I cinque personaggi LGBT più iconici delle serie tv | Rolling Stone Italia
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I 5 personaggi LGBT più iconici delle serie tv

Da 'Dawson's Creek' a 'Twin Peaks', sono tanti i personaggi LGBT che hanno segnato la storia del piccolo schermo. Abbiamo scelto i migliori, ma niente serie come 'Will & Grace', che non aggiungono nulla al tema.

I 5 personaggi LGBT più iconici delle serie tv

Il percorso della rappresentazione degli omosessuali nel cinema, prima, e nella tv, poi, si può sintetizzare con l’espressione “dal buio alla luce”. E tutto questo grazie alla tanto vituperata tv che ruppe lo schema del film a tematica LGBT, ossia una nicchia autoreferenziale.

Negli Stati Uniti questa rappresentazione fu inizialmente negativa, anche per via del Codice Hays, che dagli anni Trenta fino al 1967 proibiva un’esplicita messa in scena di temi considerati amorali, tra cui ovviamente il sesso e l’omosessualità. Un esempio di questo approccio è il bellissimo e delirante film Improvvisamente l’estate scorsa (1959, di Joseph L. Mankiewicz), in cui l’omosessualità del defunto cugino Sebastian (che non si vede mai in volto) deve essere tenuta nascosta anche al prezzo di fare una lobotomia a Liz Taylor.

Oppure un cortometraggio considerato educativo, il controverso Boys beware (1961), in cui si ammonivano i ragazzini a non accettare passaggi dagli sconosciuti. Il che non è poi molto diverso da quando Andreotti diceva che nei cinemini si potevano fare brutti incontri.

Poi, fortunatamente con la rivoluzione sessuale di fine anni Sessanta, qualcosa ha cominciato a cambiare. Certo lo so, voi detrattori state ormai pensando che in televisione ci siano troppi personaggi LGBT, anche se un metro che definisca il troppo in campo televisivo non esiste, altrimenti non si spiegherebbero né Barbara D’Urso né “Dalla vostra parte”. La rappresentazione è, invece, importantissima perché crea identificazione. Senza identificazione, gli spettatori non guardano serie televisive.

In questa lista non parleremo dei personaggi LGBT con una connotazione classica, come Queer as folk o Will & Grace, dove la fiera degli stereotipi è in funzione del dramma o della commedia, ma non aggiunge nulla al tema se non una facile rassicurazione. Qui ci concentreremo su quei personaggi che hanno spostato in avanti la soglia del dicibile e che hanno spianato la strada a tutti gli altri.

Steven Carrington Dynasty

Siamo nei primi anni ’80: gli anni del disimpegno, del consumismo, del lusso reaganiano. Per contrastare lo strapotere di Dallas, arriva Dynasty con cui sbarca in Italia il primo personaggio gay. Non del tutto ovviamente: viene da due matrimoni falliti e la sua genesi all’interno del serial vedrà altri figli, fidanzati uccisi dal padre e altri matrimoni eterosessuali (visto che in quegli anni i gay erano quelli dell’AIDS, quindi bisognava battere in ritirata). Sempre in Dynasty successe, a tal proposito, il patatrac Rock Hudson. Lui, malato di AIDS, aveva baciato Linda Evans in una scena. Il contagio del virus non era ancora chiaro e l’isteria dilagò in uno scandalo su cui la stampa sguazzò. L’enorme successo di Dynasty catapulta per la prima volta un personaggio gay ad un pubblico vastissimo. Bisogna comunque dire che i gay evoluti dell’epoca avevano, piuttosto, gli spasmi per Alexis, la madre: una regina del camp, quasi una drag queen nei suoi eccessi di abbigliamento e comportamento.

Denise Twin Peaks

«OK». Così dice l’agente speciale Cooper nella seconda stagione di Twin Peaks quando l’ex collega Dennis Bryson (interpretato da David Duchovny preboom di X Files) si ripresenta con il nome di Denise. E quando si sbaglia, chiamandolo con l’ex nome, si scusa immediatamente e si corregge. Siamo nel 1990 e fino a quel momento l’unico transgender apparso in tv era il pazzo criminale del Silenzio degli innocenti. Twin Peaks riuscì involontariamente ad essere antesignano anche in quel caso. Certo, Denise non era esattamente un fiore in parrucca e tacchi e Dennis si era travestito per una retata e aveva scoperto poi di trovarsi a suo agio in abiti femminili. Tutti si riferiscono a lei al femminile, nessuno fa domande sui suoi genitali e diventa uno dei personaggi più amati tanto che così appare anche nella terza serie 27 anni dopo: un ruolo che Duchovny ha voluto fortemente. Certo, siamo ben lontani dai racconti di Transparent ma, come dicevamo prima a un certo punto dal buio si è passati alla luce.

Ellen DeGeneres Ellen

Personaggi lesbici forti ce ne sono stati moltissimi: pensiamo ai fornicamenti “ospedalieri” (da ER fino a Grey’s Anatomy), senza dimenticare tutto Orange is the new Black o addirittura la mitica Patty nei Simpson. Ma tornate indietro di 20 anni. Pensate a una copertina del TIMES che dice “Yep, I’m gay.” Pensate alla protagonista che fa lo stesso, a poche settimane di distanza, nella sit-com che porta il suo nome. Pensate a lettere minatorie giunte in seguito all’ABC, a sponsor che ritirano spazi pubblicitari, a cali d’ascolti. Certo, a Ellen DeGeneres, il comin’out è costato questo, ma le ha fatto anche guadagnare un Emmy per l’episodio in questione, una “medal of freedom” e ora è considerata il personaggio più potente del mondo lgbt. Meditate gente, meditate.

Jack McPhee Dawson’s Creek

La storia dei “teen drama” è costellata di comin’out, personaggi LGBT, dichiarazioni più o meno volute. Se il primo bacio gay fu dato a Melrose Place (e Italia Uno prontamente lo censurò) e Willow di Buffy è comunque ancora nel cuore gaio di tutti, la vera rivoluzione arrivò con Jack Mc Phee di Dawson, a cavallo del nuovo millennio. A parte che Kerr Smith che lo interpretava era bonissimo, ma è ormai iconica la scena di lui col padre che gli dice “Tu non puoi essere gay” e lui grida “YES I AMMM!”. Certo, la sua vita sessuale non ha avuto i picchi di tensione emotiva e sentimentale pari ai suoi colleghi, eppure nell’ultima puntata lo scopriamo sposato con fratello di Pacey, super represso fino a 5 minuti prima della fine, e con un bambino adottato. Insomma Modern family ci fa una pippa.

Sol & Robert Grace & Frankie

Mettete insieme Jane Fonda, Lily Tomlin (icona lesbo vincitrice di 4 Emmy) e i loro due mariti settantenni che all’inizio della prima puntata della prima serie svelano di avere una relazione tra di loro da oltre vent’anni. Chiedendo il divorzio, parte una delle serie più sensazionali e ben scritte degli ultimi anni che racconta di amori e amicizia (lgbt e non) nella terza età. E dove nella quarta stagione balena addirittura l’idea della coppia aperta. Uno dei fiori all’occhiello di Netflix.

Dopo questi 5 ruoli iconici permettetemi una chiosa sulla televisione italiana. Le prime parole che mi vengono sono: “abisso profondo” che manco gli ascolti di Domenica In. Pensiamo alla rappresentazione dei personaggi LGBT che si trova nelle trashissime fiction Mediaset, in particolare quelle scritte da Teodosio Losito. Ne Il Bello delle Donne, ad esempio, c’è il parrucchiere Luca e la sua vita sentimentale surreal-sfigata. Ha addirittura una storia col ricco dottore Maurizio, che si scoprirà avere un rapporto incestuoso con la madre. La trama sembra presa da un bignamino di Freud o da una fantasia psicosessuale di Povia. In Sangue caldo del 2011 Sergio Arcuri, fratello della più nota Manuela, interpreta un’improbabile drag queen che si esibisce in uno scopiazzamento della scena di “Quizás, quizás, quizás” de La mala educación di Pedro Almodóvar. Ed è pure amante e complice di un criminale il cui scopo è quello derubare e torturare la povera Asia Argento (tutte a lei). Insomma in Italia i personaggi LGBT possono essere solo vittime o carnefici. In entrambi i casi, pesa un atteggiamento moraleggiante in cui gli appartenenti a questa minoranza non possono avere una vita sentimentale felice o rapporti sessuali soddisfacenti. Anche in campo lavorativo, fanno sempre lavori “al servizio di”, come il parrucchiere o il commesso, mai il dirigente. Oppure sono figure ai margini, affiliate alla criminalità. Nel nostro paese la morale influisce ancora molto sulle opere televisive, sacrificando la qualità. È anche per via di questo approccio che la serialità italiana fatica a trovare spettatori giovani, e che non può competere con un panorama mondiale che si sfida a colpi di linguaggio.

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