ma poche sono quelle che hanno fatto coming out e che quindi vengono ciclicamente invitati quando si parla dell’argomento. Fino a quel momento, fino a quando molti artisti continueranno a negare (a volte anche in modo decisamente imbarazzante) la propria natura o rilasceranno interviste dove parlano del proprio compagno o compagna usando termini come “amica di una vita” o convivente (penso anche a chi recentemente presentando il proprio disco ha avuto il coraggio di dire “Beh, se io fossi lesbica non avrei paura a dirlo” causando una sonora risata tra i giornalisti intervenuti) sarà inevitabile ritrovare in televisione le stesse persone.

Persone che, ci piaccia o no, hanno avuto le palle per dichiararsi al pubblico. Quindi, dico a te giornalista, dico a te celeberrimo cuoco di prima serata, dico a te attrice di fiction, dico a te cantante: fai coming out. (E poi decidi se cantare di amori etero o gay, chissenefrega).